Il percorso è dettagliatamente descritto nel documento stilato da un gruppo di 14 esperti con diverse competenze. Sarà un punto di riferimento anche per altre terapie avanzate
Pensare ad una terapia avanzata, produrla, svilupparla e introdurla sul mercato è un’ardua impresa. Tuttavia ritenere che la commercializzazione costituisca il traguardo finale rappresenta un errore perché l’ultimo miglio, quello più faticoso, consiste nel passare alla pratica clinica: portare la terapia al letto del paziente. A spiegare per quali ragioni quello che, in apparenza, sembra un passaggio scontato è, invece, un serio ostacolo da superare è la prof.ssa Francesca Simonelli, Direttrice della Clinica Oculistica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” di Napoli, la quale ha recentemente pubblicato - insieme a un gruppo di esperti - sulla rivista AboutOpen Ophthalmology il primo PDTA per l’erogazione della terapia genica per una specifica forma di distrofia retinica ereditaria.
L’insieme delle distrofie retiniche ereditarie include molteplici forme cliniche legate a differenti geni, ma solo per quella legata alla mutazione biallelica del gene RPE65 è stata approvata la prima terapia genica oculare: si tratta di voretigene neparvovec (nome commerciale Luxturna®) a cui l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha concesso la rimborsabilità nel gennaio 2021. Da allora numerose cliniche oculistiche hanno avanzato domanda di autorizzazione all’erogazione della terapia ma, a conti fatti, soltanto una parte di esse risulta realmente in grado di farsi carico dei pazienti. Tra queste c’è proprio la Clinica Oculistica della prof.ssa Simonelli presso cui, ad oggi, 25 pazienti hanno già ricevuto il trattamento con voretigene neparvovec.
REQUISTI SPECIFICI PER SOMMINISTRARE LA TERAPIA GENICA…
“Non è solo una questione di epidemiologia”, afferma Simonelli. “Sebbene voretigene neparvovec sia destinata a curare una forma di distrofia retinica ereditaria molto rara che interessa ogni anno 2-3 persone in Italia (le stime per il nostro Paese indicano, ad oggi, un totale di circa 70 pazienti, n.d.r.), il reale problema è di tipo organizzativo. Autorizzare un centro alla somministrazione di terapie come questa significa prima di tutto acquistare sofisticate strumentazioni - che non sono generalmente in uso nella pratica clinica - per la valutazione degli esiti della terapia e, pertanto, dotarsi anche di personale in grado di effettuare gli esami ed interpretarne correttamente i risultati”. Bisogna, dunque, predisporre un solido percorso di formazione per il team dedicato ed organizzare al meglio il percorso di presa in carico e cura del paziente da sottoporre alla terapia genica.
“Non c’è spazio per l’improvvisazione anche perché la somministrazione della terapia non termina con l’atto chirurgico”, riprende la prof.ssa Simonelli. “Pertanto per poter essere accreditati come centri competenti servono requisiti minimi derivanti da una solida conoscenza, maturata nel tempo, degli aspetti clinici e genetici dei pazienti affetti da distrofie retiniche ereditarie”. Una lezione che a Napoli è stata appresa e messa in pratica fin da quando, nel 1990, è stato aperto il Centro Studi Retinopatie Ereditarie presso l’Università “Luigi Vanvitelli”. Negli anni il piccolo ambulatorio è divenuto prima un Centro di Riferimento Regionale e poi Nazionale. Successivamente, è entrato a far parte della Rete Europea di Riferimento per le Malattie Oculari Rare (ERN-EYE) e, attualmente, sono quasi 4 mila i pazienti in cura presso la Clinica Oculistica diretta dalla prof.ssa Simonelli. “Ogni paziente viene seguito dal nostro team multidisciplinare, che comprende oculisti esperti di distrofie retiniche ereditarie e chirurghi della retina, ortottisti, genetisti, psicologi, operatori di mobilità e farmacisti”, prosegue la professoressa di Oftalmologia. “I pazienti sono sottoposti a follow-up annuali programmati e anche coloro che accedono al centro per la prima volta lo fanno seguendo le indicazioni di un Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale (PDTA) approvato dalla Regione Campania, che definisce tutti gli step della presa in carico del paziente affetto da distrofie retiniche ereditarie indicando nel dettaglio gli esami necessari per un corretto inquadramento clinico e genetico della malattia”.
…PER OTTENERE LE MASSIME CONDIZIONI DI EFFICACIA E SICUREZZA
Il PDTA è, quindi, lo strumento di elezione per far funzionare al meglio il complicato meccanismo di somministrazione della terapia genica, ma il cuore pulsante di un PDTA è il gruppo di persone che lo compone. “Abbiamo costituito un gruppo multidisciplinare di 14 esperti di comprovata esperienza nella diagnosi e nella cura distrofie retiniche ereditarie e nella gestione ed erogazione della terapia genica”, aggiunge la prof.ssa Simonelli. “Il gruppo è composto da oculisti esperti di genetica, chirurghi specialisti della somministrazione sottoretinica, esperti delle politiche del farmaco e di economia sanitaria e rappresentanti dei pazienti. Insieme abbiamo analizzato l’attuale percorso diagnostico-terapeutico e i criteri minimi necessari che un centro erogatore deve possedere per somministrare voretigene neparvovec, garantendo al paziente massima efficacia e sicurezza”.
