terapia genica, malattie cardiologiche, sindrome del QT lungo

Prof.ssa Silvia Priori (Pavia): “Dobbiamo domandarci se una ricerca possa portare a un prodotto brevettabile che posso salvare vite, e non solo a una buona pubblicazione scientifica” 

Ieri, 31 marzo, la professoressa Silvia Priori, Ordinario di Cardiologia presso l’Università degli Studi di Pavia e Direttrice dell’Unità di Cardiologia Molecolare dell’IRCCS Maugeri di Pavia, è stata insignita del Valentin Fuster Award for Innovation in Science, un premio intitolato al noto cardiologo di origini spagnole che ha trascorso anni al Mount Sinai Hospital di New York. È un riconoscimento internazionale che l’American College of Cardiology quest’anno ha deciso di tributare alla ricercatrice italiana, da sempre dedita allo studio delle malattie cardiologiche, non solo rare ma anche ultrarare. Grazie al suo impegno due terapie geniche sono state messe a punto, ma solo una sta - per ora - proseguendo l’iter di sviluppo clinico. Partendo dagli esempi della sua ricerca in campo cardiologico, la professoressa Priori ci ha illustrato quali sono le sfide che deve affrontare un ricercatore per sviluppare una terapia avanzata e farla arrivare fino ai pazienti.

Come emerso dai lavori del retreAT - portati avanti da Osservatorio Terapie Avanzate negli ultimi tre anni - il viaggio di una terapia avanzata dalle fasi di progettazione fino a quelle di validazione e all’immissione finale sul mercato per portarla al letto dei pazienti, è lungo e denso di ostacoli. Negli ultimi anni non sono state poche le terapie geniche ritirate dal commercio (potete scaricare la tabella riassuntiva qui), a volte per problemi di contrattazione con le autorità regolatorie, altre perché la loro stessa sostenibilità economica appariva fragile. Ciò preoccupa in primo luogo quanti stanno conducendo programmi di ricerca e investendo su nuovi possibili trattamenti e al contempo apre un fronte di discussione circa la possibilità di mantenere sul mercato terapie che rappresentano l’unica opportunità di cura per alcuni malati rari. 

Professoressa, Lei e il suo team avete sviluppato una terapia genica per la sindrome del QT lungo di tipo 8: in cosa consiste tale trattamento?

Innanzitutto per studiare una condizione così rara come la sindrome del QT lungo di tipo 8 (LQT8) non si può non avere a disposizione un modello accurato, in grado di replicare le caratteristiche patofisiologiche che osserviamo nel paziente. Perciò, abbiamo dapprima elaborato un modello suino della LQT8, inserendo nel gene CACNA1C la mutazione che causa la LQT8 ottenendo la nascita di suini affetti dalla patologia. In questo modo abbiamo ottenuto un modello ben preciso della malattia su cui abbiamo condotto le successive ricerche. Da qui siamo partiti per progettare una terapia genica.

Come funziona la vostra terapia sperimentale?

La LQT8 è causata da due mutazioni: la presenza di una sola di esse è sufficiente a causare la malattia. La presenza di un numero limitato di difetti genetici ha facilitato lo sviluppo della terapia. Abbiamo scelto un vettore virale adeno-associato di tipo 8 (AAV8) che raggiunge con maggiore facilità il cuore e lo abbiamo privato del DNA virale sostituendolo con un frammento di RNA in grado di appaiarsi in maniera complementare all’RNA del gene CACNA1C mutato, che determina la produzione di un canale del calcio difettoso che genere la gravi aritmie che portano a morte i pazienti nella prima infanzia. È dunque una terapia basata sul meccanismo dell’interferenza a RNA grazie a cui possiamo ridurre il quantitativo di proteina anomala che, nel caso della LQT8 porta ad accorciamento dell’intervallo QT e ad una importante riduzione delle gravi aritmie.

Una ricerca originale che però non ha ancora trovato un’azienda che scelga di portare la terapia in clinica.

Abbiamo disegnato la molecola terapeutica con cui spegnere selettivamente la produzione di RNA sull’allele mutato ottenendo risultati positivi e incoraggianti. Adesso vogliamo individuare un’azienda che desideri dare un seguito al percorso di sviluppo della terapia. Da soli non possiamo farcela. Un farmaco come questo, sintetizzato per salvare delle vite, deve essere adottato da un’azienda che ne porti avanti nel tempo lo sviluppo clinico, altrimenti rimarrà un’occasione mancata per dare un futuro ai pazienti a rischio di morte improvvisa. 

