È destinata ai pazienti affetti da retinite pigmentosa legata al cromosoma X e dovuta a una mutazione patogenetica nel gene RPGR. Lo studio clinico sarà avviato in Italia entro la fine del 2022
“Ho incontrato per la prima volta alcuni pazienti affetti da retinite pigmentosa nel corso del quinto anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Cattolica di Roma e oggi sono felice di ritrovare quelle stesse persone tra i candidati alla sperimentazione clinica di una terapia genica per la loro patologia”. Sono le parole della dott.ssa Lucia Ziccardi, dell’Ambulatorio di Neuroftalmologia e Malattie Genetiche e Rare presso l’IRCCS Fondazione G.B. Bietti di Roma, dove è in procinto di partire uno studio clinico incentrato su una nuova terapia genica per il trattamento sperimentale della retinite pigmentosa legata al cromosoma X. Se tutto procederà nel verso giusto questa potrebbe diventare una nuova potenziale terapia avanzata per una distrofia della retina ereditaria monogenica.
“Il nostro sogno era quello di portare la terapia genica in Italia”, prosegue la dott.ssa Ziccardi che ha raccolto il testimone dal prof. Benedetto Falsini, a cui spetta il merito di aver creato una scuola, formando generazioni di medici sulle malattie distrofiche della retina. “Pertanto, abbiamo inoltrato domanda affinché la Fondazione Bietti potesse essere selezionata tra gli istituti coinvolti in questo trial randomizzato di Fase III. È stato necessario produrre una notevole mole di documenti per dimostrare che il centro era in possesso dei requisiti necessari alla fattibilità dello studio clinico e ora, finalmente, siamo pronti a partire”. La dott.ssa Ziccardi nella sua carriera si è sempre dedicata alle malattie rare della retina, ottenendo anche una borsa di ricerca di lunga durata negli Stati Uniti sulla retinoschisi legata al cromosoma X: una maculopatia giovanile che determina una marcata riduzione della visione. Similmente alla retinoschisi, alcune forme di retinite pigmentosa sono monogeniche (cioè causate da mutazioni di un solo gene) e per tale ragione è fondamentale definire con precisione le caratteristiche dei pazienti che potranno accedere alla sperimentazione.
“Conosciuta con la sigla AAV5-hRKp.RPGR, questa terapia consiste in un vettore virale adenovirus-associato di tipo 5 (AAV5) progettato per veicolare all’interno della cellula una versione corretta del gene RPGR”, spiega Ziccardi. “In tal modo si sfrutta la capacità replicativa di un virus inattivato, e reso così innocuo, per portare il gene giusto dentro le cellule con la previsione che tutte inizino a produrre la proteina che manca alla retina, le cui istruzioni si trovano proprio nel gene RPGR”. Diverse mutazioni sono responsabili della retinite pigmentosa e questo rende indispensabile individuare precisamente i pazienti che possono accedere e beneficare del trattamento: solo coloro che sono affetti dalla forma legata al cromosoma X. Inoltre, esistono forme di retinite pigmentosa che interessano non solo l’occhio ma anche gli organi dell’udito, l’apparato renale e il metabolismo. A seconda di una o dell’altra variante di retinite pigmentosa possono essere mutati geni diversi e, pertanto, la richiesta del test genetico appropriato è il primo passaggio per un corretto inquadramento della patologia oltre che delle sue complicanze (la cataratta e l’edema maculare).
“Come altre patologie legate al cromosoma X, anche la retinite pigmentosa si manifesta solo nei maschi, che ereditano il cromosoma X da madri che sono portatrici della malattia”, precisa la dottoressa. “Pertanto, questa terapia genica è riservata a individui di sesso maschile con una mutazione patogenetica nel gene RPGR ma non nel gene RP2”. Rispetto alle altre forme di retinite pigmentosa, quella legata al cromosoma X è molto precoce e aggressiva poiché conduce il paziente a una riduzione visiva anche centrale e non solo periferica. “Le retiniti pigmentose a trasmissione autosomica dominante rimangono abbastanza stazionarie nel corso della vita del paziente”, continua Ziccardi, “ma quelle legate al cromosoma X degenerano in fretta. La nostra attenzione si rivolge, dunque, agli individui che rischiano la cecità. Occorre avere a disposizione un prodotto da testare per la cura di tali patologie di questo tipo, come è stato per l’amaurosi congenita di Leber che è una delle distrofie retiniche più invalidanti che si conosca”.
Infatti, per il trattamento dell’amaurosi congenita di Leber da oltre un anno è stata approvata in Italia voretigene neparvovec: la terapia genica commercialmente nota come Luxturna® che si somministra con una singola iniezione sottoretinica, esattamente come la terapia in valutazione per la retinite pigmentosa legata al cromosoma X. “La somministrazione si realizza con intervento di chirurgia vitreo-retinica, eliminando dall’occhio il corpo vitreo che rappresenta una naturale barriera alla penetrazione di molte sostanze nella retina”, spiega Ziccardi. “Per questo si pratica una vitrectomia non invasiva e si crea una bolla di iniezione sottoretinica in modo tale che per gravità il prodotto diffonda alle altre porzioni della retina”.
La procedura riguarda entrambi gli occhi (a distanza di 21 giorni dalla prima iniezione è prevista l’iniezione anche nell’occhio controlaterale) e richiede un adeguato periodo di formazione chirurgica con il raggiungimento di una buona curva di apprendimento. I medici e i chirurghi della Fondazione Bietti, e degli altri centri di studio coinvolti nella sperimentazione, stanno definendo gli obiettivi di sicurezza e di efficacia e stanno eseguendo il training per tutti i passaggi del trial clinico che presto sarà attivo in Italia. “Il prodotto sperimentale è stato appena autorizzato da parte dell’AIFA e non appena avremo il via libera partiremo con l’arruolamento”, conclude Ziccardi. “Sicuramente ciò si realizzerà entro l’anno in corso ma difficilmente prima dell’estate. Più verosimilmente entro il tardo autunno”.
Per maggior dettagli sulla sperimentazione clinica è possibile consultare l’articolo sul portale di Sperimentazioni Cliniche.