Pur essendo in fase sperimentale, i risultati sono buoni e paragonabili con quelli del trapianto da donatore. In futuro potrebbe essere la prima scelta terapeutica.
Con il termine adrenoleucodistrofia non ci si riferisce a una sola malattia, ma ad uno spettro di manifestazioni cliniche diverse e rare, causate da mutazioni del gene ABCD1 localizzato sul cromosoma X. Una diagnosi difficile da accettare, specialmente nel caso della forma cerebrale che colpisce i bambini in tenera età, con un percorso complesso da affrontare per il paziente e per i familiari. Il trapianto di midollo è attualmente l’unica terapia possibile per la forma cerebrale, ma con la terapia genica si potrebbero avere ottimi risultati e ridurre i rischi, anche se il punto cruciale resta la necessità di includere questa patologia nel pannello di screening neonatale esteso.
I sintomi di questa patologia sono collegati all’accumulo anomalo di acidi grassi saturi a catena lunga e molto lunga (VLCFA, Very Long Chain Fatty Acids) in alcune cellule del sistema nervoso, che porta alla demielinizzazione e ai conseguenti danni all’organismo. L’adrenoleucodistrofia legata all’X (X-CALD) è la più grave e si manifesta nei primi anni di vita, causando un progressivo deterioramento neurologico nel bambino che, se non diagnosticato precocemente, ha una evoluzione drammatica. La forma dell’adulto è l’adrenomieloneuropatia (AMN) e poi esiste la forma con insufficienza corticosurrenalica isolata. A causa della localizzazione della mutazione sul cromosoma X, i maschi risultano affetti dalla patologia mentre le femmine possono manifestare una forma meno grave simile alla AMN.
I sintomi sono estremamente variabili e l’inquadramento diagnostico complicato. La terapia di supporto per l’adrenoleucodistrofia comprende l’assunzione di steroidi e la fisioterapia. Per ora l’unica soluzione possibile per la forma cerebrale è il trapianto di midollo osseo da donatore compatibile, che deve essere fatto appena si manifestano i primi segni della malattia, altrimenti non si hanno i miglioramenti previsti. Fondamentale è quindi la diagnosi precoce, possibile solo nel caso in cui ci siano già stati casi di mutazione del gene ABCD1 in famiglia. Va sottolineato che il trapianto di midollo non può essere fatto in via preventiva una volta scoperta la mutazione, proprio a causa delle molteplici forme con cui si manifesta la patologia, visto che non per tutte è necessario sottoporsi a questo intervento. Purtroppo, anche in caso di necessità non sempre si trovano donatori compatibili: è in questo frangente che una strategia terapeutica innovativa come la terapia genica potrebbe essere utile per salvare delle vite. Pur essendo in fase sperimentale, i risultati sono buoni e paragonabili con quelli del trapianto da donatore. In futuro potrebbe essere la prima scelta anche per chi ha un donatore compatibile, perché riduce i rischi e non necessita dei trattamenti immunosoppressivi pre-trapianto.
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