Terapia genica

Ricercatori statunitensi hanno dimostrato, su modelli animali, che è possibile modulare la terapia genica. Offrendo così una soluzione al problema di sicurezza.

Un po’ come un rubinetto che ci permette di regolare il flusso di acqua desiderato, così un gruppo di ricercatori dello Scripps Research in Florida, ha messo a punto un “interruttore molecolare” che, se incorporato nelle terapie geniche, potrebbe permettere di regolarne l’attività. La ricerca preclinica, pubblicata lo scorso dicembre su Nature Biotechnology, è stata condotta su modelli animali e ha fornito risultati positivi, che se confermati in ulteriori studi potrebbero offrire la prima soluzione per regolare la dose dei geni terapeutici. Risolvendo cosi un problema di sicurezza che finora ha limitato la diffusione di nuove terapie geniche.

Il risvolto della medaglia
Una terapia genica ha il potenziale di curare una malattia inserendo copie di un gene terapeutico nell’organismo del paziente, che sostituiscono o “correggono” un gene mancante o difettoso alla base della patologia. Allo stesso tempo però rappresenta una cura irreversibile perché, una volta consegnato il gene terapeutico, questo non può generalmente essere disattivato o modulato. Motivo per cui gli enti regolatori di tutto il mondo mostrano sempre un’enorme cautela nell’approvare questo genere di terapie avanzate, richiedendo sempre numerose e solide prove di sicurezza prima di autorizzarne l’uso in clinica. Il team guidato da Michael Farzan, proprio per cercare di regolare gli effetti delle terapie geniche, ha inserito dentro il gene terapeutico che produce l’ormone eritropoietina (EPO) – utilizzato come trattamento per l’anemia – una molecola in grado di sopprimere l'espressione del gene a livelli molto bassi e in seguito ha usato un oligonucleotide antisenso – di tipo “morfolino” – già approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per altre indicazioni – come “antidoto”, in grado di aumentare a piacimento l'espressione del gene terapeutico.

Un ingegnoso interruttore “on-off”
Nel dettaglio l’interruttore transgenico creato dai ricercatori dello Scripps Research deriva da una famiglia di molecole di RNA chiamate “ribozimi a testa di martello” (ribozima hammerhead), cioè un particolare tipo di RNA (il ribozima) in grado di catalizzare una reazione chimica come gli enzimi, che invece sono proteine. I ribozimi hammerhead in particolare hanno la capacità di dividersi in due non appena sono copiati in RNA dal DNA che li codifica. Se il DNA codificante un ribozima hammerhead viene quindi inserito all’interno di un gene terapeutico, porterà alla scissione dell’RNA prima che possa portare alla produzione delle proteine desiderate. Tuttavia, questa auto-scissione del ribozima può essere bloccata dai morfolino, che essendo oligonucleotidi antisenso simili all'RNA possono agganciarsi al sito attivo del ribozima bloccandolo. In questo caso la trascrizione del gene terapeutico rimarrà intatta e questo sarà tradotto nella proteina che potrà svolgere la sua funzione “curativa”. Il ribozima agisce quindi come un interruttore in grado di “spegnere” il gene terapeutico, mentre il morfolino, iniettato nel tessuto in cui si trova il gene, funziona come una sorta di “antidoto” che può riattivare il gene in maniera dipendente dalla dose in cui viene somministrato.

La ricerca in vivo
Dopo aver valutato e scelto il tipo di ribozima più adatto, che permettesse un maggior intervallo di modulazione dell’attività, i ricercatori lo hanno testato in un modello murino di terapia genica EPO, non ancora approvata dalla FDA, ma considerata potenzialmente migliore degli attuali trattamenti per l’anemia associata a grave malattia renale. Il team guidato da Farzan ha iniettato, nel tessuto muscolare dei topi, un gene terapeutico EPO con incorporato un ribozima che ha soppresso la produzione di EPO fino a un livello molto basso. In seguito, l’iniezione di una piccola dose di morfolino nel tessuto interessato ha invertito la soppressione in maniera efficace, consentendo una regolazione dose-dipendente dell'espressione proteica fino a 223 volte per almeno 43 settimane. Un tempo molto maggiore rispetto all’emivita di alcune ore dell’EPO erogata con un'iniezione standard.
“Penso che il nostro approccio offra attualmente l'unico sistema in grado di regolare la dose di una terapia genica in un animale o in un essere umano” ha affermato Farzan, che ha anche aggiunto come la tecnica sia relativamente semplice e agevolata dal fatto che il morfolino è un oligonucleotide antisenso già studiato e considerato sicuro dall’ FDA. Il che potrebbe consentirne l'utilizzo in un'ampia varietà di terapie geniche. “Questi interruttori a RNA, modulari ed efficienti, possono migliorare la sicurezza e l'efficacia delle terapie geniche e ampliarne l'utilizzo” hanno concluso gli autori del lavoro.

 

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