Occhio

Per la prima volta un paziente reso cieco da questa malattia ha recuperato parzialmente la vista, grazie a una terapia genica che rende le cellule della retina sensibili alla luce

Dopo quaranta anni di cecità, un paziente affetto da retinite pigmentosa ha potuto riconoscere e contare gli oggetti all’interno nel proprio campo visivo. La strategia che gli ha restituito parzialmente la vista è basata sull’optogenetica, una tecnica che ha permesso di modificare geneticamente le cellule retiniche del paziente per renderle sensibili alla luce. L’utilizzo di un paio di occhiali hi-tech ha quindi proiettato le immagini sulla sua retina sotto forma di impulsi luminosi per attivare le cellule modificate. Sono i risultati, ancora preliminari, della sperimentazione clinica di Fase I/II PIONEER e rappresentano il primo caso di parziale successo dopo terapia optogenetica. Lo studio, frutto di un’ampia collaborazione internazionale, è stato pubblicato a maggio su Nature Medicine.

RETINITE PIGMENTOSA E TERAPIE INNOVATIVE

La retinite pigmentosa, indicata anche con l’acronimo RP, si riferisce a un gruppo di malattie ereditarie della retina che provocano perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. La stima è che colpisca circa una persona su 4000 e rientra tra le malattie rare. Può essere causata da varie mutazioni genetiche in più di 70 geni diversi, che il paziente eredita da uno o entrambi i genitori e che sono indispensabili per il funzionamento dell’occhio. La RP, infatti, distrugge progressivamente i bastoncelli e i coni – le cellule nervose della retina che trasformano la luce in informazioni per il cervello. I sintomi si manifestano generalmente prima dei 20 anni e, in alcune forme di RP, oltre alla perdita della vista si ritrovano altre alterazioni come la sordità.

Diverse strategie terapeutiche innovative contro la RP e le altre malattie della retina sono in fase di ricerca preclinica o clinica. Dall’uso delle cellule staminali alle protesi retiniche, lo scopo è quello di sostituire o riparare la funzione dell’organo difettoso. Nella maggior parte dei casi, quando la malattia è monogenica – ossia causata dalla mutazione in un singolo gene – la terapia genica o l’editing genomico possono correggere il difetto genetico e ripristinare la funzione persa.

Ad oggi esiste un’unica terapia genica autorizzata per le distrofie retiniche ereditarie, approvata a livello europeo nel 2018 e in Italia dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) nel 2021. Si tratta di voretigene neparvovec (nome commerciale Luxturna), sviluppata da Novartis contro le malattie della retina causate dalla mutazione del gene RPE65. La terapia ripristina l’attività del gene, ma è efficace solo contro una forma di RP a esordio precoce legata alla mutazione di RPE65. Non esiste invece alcuna terapia per le altre forme, soprattutto nella fase avanzata, quando il paziente è ormai cieco.

OPTOGENETICA: IL TRIAL CLINICO PIONEER

Una collaborazione internazionale di ricercatori, coordinata dall’oftalmologo Botond Roska dell’istituto di oftalmologica molecolare e clinica in Svizzera, ha sperimentato una tecnica innovativa di terapia genica basata sull’optogenetica. Si tratta di un metodo emergente, che permette di attivare o disattivare cellule nervose geneticamente modificate, per mezzo di impulsi luminosi con tempi velocissimi (nell’ordine del millisecondo). I ricercatori hanno pubblicato su Nature Medicine i risultati ancora preliminari su uno dei 15 pazienti arruolati nel trial clinico di Fase I/II PIONEER, che è iniziato nel 2018 e si concluderà nel 2025.

La terapia consiste nell’iniezione intraoculare, in un solo occhio, di un vettore virale adeno-associato (AAV) – vettore molto usato nella terapia genica in vivo - che trasporta nelle cellule della retina un gene che esprime ChrimsonR, una proteina transmembrana attivata dalla luce. Questo sensore optogenetico reagisce agli stimoli luminosi permettendo il passaggio di ioni attraverso la membrana, che genera un segnale all’interno della cellula. Le cellule geneticamente modificate sono precisamente quelle della fovea, la regione della retina di maggiore acutezza visiva. L’espressione della proteina le rende sensibili alle radiazioni luminose della lunghezza d’onda di 590 nm.

Ma la modifica, da sola, non basta. Dopo 4 mesi e mezzo dal trattamento genico – il tempo necessario per fare esprimere la proteina nella retina – il paziente ha indossato un paio di occhiali hi-tech dotati di una telecamera. Gli occhiali catturano le immagini presenti nel suo campo visivo e le trasformano in impulsi luminosi con una lunghezza d’onda di 595 nm. Gli impulsi vengono quindi proiettati sulla retina, dove attivano le cellule geneticamente modificate e generano immagini.

I BENEFICI SUL PAZIENTE

Il paziente in questione è un uomo di 58 anni affetto da retinite pigmentosa e cieco da quasi 40 anni. Prima di iniziare lo studio, percepiva solo la presenza della luce, ma non riusciva a distinguere nessun oggetto. La terapia non ha prodotto effetti collaterali, mentre i benefici sono stati più che soddisfacenti. Il paziente, grazie al trattamento e agli occhiali, è riuscito a riconoscere, localizzare e contare gli oggetti nel proprio campo visivo.

Nei test, uno o più bicchieri venivano - o non venivano - posizionati sopra un tavolo bianco, a una certa distanza dal paziente ma all’interno del suo campo visivo. Lui doveva dire se l’oggetto era presente ed eventualmente indicarlo o toccarlo. Se gli oggetti erano più di uno, doveva anche contarli. La percentuale di risposte corrette, in molti casi, è stata superiore al 60%, ma solo in presenza degli occhiali. Con l’occhio non trattato o con quello trattato ma senza gli occhiali, invece, il paziente non è stato in grado di distinguere, localizzare o contare gli oggetti.

I risultati sono stati anche documentati con un elettroencefalogramma, che ha registrato nella corteccia un’attività neuronale associata alla visione degli oggetti, dimostrando che i segnali proiettati sulla retina raggiungono anche il cervello.

Il trial clinico PIONEER rappresenta il primo caso di recupero parziale della vista con una terapia optogenetica. Lo studio si concluderà nel 2025 e se i dati ne confermeranno l’efficacia, questo nuovo approccio potrebbe migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da retinite pigmentosa. Secondo i ricercatori, li aiuterebbe a compiere banali ma essenziali azioni quotidiane come localizzare un piatto, una tazza o un telefono, un mobile in una stanza o una porta in un corridoio.

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