Che cosa dissuade le aziende dall’impegnarsi su questo versante?

Le malattie come la LQT8 sono rare proprio perché la patologia ha un alto tasso di mortalità nei primi anni di vita. Purtroppo, il mercato delle terapie geniche per il cuore è ancora ristretto perché quest’organo è uno degli ultimi su cui i ricercatori di tutto il mondo hanno iniziato a plasmare i loro progetti. Questo ritardo è in parte dipeso dalla difficoltà di identificare dei vettori in grado di raggiungere in modo selettivo il cuore. Recentemente però l’uso dei vettori virali ha preso il sopravvento con l’identificazione dei virus adeno-associati che si sono dimostrati cardiotropici e sicuri in diverse sperimentazioni cliniche. Il biennio 2025/2026 si annuncia come un periodo in cui diverse aziende porteranno i loro prodotti di terapia genica in studi clinici di Fase I per malattie che causano scompenso cardiaco (le cardiomiopatie) e per malattie che causano arresti cardiaci (le canalopatie). Stiamo quindi entrando in una fase nella quale occorre dare dimostrazione che le terapie geniche per il cuore funzionano in maniera efficiente.

Ma, oltre a lavorare per le malattie ereditarie che presentano una prevalenza nella popolazione di 1:5000 o maggiore, bisognerà nel futuro prossimo porsi il problema di come sviluppare anche terapie per pazienti affetti da malattie ben più rare che ancora si scontrano con il limitato interesse delle aziende di affrontare un alto investimento che dipende dal costo elevato della produzione delle terapie geniche, per salvare un numero limitato di pazienti. Al fine di superare questa barriera, la scienza dovrà elaborare metodi produttivi innovativi ed efficienti che possano ridurre i costi di preparazione e conservazione delle terapie biologiche incoraggiando così gli investimenti sulle patologie più rare.

Questo problema è stato recentemente discusso in un articolo sulla rivista Nature Biotechnology, per cui anche i pazienti affetti dalle malattie ultrarare o da quelle di cui siano affetti pochi pazienti hanno diritto ad uno sforzo collettivo affinché si possa trovare una terapia. La logica del mercato dovrà prevedere il diritto delle persone malate a sperare che i ricercatori lavorino a soluzioni per la loro patologia e vedere il traguardo della commercializzazione. Infine, sarà necessario uno sforzo congiunto dei governi per sviluppare politiche in grado di supportare la ricerca dalla preclinica fino ai trial clinici.

Possiamo sperare che gli studi su malattie cardiovascolari più diffuse possano trainare la ricerca per quelle più rare?

Spesso accade che, dovendo scegliere un progetto su cui investire, un’azienda si orienti su prodotti destinati a malattie caratterizzate da un alto numero di malati rinunciando a quelli destinati al trattamento di malattie ultrare [lo abbiamo visto di recente con due terapie geniche sviluppate da Telethon a cui le aziende avevano rinunciato e di cui la Fondazione ha deciso di farsi carico, per evitare che fossero ritirate dal mercato diventando indisponibili per i malati, N.d.R.]. Il compito di noi medici e scienziati è di promuovere la cultura delle malattie rare e ultrarare e non desistere dall’obiettivo di portare avanti progetti di studio dedicati a queste realtà. Il compito del medico è ridurre la mortalità e quello delle sindromi da QT lungo è un campo che dovrebbe rappresentare la più avanzata frontiera della priorità dal momento che riguarda la mortalità infantile.

Per fortuna un altro filone di ricerca esplorato da Lei e dal suo team ha trovato un’azienda interessata a testarne le potenzialità.

Esatto. Abbiamo messo a punto una terapia genica sperimentale per la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa che ha riscosso l’interesse di un’azienda di biotecnologie - Solid Biosciences - con sede negli Stati Uniti. Dal 2001, anno in cui il nostro team ha scoperto il gene responsabile di questa patologia, non abbiamo mai smesso di lavorarci, arrivando a ottenere un modello murino accurato su cui testare una terapia genica sperimentale che sfrutta dei vettori adeno-associati (AAV8 e AAV9) per portare dentro le cellule una versione sana del gene codificante la calsequestrina (CASQ2). In tal modo abbiamo dimostrato di poter aumentare i livelli di questa proteina che si lega al recettore rianodinico, correggendo con successo le conseguenze delle varianti genetiche patologiche. Successivamente, grazie ai contatti avviati con i vertici dell’azienda abbiamo concluso un accordo di sviluppo che prevede come entro la metà dell’anno in corso questa terapia genica entrerà nella sperimentazione clinica.

