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Terapia genica

Potrebbe accedere alla sperimentazione clinica già nel 2025. La nuova piattaforma di terapia genica è più efficace e sicura rispetto ai classici vettori basati su particelle virali

La terapia genica è la scommessa terapeutica del nostro tempo, poiché promette di “curare” malattie genetiche sostituendo i geni malati con una copia corretta. Una strada fatta di successi ma anche di tanti fallimenti (lo abbiamo raccontato nel podcast “Reshape – un viaggio nella medicina del futuro”) dato che, come tutti i trattamenti, anche la terapia genica può comportare dei rischi. Molti ricercatori stanno studiando nuove strategie per il “delivery”, o consegna, dei geni terapeutici nell’organismo per superare gli ostacoli legati all’uso dei vettori tradizionali. L’azienda statunitense biotech SonoThera ha appena ricevuto un finanziamento di circa 60 milioni di dollari per la sua piattaforma di terapia genica: funziona grazie agli ultrasuoni, è più sicura, e può veicolare geni più grandi rispetto ai classici vettori virali.

Attualmente esistono varie strategie o “vettori” per veicolare il gene terapeutico all’interno della cellula: ciascuna ha i suoi punti di forza, ma anche i suoi limiti.

I VETTORI VIRALI

I vettori virali (virus adeno-associati, adenovirus e retrovirus) sfruttano la capacità di un virus di infettare la cellula ospite e replicare al suo interno il materiale genetico. Su questa strategia si basano le diverse terapie geniche che sono attualmente autorizzate in Europa e negli Stati Uniti.

I vettori virali sono molto efficaci, ma anche complessi e costosi da produrre, e meno sicuri rispetto ad altre strategie. Anche se vengono resi innocui, perché deprivati dei propri geni per cui non possono replicare nell’organismo, il sistema immunitario li riconosce come estranei e produce anticorpi contro le proteine virali. Ed è questo il motivo per cui queste terapie sono “one shot”: ad ogni iniezione successiva alla prima gli anticorpi che si sono formati potrebbero annientare il virus, e con esso anche il gene terapeutico, rendendo la terapia inutile o, peggio ancora, causando gravi effetti collaterali.

L’altro grande limite è la dimensione dei geni che si possono trasferire all’interno del vettore, che dipende dalla capienza di ogni tipo di virus. Negli ultimi anni, ad esempio, sono emersi virus adeno-associati di nuova generazione, più sicuri e che possono trasferire geni più grandi – come i vettori cosiddetti “gutless”, che non esprimono proteine virali nella cellula trasdotta.

I VETTORI NON VIRALI

Dall’altra parte ci sono i vettori non virali, che in genere usano materiali biocompatibili e nanotecnologie per aumentare la cattura - o uptake - del DNA o dell’RNA da parte delle cellule. Una strategia è quella di complessare gli acidi nucleici con particelle di grasso (i liposomi) o polimeri, che veicolano il materiale genetico attraverso la membrana cellulare. L’altra soluzione è creare temporaneamente dei pori sulla membrana così che il DNA o l’RNA possano passarci attraverso: le tecniche più comuni sono l’elettroporazione (shock elettrico), la fotoporazione (raggio laser), la magnetoporazione (particelle magentiche), la sonoporazione (onde acustiche).

I vettori non virali sono più sicuri e possono trasportare geni molto più grandi rispetto ai virus, ma il trasporto attraverso la membrana è molto più difficile, perciò l’efficacia e l’espressione sono più basse.

TERAPIA GENICA A ULTRASUONI

Come conciliare i pro e i contro dei vari tipi di vettori? Una grossa sfida è proprio quella di sperimentare nuove strategie di delivery per superare gli ostacoli legati alle tecniche tradizionali, continuando però a sfruttare i loro punti di forza. L’azienda SonoThera, con sede a San Francisco, ha deciso di scommettere sulla sonoporazione, con una nuova forma di terapia genica che si basa sulle onde acustiche, in particolare gli ultrasuoni, per aumentare la permeabilità della membrana cellulare.

I ricercatori utilizzano una sonda ecografica e un agente di contrasto composto da microbolle ripiene di gas. Con un diametro compreso tra 1e 10 micrometri, le microbolle rimangono confinate nel circolo sanguigno e riflettono gli ultrasuoni in maniera diversa rispetto agli organi e ai tessuti, sono infatti usate nell’imaging vascolare e negli studi di perfusione. Quando sono colpite dagli ultrasuoni, le microbolle possono ingrandirsi e contrarsi, ma se l’onda supera una certa intensità, collassano su sé stesse, un fenomeno noto come cavitazione. Durante questo processo, rilasciano una “violenta” onda d’urto e un getto d’acqua, che distruggono l’integrità dei vasi sanguigni e permettono l’extravasazione (la migrazione fuori dal torrente circolatorio) delle sostanze. Questo fenomeno può essere sfruttato per il delivery dei farmaci o dei geni, che avviene sia per via passiva, grazie alla formazione di pori transitori sulla membrana, sia per via attiva, per mezzo dell’endocitosi, ovvero il trasporto di materiali all’interno della cellula.

LE APPLICAZIONI

Questa tecnologia ha già trovato applicazione nel rilascio di agenti chemioterapici, trombolitici, nella terapia renale e nel trasporto attraverso la barriera ematoencefalica. La nuova frontiera ora è proprio la terapia genica, che grazie a questa nuova piattaforma potrebbe migliorare la propria sicurezza ed efficacia. In uno studio, i ricercatori hanno trasferito il gene per il VEGF (fattore di crescita vascolare endoteliali), e altri fattori di crescita, nel muscolo cardiaco di topi dopo un infarto. In un secondo esperimento, il gene che codifica per la proinsulina è stato somministrato nel pancreas di ratti con diabete sperimentalmente indotto.

LE PROSPETTIVE FUTURE

Questa strategia ha diversi vantaggi: è relativamente economica e può trasferire geni molto grandi in maniera più efficace rispetto ai vettori tradizionali, ma anche farmaci e altri tipi di molecole. Le molecole di DNA o di RNA possono essere caricate direttamente sulla superficie delle microbolle – una modifica che aumenta l’uptake in vitro e la deposizione sul tessuto bersaglio in vivo, limitando gli effetti off-target (ovvero su tessuti diversi da quello bersaglio).

In teoria, le microbolle possono essere combinate con qualunque vettore già esistente: DNA plasmidico, liposomi, polimeri, vettori virali. Anche il design delle microbolle può essere migliorato, modificando le loro dimensioni e l’architettura della loro superficie, ad esempio introducendo dei recettori per legare bersagli specifici. Ci troviamo di fronte ad una nuova frontiera tutta da esplorare

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