In Nord America sono in corso due studi clinici di Fase I/II con approcci di terapia genica, in Europa è stato avviato un progetto basato sull’editing genomico e coordinato dall’Università di Siena
Nel vasto insieme dei disturbi dello sviluppo neurologico la sindrome di Rett rappresenta per la medicina una delle sfide più ostiche da superare, dal momento che il gene MECP2, coinvolto nella genesi della patologia, è al crocevia di una rete di percorsi neuronali essenziali per il corretto sviluppo delle funzionalità sinaptiche. Non sono stati ancora approvati farmaci in grado di trattare le cause all’origine della malattia ma da ricerche recenti sono scaturiti due filoni di studio che, nel prossimo futuro, potrebbero cambiare le cose: da una parte la terapia genica per gene replacement e dall’altra la strategia di editing genomico stanno permettendo di compiere solidi passi avanti nella ricerca di una terapia efficace. Lo spiegano nel dettaglio le professoresse Alessandra Renieri e Ilaria Meloni, dell’Università degli Studi di Siena.
TERAPIA GENICA: TAISHA GENE THERAPIES E NEUROGENE INC
Ad agosto Taysha Gene Therapies, biotech statunitense impegnata nello sviluppo di terapie geniche per alcune patologie monogeniche del sistema nervoso centrale, ha annunciato i dati preliminari riguardanti la prima paziente con sindrome di Rett trattata con la terapia genica nello studio clinico di Fase I/II REVEAL. Il trial è progettato per valutare la sicurezza e l’efficacia preliminare della terapia sperimentale TSHA-102 in pazienti adulte - è previsto l’arruolamento di 12 donne con sindrome di Rett di età superiore a 18 anni – ed è suddiviso in distinti bracci nei quali saranno testate due diverse dosi (una iniziale di 5x1014 e una seconda di 1x1015 genomi virali totali) del farmaco. TSHA-102 è una terapia genica basata su un vettore virale adeno-associato di tipo 9 (AAV9) che veicola con una versione corretta del gene MECP2.
“La terapia genica di Taysha Gene Therapies ha l’obiettivo di fornire alle cellule il gene che codifica per la proteina mancante o non funzionale”, afferma Alessandra Renieri, Professore Ordinario di Genetica Medica all’Università degli Studi di Siena e Direttore dell’U.O.C. di Genetica Medica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Siena. “Tuttavia, la regolazione di un gene come MECP2 che, a sua volta, esercita una funzione di controllo su centinaia di altri geni è tutt'altro che semplice da ottenere”. Pertanto, gli sviluppatori hanno elaborato il panello miRNA-Responsive Auto-Regulatory Element (miRARE) che accompagna MECP2 e ne regola l’espressione cellulare. Confezionata insieme a uno specifico promotore (MeP426) e MECP2 all’interno di un vettore vitale AAV9, la tecnologia miRARE consente un‘espressione “controllata” di MECP2, contribuendo ad abbassarne i rischi associati alla sotto- e alla sovra-espressione.
Oltre a valutare la sicurezza di TSHA-102 gli obiettivi dello studio REVEAL consistono nella ricerca della dose massima tollerata (MTD) e della dose massima somministrata (MAD) successiva, da fornire alle pazienti nel corso della fase di espansione. A sei settimane dall’infusione nella prima paziente di TSHA-102 - che ha ricevuto anche le designazioni di farmaco orfano dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e dalla Commissione Europea - i dati sulla sicurezza sono risultati buoni e sono stati evidenziati dei miglioramenti a livello clinico. Su questa base si è deciso di procedere con le pazienti successive: il comitato di revisione indipendente dei dati (Independent Data Monitoring Committee, IDMC) ha dato il via libera alla somministrazione nella seconda paziente.
Parallelamente, anche un’altra biotech statunitense, Neurogene, sta testando un approccio di terapia genica in uno studio clinico di Fase I/II. “In questo caso la tecnologia per la regolazione di MECP2 impiegata si chiama EXACT (EXpression Attenuation via Construct Tuning) e agisce in maniera simile a miRARE di Taisha, nonostante l’azienda affermi che il promotore usato sappia esercitare un controllo maggiore sull’espressione del gene MECP2, consentendo così di esprimere livelli terapeutici della proteina MeCP2 senza un rischio di sovra-espressione”, precisa Renieri. “Un’importante differenza tra i due approcci è legata al fatto che TSHA-102 viene somministrata per via intratecale, con un’iniezione a livello del midollo osseo, mentre NGN-401 di Neurogene viene somministrata tramite una singola iniezione intra-cerebro-ventricolare, ovvero nel cervello delle pazienti. Dubito comunque che una terapia genica che aggiunga il gene MECP2 senza essere sotto il controllo del suo promotore nativo possa risolvere il problema”. Infatti, MECP2 è legato all’insorgenza di problematiche del neurosviluppo sia nel caso in cui certe mutazioni ne provochino l’assenza, sia quando avviene il contrario, giacché duplicazioni possono indurre una sovra-espressione del gene, portando a una condizione nota come malattia da duplicazione di MEPC2, caratterizzata parimenti da disabilità intellettiva.
