Prof. Alberto Burlina

Dalla terapia genica all’uso degli oligonucleotidi antisenso, passando per l’editing genomico. Sono diverse le strategie terapeutiche in studio per questa rara malattia metabolica

Un capitolo della medicina che ha risentito in maniera particolarmente positiva dei vantaggi della biologia molecolare è quello delle malattie metaboliche ereditarie nelle quali il deficit di specifici enzimi è causa di un accumulo di sostanze tossiche per l’organismo. Fra tutte spicca la fenilchetonuria (PKU) in cui l’analisi molecolare ha messo in rilievo l’esistenza di molte mutazioni, consentendo agli scienziati di ricorrere allo studio di diverse strategie terapeutiche: dalla terapia genica agli oligonucletotidi antisenso, senza trascurare le nuove tecniche di editing del genoma. Impariamo a conoscerle meglio con il prof. Alberto Burlina, Direttore del Centro Regionale Malattie Metaboliche Ereditarie della Regione Veneto e del Programma regionale Screening Neonatale Allargato per le Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliero-Università di Padova.

GLI ATTUALI TRATTAMENTI PER LA FENILCHETONURIA

La PKU è una malattia autosomica recessiva provocata da mutazioni sul gene della fenilalanina (uno degli amminoacidi essenziali per l’organismo) risultando nella carenza (o nella totale assenza) dell’enzima fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per la conversione della fenilalanina in tirosina. Quest’ultima ricopre un ruolo fondamentale nella sintesi delle catecolamine e dei neurotrasmettitori pertanto un difetto di produzione dell’enzima PAH rischia di avere conseguenze gravissime per il cervello. Il deficit enzimatico comporta l’aumento dei livelli ematici di fenilalanina (nei casi più gravi di malattia si sale oltre 2000 𝜇mol/L quando i valori normali sono inferiori a 120 𝜇mol/L) e l’aumento di tale amminoacido determina la comparsa di un irreversibile danno neurologico con lesioni evidenziabili anche alla risonanza magnetica nucleare.

“I protocolli di screening neonatale per questa malattia hanno permesso una più celere identificazione dei neonati a rischio di sviluppare i sintomi - che alla nascita non sono visibili - e, di conseguenza, un pronto accesso al trattamento che oggi consiste sostanzialmente nell’avvio di un regime dietetico controllato in grado di ridurre l’introito di fenilalanina”, spiega il prof. Burlina, che ha recentemente partecipato Congresso Internazionale della Società di Malattie Metaboliche Ereditarie (Society for the Study of Inborn Errors of Metabolism, SSIEM) durante il quale sono state illustrate le ricerche in corso per aumentare il ventaglio di cure per la PKU. “L’approccio alternativo alla dieta in età adulta è oggi rappresentato dalla terapia enzimatica sostitutiva, approvata in Italia da circa un anno e che va valutata attentamente in quei pazienti in cui la dieta non è più accettata oppure che sono fuori terapia da lungo tempo. In ogni caso il paziente deve essere aderente alla terapia che va somministrata giornalmente (una o più volte)”.

TERAPIA GENICA

Purtroppo, l’aderenza alla terapia è un nodo cruciale per molti bambini che hanno difficoltà a mantenere il programma dietetico proposto. Pertanto, come evidenziato nel recente webinar organizzato da OMaR sulle prospettive terapeutiche contro questa malattia metabolica, i ricercatori stanno considerando la possibilità di nuove forme di trattamento, una di queste è la terapia genica. “Dal momento che l’enzima PAH è espresso nel fegato, l’idea di agire con la terapia genica a livello delle cellule epatiche potrebbe condurre a una cura definitiva per la PKU”, commenta Burlina. “Sono molti gli studi clinici attualmente in corso con approcci di terapia genica, che utilizzano vettori virali per introdurre nell’organismo copie sane del gene mutato. Tutti i trial sono attualmente condotti in centri di ricerca statunitensi e la quasi totalità si trova ancora in Fase I/II. Fra di essi c’è anche quello con BMN-307, la terapia genica messa a punto da Biomarin Pharmaceuticals”.