Un obiettivo che è in linea con le finalità del retreAT: il progetto multi-stakeholder di Osservatorio Terapie Avanzate, che è attualmente in corso e riunisce, intorno a 5 tavoli tematici, oltre 40 esperti del settore delle terapie avanzate (ricercatori, clinici - tra cui la stessa Simonelli – associazioni di pazienti, aziende e rappresentanti delle Istituzioni) con lo scopo di analizzare le criticità relative alle terapie avanzate e, soprattutto, formulare proposte concrete e immediatamente applicabili per rendere tali innovazioni terapeutiche disponibili per tutti i pazienti che ne hanno bisogno.
Il PDTA è strutturato in tre aree di interesse che comprendono il percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti affetti da distrofie ereditarie della retina, i requisiti essenziali dei centri erogatori della terapia genica e il modello standardizzato per la somministrazione della stessa. “Bisogna stabilire in anticipo i requisiti minimi essenziali richiesti per un centro che eroga la terapia genica”, afferma la prof.ssa Simonelli. “Pochi centri ma ben organizzati possono raccogliere casistiche robuste grazie a cui ottenere dati e informazioni per migliorare ulteriormente la pratica terapeutica”.
COINVOLGERE I PEDIATRI PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
Una componente fondamentale del gruppo multidisciplinare è data dal pediatra di libera scelta che deve possedere le conoscenze utili a individuare con tempestività i primi segni della malattia e indirizzare i bambini presso il relativo centro di riferimento per le distrofie retiniche ereditarie dove potranno sottoporsi al test genetico. “Sarebbe utile poter inserire il test per la ricerca delle mutazioni nel gene RPE65 (bersaglio di voretigene neparvovec, n.d.r.) in un programma di screening neonatale esteso”, continua la prof.ssa Simonelli. “Infatti, la terapia va effettuata quanto più precocemente possibile, in quanto se applicata tardivamente non consente un reale recupero della capacità visiva, come quando applicata per esempio in età infantile. Se si identifica la mutazione del gene RPE65 e si tratta precocemente il paziente, è possibile evitare la cecità”. A volte i piccoli pazienti arrivano a consultare fino a 8-9 oculisti prima di raggiungere una diagnosi definitiva, perdendo tempo prezioso e rischiando un peggioramento della vista ben più difficile da contrastare anche con la terapia genica.
DIAGNOSIS RELATED GROUP (DRG) PER LE TERAPIE AVANZATE
Tuttavia, un PDTA che riunisca tutti questi elementi ancora non è sufficiente: tra i fattori che limitano l’accesso alle terapie avanzate emerge in maniera netta la mancanza di una voce specifica nel “Diagnosis Related Group” (DRG). “Ai pazienti da noi trattati con la terapia genica abbiamo applicato il DRG impiegato nella vitrectomia, poiché ad oggi non esiste nulla di specifico per le terapie avanzate oculari”, conferma la prof.ssa Simonelli. “Serve un DRG ad hoc e con un pagamento ascrivibile alla complessità di tutto il percorso comprendente, oltre all’atto chirurgico, le visite di follow-up che includono numerosi ed impegnativi test clinici da svolgere nel tempo. Questo per permettere di distribuire al meglio le risorse in termini di personale, di attrezzature e di spazi da dedicare”. Un tema sicuramente caldo in un momento - come quello attuale - di grande difficoltà per la Sanità italiana. “L’emorragia di medici e infermieri a cui stiamo assistendo oggigiorno, e che nessuno sembra poter arrestare, farà sì che l’attenzione sia rivolta principalmente a malattie oculari a maggior diffusione sul territorio, come la cataratta, il glaucoma o le maculopatie”, sottolinea la prof.ssa Simonelli. “Tutto ciò andrà a discapito della malattie rare e questo non possiamo permetterlo”.
Ecco perché è necessario capire quali sono le strutture che in Italia posseggono realmente i criteri adatti a erogare una terapia così complessa, come voretigene neparvovec. Su tali strutture occorre puntare per ottimizzare le risorse e creare iniziative concrete a rinforzo della loro operatività. “Serve un gruppo di lavoro all’interno del Ministero della Salute, completamente dedicato alle terapie avanzate - conclude la prof.ssa Simonelli - che possa lavorare per selezionare attentamente i centri deputati al trattamento, formulare uno specifico DRG per la terapia genica oculare, anche introducendo parametri di valutazione dell’efficacia del trattamento. Tante sono le criticità da discutere e risolvere ma, prima di ogni cosa, servono competenze specifiche presso il Ministero della Salute per un’interlocuzione concreta ed efficace che si risolva in una migliore presa in carico e cura dei pazienti affetti da malattie oculari rare”.