Terapie che mirano all'RNA

Una classe di farmaci nuova che, grazie a esempi come eteplirsen e nusinersen, sta riscuotendo molti successi nel trattamento di malattie per cui fino a pochi anni fa non c’era speranza

Una delle prime lezioni che si apprendono sui banchi di biologia è la struttura del DNA. Seguita dal modo in cui l’informazione genetica si traduce nei componenti essenziali della vita e, in ultima analisi, in ciò che siamo. Aver ben chiaro queste due nozioni è fondamentale per capire come funzionino le terapie che hanno come bersaglio l’RNA e, di conseguenza, apprezzarne la genialità.

Col termine nucleotide si definisce l’unità di base di DNA e RNA. Ogni filamento di DNA e di RNA è formato dalla sequenza di “moduli” che, a loro volta, sono costituiti da una base azotata, uno zucchero (deossirobosio per DNA e ribosio per RNA) e uno o più gruppi fosfato. I nucleotidi sono tenuti insieme da speciali legami che permettono la formazione di una catena: nel caso dell’RNA si tratta di una catena a filamento singolo, mentre per il DNA si parla di due filamenti che si avvolgono uno sull’altro (la doppia elica). Questa è – in sintesi – la risposta alla prima domanda. La seconda richiederebbe di per sé pagine di spiegazioni ma in questa sede è sufficiente ricordare che l’informazione genetica conservata nel DNA, che si trova nel nucleo, viene trascritta in un RNA (un mRNA, con funzione di portare un messaggio) che la veicola fuori dal nucleo per permetterne la traduzione in proteine.

Questa premessa è sostanziale perché circa quarant’anni fa è sorta l’idea di usare brevi sequenze di 15-30 nucleotidi – per l’appunto gli oligonucleotidi – da far appaiare in maniera complementare a sequenze specificamente selzionate dell’RNA messaggero (mRNA) nelle quali è insita un’informazione capace di suscitare una malattia, silenziandole o facendo in modo di modularne l’espressione. Ovviamente ciò che, descritto in poche righe, sembra poco più di un giochino scientifico da scuola media, nella realtà è ben più complicato. Tuttavia, in un’esaustiva revisione apparsa sulla rinomata rivista scientifica The New England Journal of Medicine  il prof. Arthur A. Levin illustra con chiarezza, e riportando esempi aggiornati, sia le modalità di azione delle terapie che impiegano gli oligonucleotidi che i loro vantaggi. Perché il legame dell’oligonucleotide alla sequenza di mRNA (o di pre-mRNA) comporta effetti diversi.

In primo luogo, può accadere che il legame tra l’oligonucleotide e l’mRNA determini la distruzione di quest’ultimo. È il caso, spiega Levin, di farmaci come mipomersen, un oligonucleotide di DNA a catena singola che ha la capacità di legarsi alla porzione di mRNA che codifica per l’apolipoproteina B, uno dei componenti del colesterolo LDL (quello cattivo per intendersi) prodotto a livello epatico. Il legame implica la formazione di una struttura ibrida (DNA-RNA), destinata ad essere eliminata dagli enzimi che controllano il trascritto e tagliano l’mRNA. In tal modo, la parte di mRNA che ha il compito di favorire la formazione di apolipoproteina B viene degradata. Quindi, la quantità di tale proteina diminuisce e, con essa, i livelli di LDL. Il farmaco funziona bene, tanto che dal 2013 la FDA americana lo ha approvato per il trattamento dell’ipercolesterolemia familiare. 

Gli oligonucleotidi possono intervenire anche a monte, agendo sui filamenti di RNA immaturi, detti pre-mRNA. Infatti, l’mRNA prima di essere utilizzato necessita di alcune modifiche, tra cui l’eliminazione degli introni, cioè di sequenze inerti che fungono da spaziatori. Una volta tolti gli introni, avviene la saldtura degli esoni (le sequenze codoficanti). L’insieme di questi processi è detto mRNA splicing. Lo splicing dell’mRNA può essere terreno di gioco per mutazioni, come quella che colpisce il gene DMD che codifica per la distrofina, dando origine alla distrofia muscolare di Duchenne. Senza la distrofinal’integrità delle fibre muscolari è seriamente compromessa e la funzionalità muscolare è destinata a svanire progressivamente portando alla perdita della mobilità, al declino della funzionalità respiratoria e cardiaca, e a un’ineviatbile morte precoce.