Lo studio clinico condotto con BMN-307 dovrà produrre dati su tollerabilità, sicurezza ed efficacia della nuova terapia. Il trial è stato avviato a fine 2020 e ha come obiettivo il reclutamento di 100 pazienti affetti da PKU che saranno divisi in tre gruppi ai quali saranno somministrate dosi diverse della terapia genica sperimentale. “Lo studio avrebbe dovuto partire anche in Europa ma al momento risulta attivo solamente negli Stati Uniti”, aggiunge ancora Burlina. “La terapia genica per la PKU è un progetto che esiste da molti anni ma il suo percorso di evoluzione richiede tempo necessario a perfezionare i vettori virali e ridurre tutti i possibili rischi correlati”. Infatti, tra i criteri di esclusione dei pazienti dallo studio sono riportate alcune patologie epatiche dal momento che la terapia genica raggiunge proprio le cellule del fegato, un organo equiparabile a una centrale per la metabolizzazione della gran parte delle sostanze in circolo nel nostro organismo. Il tasso di eliminazione del transgene introdotto in un fegato in crescita rende la terapia genica meno adatta a fasce di popolazioni più giovani spingendo così gli scienziati a considerare anche altri approcci terapeutici.

OLIGONUCLEOTIDI ANTISENSO

A questo proposito, una ricerca di sicuro interesse riguarda gli oligonucleotidi antisenso (ASO), cioè brevi frammenti di RNA (o DNA) non codificanti in grado di modulare l’espressione di certe proteine dannose per l’organismo. Gli ASO rientrano nel gruppo delle terapie su RNA e ad agosto sono stati pubblicati sulla rivista Science i risultati di uno studio da cui si evince come l’iniezione di un RNA umano non codificante in un modello murino di PKU migliori sensibilmente i sintomi associati alla malattia.

C’è ancora molto lavoro da fare prima di giungere a una possibilità concreta di terapia ma questi dati uniti a quelli di un’altra recente pubblicazione, che ha riportato sulle pagine della rivista Molecular Therapy Nucleic Acids i risultati di uno studio - sempre su modello murino - di somministrazione di un mRNA codificante per l’enzima PAH, lasciano intendere che le prospettive siano incoraggianti. “Quello sull’RNA è un approccio differente rispetto alla terapia genica perché produce meno effetti collaterali, ma necessita di ripetute somministrazioni”, precisa il professore padovano. “Svariate aziende tra cui Moderna, divenuta celebre per la ricerca sui vaccini contro il virus SARS-CoV-2, stanno conducendo studi sperimentali vertenti su questo approccio e siamo in attesa dei risultati che auspichiamo di veder arrivare già nei prossimi anni”.

EDITING DEL GENOMA

Ulteriore possibile approccio alla PKU ci giunge dagli strumenti di modifica del genoma come CRISPR. In un articolo uscito sulle pagine della rivista Science Translational Medicine, il prof. Gerald Schwank e il suo team di ricerca, dell’ Istituto di Farmacologia e tossicologia di Zurigo (Svizzera), hanno realizzato uno studio che conferma la fattibilità di utilizzo in vivo della metodica del prime editing (che permette di individuare i nucleotidi errati in una sequenza del DNA e di sostituirli senza dover tagliare il doppio filamento) per il trattamento di topi modello per la PKU.

I risultati ottenuti hanno mostrato buoni tassi di modifica del DNA associati a un aumento dell’attività dell’enzima PAH (con conseguente abbassamento dei valori di fenilalanina nel sangue) ma, come già visto per altre ricerche, ciò non costituisce un punto di arrivo bensì di partenza. Sono molteplici le questioni di efficienza di questa strategia terapia o della dose più adatta che ancora meritano un risposta, il team guidato da Schwank dovrà continuare a lavorare per migliorare la progettazione degli enzimi di fusione e la scelta dei vettori di consegna adatti. Senza considerare il monitoraggio dei potenziali eventi avversi (fra di essi soprattutto la tossicità epatica).

“Il principale limite all’uso delle tecniche di editing del genoma è dato dall’elevato numero di mutazioni osservate in una certa malattia”, precisa Burlina. “La PKU presenta un elenco piuttosto lungo di differenti mutazioni riscontrabili in diverse regioni geografiche del mondo. Ciò rende complesso creare un modello di editing robusto per una malattia che abbia una frequenza simile a quella della PKU”.

ALTRI APPROCCI

“Infine, una concreta speranza di trattamento proviene dagli inibitori dell’assorbimento della fenilalanina a livello intestinale che possono essere assunti per via orale come delle semplici pastiglie e sono in grado di ridurre fino al 30% l’assorbimento della fenilalanina. Diversi studi sono in corso anche su questo fronte”, conclude Burlina. “Come pure sulla sepiapterina, una forma più attiva di tetrabiopterina riservata però ai pazienti già responsivi al cofattore della tetraidrobiopterina”.

In conclusione, se una lezione può venire dallo studio della biologia molecolare della fenilchetonuria è quella di ipotizzare multiple future opzioni di trattamento le quali, ci si augura, potranno proseguire il loro difficile percorso e tradursi un giorno in terapie efficaci e personalizzate da affiancare agli attuali programmi di screening neonatale.

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