La morte del paziente pioniere Terry Horgan è un monito sui rischi dei vettori virali ma l’attenzione ora è puntata sulla prima terapia genica in approvazione negli Stati Uniti
Sulla difficile frontiera delle terapie avanzate ogni decesso è un dolore da cui si deve imparare tutto il possibile. L’esito infausto del trattamento individuale per la distrofia muscolare di Duchenne messo a punto dalla no-profit Cure Rare Disease per Terry Horgan, e sperimentato unicamente su questo ragazzo americano, può insegnare poco sulle specificità di CRISPR. Il decesso infatti è avvenuto prima che la macchina molecolare dell’editing potesse entrare in azione. Ma le informazioni sul caso, diffuse a maggio su un archivio di preprint in attesa di una pubblicazione classica con revisione dei pari, rappresentano lo stesso un contributo prezioso per l’avanzamento delle conoscenze in un settore in cui la scienza non ha intenzione di arrendersi.
Vale la pena ripercorrere la storia di questo paziente coraggioso che ha messo insieme almeno tre primati. È stato il primo a sottoporsi a un trattamento per la distrofia muscolare basato sulla piattaforma CRISPR. Il primo a ricevere una terapia CRISPR progettata su misura per lui. E sempre il primo a provare una variante della tecnica detta “CRISPR-transactivator” che non aveva il compito di modificare la successione delle lettere nel gene difettoso ma mirava a risvegliare una sua copia silente. Terry era nato 27 anni fa in una famiglia già duramente colpita da questa malattia rara, in cui le fibre muscolari degenerano perché private del loro ammortizzatore naturale (la distrofina). Prima i danni ai muscoli scheletrici portano alla perdita della mobilità, poi quelli al cuore o all’apparato respiratorio stroncano la vita, di solito entro i 30 anni di età. I pazienti sono per lo più maschi (perché il gene chiave si trova sul cromosoma X di cui le femmine hanno una copia aggiuntiva) e in assenza di valide opzioni terapeutiche l’orologio scandisce il loro tempo con una fretta inesorabile.
Rich Horgan, fratello di Terry, ha avuto la fortuna di non ereditare la stessa mutazione ed è cresciuto al suo fianco, vedendolo cadere e combattere, tra visite e ricoveri. Frequentava la Harvard Business School quando le condizioni del fratello sono peggiorate drasticamente e ha deciso di iniziare a pensare in grande. “Mi sono messo alla ricerca di una cura per Terry. Ho spedito centinaia di email a ricercatori, chimici, biologi e medici”. Da questo impegno spasmodico, nel giro di tre anni, è nata la Cure Rare Disease, un’organizzazione senza scopo di lucro che ha promosso la collaborazione tra scienziati di primo piano con una missione ben chiara. Sviluppare un trattamento terapeutico che salvasse per la prima volta un paziente Duchenne, dando finalmente una speranza agli altri che non avevano farmaci né studi clinici a cui aggrapparsi. “Dopo centinaia di telefonate, milioni di dollari raccolti e migliaia di ore di ricerca e sviluppo, il 15 luglio 2022, in una calda mattina di sole, ho ricevuto l’annuncio che la FDA aveva approvato la nostra richiesta di sperimentazione”.
Terry ormai aveva poche speranze di farcela, a causa dell’età “avanzata” e dello stato di salute ormai compromesso, ma ha voluto provare ugualmente, con l’obiettivo di spianare la strada ad altri malati rari. La sperimentazione “n=1”, con un unico partecipante, è partita il 4 ottobre dello stesso anno. Prima è stato soppresso il suo sistema immunitario per preparare il corpo a ricevere la terapia. Poi gli sono stati somministrati i vettori (virus adeno-associati, o AAV) ad alto dosaggio, perché nel caso della distrofia di Duchenne i tessuti da correggere - i muscoli - sono grandi quanto il corpo intero. Sei giorni dopo la somministrazione sono apparsi problemi cardiaci e respiratori che hanno portato rapidamente al decesso. Nella sezione delle FAQ, le domande frequenti, la Cure Rare Disease riassume così i risultati degli studi post-mortem: “I polmoni hanno subito un danno causato probabilmente da una forte reazione immunitaria alle alte dosi di AAV e purtroppo la terapia genica non ha avuto la possibilità di fare ciò per cui era stata progettata”. Insomma CRISPR non ha avuto il tempo di svolgere il proprio compito che consisteva nel far esprimere nei muscoli una copia silente del gene della distrofina (l’isoforma prodotta nel cervello).
Il fatto che i virus AAV potessero scatenare il sistema immunitario non è stata una sorpresa, infatti lo stesso problema sembra aver giocato un ruolo nella morte di altri undici pazienti in altre sperimentazioni di terapia genica. Molti gruppi in effetti stanno lavorando per sopprimere meglio la reazione immunitaria (Osservatorio Terapie Avanzate ne ha parlato qui) con lo scopo di rendere più tollerabili i vettori ad alto dosaggio o consentire dosaggi minori e ripetuti (una singola somministrazione può non essere sufficiente, man mano che i pazienti crescono e le fibre muscolari si rinnovano). Nello specifico, poi, Terry era ormai troppo debole per sopportare la tossicità dei vettori attualmente in uso. In futuro serviranno dei vettori di nuova generazione, non necessariamente virali (molte speranze si concentrano sulle particelle nanolipidiche, ammesso che si riesca a dirigerle verso i muscoli). Inoltre, nella selezione dei partecipanti agli studi clinici si dovrà tenere conto di quanto è accaduto: per essere reclutati i pazienti dovranno essere in condizioni abbastanza buone da poter superare la reazione acuta che si verifica nella prima settimana dal trattamento. Dicendo addio al fratello, Rich Horgan ha ribadito che intende onorare Terry portando avanti le linee di ricerca della Cure Rare Disease, che sono diciannove, e ha rivendicato l’importanza di quanto fatto finora: il miracolo non è avvenuto, ma restano il buon esempio di scienza collaborativa e l’approccio innovativo al finanziamento per le malattie rare e ultrarare.
Per quanto riguarda lo stato dell’arte delle terapie avanzate per la distrofia di Duchenne, un quadro aggiornato è stato tracciato sia da Science che da Nature in occasione del possibile via libera della Food and Drug Administration (FDA) statunitense ad una terapia genica, di tipo classico. Si chiama SRP-9001, è stata messa a punto dall’azienda Sarepta Therapeutics ed è indirizzata a pazienti Duchenne di 4-5 anni di età. In questo trattamento - come in altri in via di sviluppo da parte di Pfizer, Solid Biosciences e Généthon (illustrati qui) - viene fornito ai malati un mini-gene della distrofina, perché il gene intero sarebbe troppo ingombrante per entrare nei vettori virali. I dati raccolti finora però non hanno convinto tutti i ricercatori (il comitato consultivo dell’ente regolatorio statunitense si è spaccato con 6 voti contrari e 8 favorevoli).
La decisione attesa entro il 22 giugno, dunque, potrebbe avere un effetto limitato nel tempo, in attesa del completamento di una sperimentazione più estesa che dovrebbe consentire di valutare meglio l’efficacia. In ogni caso bisognerà risolvere il problema delle difese immunitarie per poter ripetere il trattamento, perché nessuno pensa che un intervento one-shot in un bambino possa bastare durante la crescita e durare per sempre. Un altro approccio, questa volta basato sull’uso di CRISPR per correggere il gene difettoso e in via di sviluppo da parte di Vertex Pharmaceuticals, ha dato risultati incoraggianti nei modelli animali e potrebbe approdare alla sperimentazione clinica nel giro di un anno.