Da diversi anni la ricerca con gli oligonucleotidi si sta orientando sulla correzione del processo di splicing. Gran parte delle mutazioni che provocano la Duchenne colpiscono gli esoni in maniera tale da cambiare lo schema di lettura del gene della distrofina, danno che impedisce la produzione della proteina funzionale. Il corretto schema di lettura del gene può essere ristabilito eliminando direttamente, attraverso la modulazione del meccanismo di splicing, un esone che si trova vicino alla regione in cui è presente la mutazione. Questo è il modo in cui funziona eteplirsen, un farmaco approvato dalla FDA, che agisce eliminando l’esone 51, si parla di “exon skipping” (letteralmente salto dell’esone), e che induce la formazione di distrofina parzialmente funzionante in circa il 13% dei bambini affetti da distrofia di Duchenne. Eteplirsen è un oligonucleotide a RNA (chiamato oligonucleotide antisenso) che legandosi al pre-mRNA impedisce che l’esone 51 venga incluso nell’mRNA e ne favorisce l’eliminazione. In tal modo, si produce una versione più corta ma funzionale della proteina che, nei test funzionali condotti in studi clinici, ha dato risultati di notevole interesse.

Infine, se gli oligonucleotidi hanno la capacità di far rimuovere un esone, perché non fare si che essi possano trattenere un esone specifico? È quello che fa nusinersen, un farmaco dalle grandi potenzialità terapeutiche impiegato nel trattamento dell’atrofia muscolare spinale (SMA). La SMA è una patologia determinata da mutazioni a danno del gene SMN1 che si realizzano in un deficit dell’omonima proteina senza cui la degenerazione dei motoneuroni diventa inarrestabile, sfociando in un calo delle funzionalità motorie e, nelle forme più severe di malattia, nella perdita della capacità respiratoria. Nel caso della SMA esiste un gene, SMN2, che ha un’origine comune a SMN1 e una sequenza codificante identica fatto salvo per un singolo nucleotide che provoca l’eliminazione dell’esone 7. SMN2 produce una proteina instabile che viene degradata rapidamente (ne rimane solo il 10%). È a questo punto che entra in gioco nusinersen, un oligonucleotide a DNA che favorendo uno splicing alternativo su SMN2 forza l’inserimento dell’esone 7 nel trascritto di mRNA determinando la produzione di maggiori quantità di una versione stabile e funzionale della proteina che sostituisce quella mancante prodotta da SMN1. I risultati degli studi clinici condotti su questo farmaco hanno confermato la stabilità e l’efficacia di questa versione della distrofina che ha determinato sensibili miglioramenti a livello motorio nei bambini colpiti dalla malattia.

Quelli riportati sono solo tre esempi ma nei laboratori di tutto il mondo l’interesse per questa filosofia di trattamento è elevatissimo e ha portato alla costruzione di gigantesche librerie di filamenti di RNA potenzialmente sfruttabili come bersaglio per gli oligonucleotidi, velocizzando sensibilmente i processi di ricerca e aumentando così la specificità di questa nuova classe di farmaci. Un altro non trascurabile aspetto, che depone a favore degli oligonucleotidi, è la reversibilità del loro processo di azione e il fatto che essi non agiscano modificando definitivamente il DNA ma lavorino a livello dell’RNA. Anche gli studi di farmacocinetica e tossicologia che negli anni sono stati condotti su questa classe di molecole non hanno evidenziato criticità rilevanti, tuttavia, alcuni di essi sono in grado di suscitare una risposta immunitaria analoga a quella di certi virus e questo, insieme al rischio di aumentato assorbimento a livello renale, impone una seria valutazione degli eventi avversi legati al loro utilizzo. I protocolli di sorveglianza sanitaria nei trial clinici per quelli che possono essere casi di risposte infiammatorie anomale o di tossicità renale devono essere sempre capillari. Un ulteriore aspetto tendenzialmente problematico è la capacità degli oligonucleotidi di raggiungere i siti d’azione senza essere degradati. La somministrazione endovenosa rimane la modalità d’elezione ma è necessario proteggere il composto dagli enzimi che possono distruggerlo prima che giunga a destinazione. Una sfida di non trascurabile entità alla quale si affianca una nuovissima modalità di uso degli oligonucleotidi che richiama in azione la tecnologia CRISPR/Cas9 per disattivare mRNA specifici usando RNA guida (sgRNA). In questo caso la sfida sarà quella di capire come veicolare una nucleasi per eseguire il taglio eludendo la sorveglianza degli enzimi litici ma le motivazioni alla ricerca non mancano e, con un certo impegno, le strade che portano al successo si trovano quasi sempre.

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