EDITING GENOMICO: UNA RICERCA INTERNAZIONALE GUIDATA DALL’UNIVERSITÀ DI SIENA
Ecco perché l’altro versante della ricerca che interessa la sindrome di Rett si basa sull’editing del genoma attraverso cui si può ripristinare la sequenza normale del gene MECP2 sotto la regolazione del promotore nativo. “Nei nostri laboratori universitari stiamo cercando di mettere a punto una strategia di correzione del gene basata sull’utilizzo di Crispr-Cas9 per eliminare alcune mutazioni dal DNA delle pazienti e ripristinare la normale sequenza di DNA del gene”, afferma Ilaria Meloni, Professore Associato all’Università degli Studi di Siena, nonché collaboratrice della professoressa Renieri presso l’U.O.C. di Genetica Medica dell’Università di Siena. “Sono più di 900 le mutazioni che interessano il gene MECP2 e il nostro lavoro si è focalizzato su quattro di esse (R255X, R168X, T158M, R306C) che sono responsabili di quasi il 50% dei casi di sindrome di Rett”. Sono mutazioni cosiddette “hotspot”, che ricorrono con maggiore frequenza rispetto alle altre, e faranno da base per lo sviluppo di quattro potenziali farmaci in grado di trattare la sindrome di Rett. Risolvendo così il problema della regolazione di MECP2 dal momento che il gene continuerà a trovarsi sotto il controllo dei propri elementi regolatori, evitando in tal modo il rischio di sovra-espressione o sotto-espressione.
La conclusione di questo percorso non è vicina e per poter arrivare al traguardo occorre prima dare risposta ad alcuni interrogativi. “Dobbiamo comprendere che percentuale di cellule è necessario correggere per poter ripristinare la funzionalità dei circuiti neuronali”, spiega Meloni. “Attualmente siamo in fase preclinica e, insieme ai colleghi di Strasburgo, stiamo effettuando dei test sul modello animale per ottenere informazioni più precise e accurate”. Ulteriore elemento di indagine è la modalità di somministrazione dei farmaci basati sull’editing del genoma. “Le terapie geniche attualmente in fase clinica di sperimentazione possono essere somministrate per via intra-cerebro-ventricolare o intratecale ma si tratta di soluzioni invasive”, prosegue Meloni. “La nostra ricerca si sta orientando sulla possibilità di effettuare un’iniezione endovenosa e, d’accordo con i colleghi della Fundacio Vall d’Hebron Institut de Ricerca (VHIR) di Barcellona, abbiamo scelto di sviluppare un vettore virale basato sull’AAV che infetti i neuroni con efficienza maggiore, riducendo la tossicità epatica”. Ciò comporta enormi vantaggi ma sarà necessario capire se tale vettore sia sicuro e non produca effetti collaterali gravi.
“La difficoltà maggiore correlata ai sistemi di editing del genoma consiste nell’identificare un sistema in grado di apportare una correzione in un sito specifico del DNA senza provocare danni altrove”, precisa la professoressa toscana. “In uno sforzo congiunto con i colleghi dell’Istituto per lo Studio la Prevenzione e la Rete Oncologica (ISPRO) di Firenze stiamo verificando la capacità di correzione del nostro sistema in modelli cellulari bidimensionali, sfruttando cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) ottenute dai fibroblasti dei pazienti. Allo stesso tempo i ricercatori di Manheim ne stanno testando l’efficacia nei modelli tridimensionali, i cosiddetti organoidi, che consentiranno di capire se il nostro strumento di editing sia davvero in grado di correggere con efficienza le mutazioni di MECP2”.
“L’editing del genoma rappresenta la strategia terapeutica ideale per la sindrome di Rett poiché permette di ripristinare la sequenza normale sotto la regolazione del promotore originale del gene MECP2”, conclude la professoressa Renieri che è anche rappresentante dei clinici nel Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) presso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). “Il lato oscuro di questo approccio è che per ogni mutazione sarà necessario sviluppare un farmaco specifico”. Le mutazioni hotspot identificate nel progetto dell’Università di Siena sono le più ricorrenti tra i pazienti, perciò se il sistema dimostrerà di poter funzionare e si arriverà alla fase di sperimentazione clinica per una prima mutazione poi procedere con le altre potrebbe essere più semplice.
Occorrerà attendere la fine del 2024 per disporre di dati precisi ma le premesse invitano all’ottimismo: qualora giungessero conferme solide sarà possibile anche ragionare di introdurre preliminarmente l’analisi genetica a tutte le pazienti sottoposte a queste terapie, nel tentativo di ottenere una precisa caratterizzazione genetica prima dell’inizio delle terapie.