giornata nazionale della SLA

I primi risultati hanno evidenziato un rallentamento della progressione di malattia e un aumento della durata di vita dei topolini. Ma è presto per cantare vittoria poiché la ricerca è ancora in fase iniziale 

Ieri, 18 settembre, si è celebrata la giornata nazionale della sclerosi laterale amiotrofica (SLA), promossa da AISLA Onlus. Parlare di nuove opzioni di cura per la SLA è, purtroppo, ancora prematuro perché sono ancora diverse le lacune mediche e scientifiche relative a questa grave patologia neurodegenerativa, e riguardano sia l’aspetto diagnostico che terapeutico. Non sono ancora ben chiari i meccanismi biologici che portano allo sviluppo della SLA e nemmeno si conosce l’elenco completo dei geni che la innescano. In queste condizioni immaginare un trattamento efficace equivale a una sfida che, tuttavia, un gruppo di ricercatori della San Diego School of Medicine presso l’Università della California ha accolto, contando sulle potenzialità offerte dalla terapia genica.

In un recente articolo apparso sulle pagine della rivista scientifica Theranostics, il team statunitense ha descritto i risultati ottenuti su un modello animale di SLA - è importante fare chiarezza che si tratta di ricerca ancora in fase preclinica per non creare false speranze - con un approccio di terapia genica sperimentale facente perno sulla proteina caveolina-1 (Cav-1). Le caveoline sono proteine di membrana coinvolte in numerosi processi di trasporto cellulare. In precedenti ricerche gli studiosi californiani avevano osservato i benefici a livello di plasticità del cervello derivanti dal sviluppo di una terapia che prendesse a bersaglio Cav-1. In particolare, avevano intuito come una terapia in grado di fornire questa proteina alle cellule neuronali avesse la possibilità di preservare la memoria e i processi di apprendimento in un modello animale della malattia di Alzheimer. Da qui i ricercatori hanno avviato il percorso per lo sviluppo di una terapia genica in grado di favorire l’espressione di Cav-1 nei neuroni di alcuni topi di laboratorio affetti da una forma familiare di SLA. Il risultato è stato un aumento della sopravvivenza degli animali trattati e una preservazione dei motoneuroni, le strutture che nella SLA subiscono un progressivo deterioramento.

La terapia genica messa a punto nei laboratori dell’Istituto di ricerca californiano prevede l’utilizzo di un vettore virale adeno-associato (AAV) di tipo 9 per trasportare all’interno delle cellule un frammento di cDNA della sinapsina-Caveolina-1 (AAV9-SynCav1). Il costrutto è stato inoculato nei topi nello spazio sottostante le meningi, che è ben irrorato di vasi e capillari sanguigni, e ha mostrato subito una buona efficace nel ritardare la progressione della malattia, preservando le funzioni dei neuroni. Ma ciò che ha suscitato maggiormente l’entusiasmo dei ricercatori è il fatto che tale azione neuroprotettiva sia stata raggiunta indipendentemente dalla possibilità di prendere di mira la proteina tossica SOD1, spesso associata all’insorgenza della SLA. Infatti, l’idea degli scienziati dell’Università di San Diego è stata quella di concentrarsi su Cav-1, una proteina che regola i processi di endocitosi e di traffico vescicolare, preservando rispettivamente la funzione mitocondriale nel modello murino di Alzheimer e la morfologia dei mitocondri nel midollo spinale dei topi con SLA. Tutto ciò conferma il ruolo centrale che questa proteina gioca in vari scenari, pertanto una terapia genica incentrata su di essa potrebbe rivelarsi promettente non soltanto per la SLA ma anche per altre patologie come la malattia di Alzheimer.

A questo stadio il condizionale è d’obbligo poiché l’effetto neuroprotettivo e la prolungata longevità sono stati rilevati soltanto in un modello murino - e non bisogna dimenticare che nel caso della SLA sono in corso studi anche per la messa a punto di modelli di malattia sempre più attendibili allo scopo di testare al meglio l’efficienza dei nuovi trattamenti.

Inoltre, oggi come oggi, i tentativi di individuare un trattamento per la SLA originano da molti punti di partenza e si sviluppano attraverso approcci differenti, dalle ricerche sui nuovi farmaci a quelle sulle cellule staminali. Tra le più recenti vi sono quelle che hanno riconosciuto un ruolo importante alla proteina TDP-43, ma molte sono le domande a cui occorre trovare una risposta. Pertanto, quanto proposto dagli scienziati dell’Università della California merita attenta considerazione, benché la comunità scientifica sia ancora lontana dalla soluzione a un rebus sul quale in molti si stanno scervellando e che per ora rimane uno dei più grandi misteri della medicina.

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