Sicuramente un successo che molti pazienti attendevano - anche se sarà necessario ancora del tempo prima che la terapia sia disponibile sul mercato. Ma Lei non prova una punta di rammarico nel sapere che le fasi cliniche saranno condotte dall’altra parte del mondo e non in Italia?

Il modello statunitense è sicuramente virtuoso poiché le università sono spinte a brevettare le ricerche condotte nei propri laboratori e ciò fa da volano alla nascita di nuove start-up che attraggono l’interesse delle multinazionali farmaceutiche. Negli Stati Uniti le università puntano a fare scienza ma si pongono anche degli obiettivi aziendali, concedendo i diritti e le licenze di sfruttamento dei prodotti alle aziende. Poi, col ricavato, costruiscono nuovi laboratori di ricerca. In Europa, invece, la mentalità è diversa: le università spesso si considerano “Centri di Cultura” scollegati dall’idea di perseguire uno sviluppo economico legato alla cessione dei brevetti. Negli ultimi anni tuttavia stanno nascendo modelli nuovi in cui lo scienziato riesce a seguire la propria idea dal bancone sino alle fasi di produzione del farmaco e sviluppo clinico. Noi per primi dobbiamo far comprendere il valore di questi modelli e riuscire a metterli in pratica anche qui, in Italia. Pubblicare articoli scientifici non basta, dobbiamo riuscire a trasformare le nostre terapie sperimentali in “farmaci”.

Di cosa hanno più bisogno i medici e biologi per realizzare questo passaggio?

L’IRCCS Maugeri di Pavia ha una solida struttura di trasferimento tecnologico che ci ha supportati nella ricerca di fondi di investimento per le nostre ricerche. Rappresenta un aiuto indispensabile per trovare dei finanziamenti e continuare il lavoro di ricerca. I miei collaboratori trascorrono giorni e notti intere sugli esperimenti e quando le cose procedono nella giusta direzione si domandano se il risultato di tanto sforzo sia brevettabile prima ancora che pubblicabile. Questa mentalità mi suggerisce che andiamo nella giusta direzione. Per oltre dieci anni ho fatto la spola tra Pavia e New York allo scopo di creare una rete di contatti con gli investitori e questo ci ha portato ad ottenere i finanziamenti per la terapia genica contro la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa. In Italia è ancora complicato trovare degli investitori ma non dobbiamo desistere.

Il partenariato tra pubblico e privato richiede di elaborare nuovi modelli di collaborazione tra le imprese..

Occorrono forme di collaborazione mai messe in atto prima e l’istituzione di fondi di sviluppo dedicati espressamente alle terapie avanzate in modo tale da far crescere sempre di più questo settore anche in Italia. È il mantenimento della promessa fatta ai pazienti. Ci stiamo lavorando e speriamo che un giorno ciò che si fa dentro le mura del laboratorio diventi una soluzione clinica, accessibile ai pazienti.

Una nuova terapia avanzata esige nuove regole anche in campo regolatorio. Che cosa ritiene potrebbe fare un ricercatore in questo senso?

Il modello vincente per un ricercatore universitario che non abbia a disposizione una struttura regolatoria efficiente consiste nel cedere la proprietà intellettuale a qualcuno in grado di sostenerne le diverse fasi di sviluppo, comprese quelle di dialogo con le autorità regolatorie. L’azienda americana che si è fatta carico della terapia genica per la tachicardia ventricolare catecolaminergica polimorfa dispone di un team di oltre quindici persone dedicate a produrre la documentazione e le relazioni in grado di rispondere alle richieste del regolatore e consentire il ‘first in human study’. La gestione della richiesta di commercializzazione di un farmaco deve esser fatta da una realtà aziendale che abbia la prospettiva di irrobustire la propria struttura per seguire un percorso di sviluppo necessariamente complesso. Solo così è possibile raggiungere il traguardo finale.

Con il contributo incondizionato di

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