Uno studio effettuato su un modello murino ha messo in luce la possibilità che lunghi frammenti di RNA non codificante possano intervenire nella regolazione del metabolismo della fenilalanina
“Del maiale non si butta via niente”. La tradizione contadina ci ha tramandato questo noto motto popolare che l’evoluzione potrebbe tranquillamente far suo. Il processo evoluzionistico, infatti, non cancella, semmai accantona. E, così, studiando gli RNA non codificanti gli scienziati stanno scoprendo non solo che essi hanno un ruolo biologico ma anche che possono costituire una solida base per lo sviluppo di terapie innovative contro patologie rare. Uno studio condotto da un gruppo di ricerca dell’MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas, e pubblicato ad agosto rivista Science, ha dimostrato come l’utilizzo di lunghi RNA non codificanti (long non-coding RNAs, lncRNA) potrebbe configurarsi come una nuova opzione terapeutica per la prevenzione della fenilchetonuria (PKU).
Oltre all’RNA messaggero (mRNA) – che costituisce la bozza per tradurre in proteina il messaggio contenuto nel DNA – esistono una serie di RNA chiamati non codificanti ai quali non corrisponde un prodotto proteico. Da anni i ricercatori cercano di approfondirne il ruolo e la funzione e hanno scoperto come essi risultino coinvolti in alcuni processi biologici essenziali, quali lo sviluppo e il differenziamento cellulare. Inoltre, è stato possibile osservare come la maggioranza delle mutazioni conosciute si producano in regioni non codificanti del genoma umano e ciò ha indotto a guardare con ancora più attenzione al significato degli RNA non codificanti. I più noti sono quelli di piccole dimensioni - ad esempio i “small interfering RNA” (siRNA) o i microRNA (miRNA), spesso impiegati nelle terapie su RNA - ma esistono anche molecole più grandi, tra cui, appunto, gli lncRNA.
La PKU è una malattia metabolica rara a trasmissione autosomica recessiva la cui origine è stata ricondotta alle mutazioni nel gene che codifica per l’enzima fenilalanina idrossilasi (PAH) che è in grado di convertire l’aminoacido fenilalanina in tirosina. La carenza di PAH determina un pericoloso un aumento della concentrazione di fenilalanina nel flusso sanguigno (iperfenilalaninemia o HPA), con effetti tossici per il cervello che possono compromettere il normale sviluppo del sistema nervoso centrale. Questa patologia si presenta con caratteristiche fenotipiche diverse nei pazienti: alcuni, infatti, sono affetti da forme gravi che necessitano di un trattamento dietetico immediato e altri da forme lievi che addirittura non richiedono intervento. È stato perciò ipotizzato che i diversi tipi di mutazione a carico di PAH siano alla base di tale variabilità clinica, ma l’evidenza che in alcuni pazienti non fossero presenti le mutazioni nel gene in questione ha fatto supporre che ci siano altri fattori che concorrono all’insorgenza di questo disturbo.
I ricercatori del Anderson Cancer Center hanno identificato un lncRNA, HULC negli umani e l’equivalente Pair nei topi, che è in grado di interagire con l’enzima fenilalanina idrossilasi modulandone la funzione e aumentando la sua capacità di convertire la fenilalanina in tirosina. Hanno, inoltre, osservato che la rimozione di questo RNA, in modelli murini, causa l’insorgenza di sintomi caratteristici della malattia e un accumulo di fenilalanina. Successivamente, gli scienziati hanno creato un modello murino della fenilchetonuria nel quale era presente la mutazione R408W che colpisce il gene PAH e si riscontra nella gran parte (fino al 73%) dei pazienti affetti dalla malattia. Ed è a questo punto che hanno fatto entrare in scena una versione sintetica del lncRNA HULC, la cui attività riesce a compensare la mutazione riducendo i livelli plasmatici di fenilalanina.
Si tratta di un risultato che potrebbe aprire la strada a nuove strategie terapeutiche contro la malattia. Un regime dietetico basato sulla limitazione di assunzione della fenilalanina è in grado di prevenire il ritardo mentale e i disturbi neurologici e comportamentali che affliggono molti pazienti ma la fenilalanina è comunque un amminoacido essenziale ed è presente in tutte le proteina naturali per cui risulta molti complicato mantenere tale restrizione, specialmente in bambini molto piccoli (occorre iniziare il trattamento entro i tre mesi di vita per ridurre la possibilità che si presenti il ritardo mentale). Attualmente sono in fase di studio nuove opzioni terapeutiche ma con questa ricerca si può ipotizzare di sviluppare un trattamento non esclusivamente rivolto a coloro nei quali è presente una mutazione nel gene PAH ma utile anche per tutti coloro che hanno mutazioni negli lncRNA. L’utilizzo di “lncRNA terapeutici” potrebbe essere una nuova strategia da affiancare alle limitazioni dietetiche.
I risultati di questa ricerca hanno un profondo valore ma la strada per tradurli in un’opportunità concreta di trattamento della PKU è solo all’inizio. Sarà necessario testare i costrutti di sintesi di HULC nel quadro di studi clinici per capire davvero quanto siano efficaci e quali pazienti ne possano beneficiare. La comunità scientifica sta già lavorando in questa direzione nella speranza che, fra alcuni anni, si possa disporre di più di una strategia per curare la fenilchetonuria in modo efficace e risolutivo.