L’Italia scommette su quello sviluppato da Advent-IRBM con l’Università di Oxford, ora prodotto da AstraZeneca. Ne parliamo con Stefania Di Marco, direttore scientifico di Advent-IRBM
Sembra non esaurirsi l’elenco di potenziali terapie contro il virus SARS-CoV-2: dopo i farmaci antivirali e gli anticorpi monoclonali è salita in scena l’idrossiclorochina, un antimalarico protagonista di innumerevoli discussioni sulle pagine dei giornali. Adesso sembra essere il turno del desametasone quale possibile terapia efficace contro il COVID-19, tuttavia, non c’è dubbio che il fulcro della lotta a questa pandemia sia la messa a punto di un vaccino. Un tema di bruciante attualità che l’Osservatorio Terapie Avanzate aveva trattato a fine aprile, illustrando il vaccino genetico che nasceva da una collaborazione italo-inglese, e su cui oggi ritorna con un aggiornamento visto che si tratta del vaccino sul quale stanno scommettendo diversi Paesi europei tra cui l’Italia.
A metà giugno infatti il Ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che il nostro Paese - insieme a Francia, Germania e Olanda - ha firmato un accordo per l’approvvigionamento di 400 milioni di dosi di un vaccino sperimentale contro SARS-CoV-2. L’accordo è stato sottoscritto con la casa farmaceutica AstraZeneca, che si è impegnata nella produzione del vaccino sviluppato nei laboratori di Advent, del gruppo IRBM di Pomezia, in collaborazione con l’Università di Oxford. C’è dunque un marchio italiano in questo vaccino, del quale avevamo già parlato insieme alla dott.ssa Stefania Di Marco, direttore scientifico di Advent, che oggi ci fornisce ulteriori notizie riguardo alla strada percorsa nelle ultime settimane. Un percorso che sta finendo col rappresentare la traiettoria ideale di sviluppo di tutti i vaccini e che vede il mondo intero assiepato in ansiosa attesa sulla linea del traguardo.
Le tappe della scalata
“Il lavoro sperimentale è partito a fine marzo e ad aprile dovevamo ancora entrare nel pieno della produzione”, spiega Di Marco. “Si tratta di un vaccino di nuova concezione, che dovevamo metter a punto ma che ha superato brillantemente il processo di produzione tanto che, alla fine di maggio, ne avevamo prodotte più di 13 mila dosi per l’impiego negli studi clinici”. ChAdOx1 nCoV-19 - questo il nome tecnico del vaccino in questione - è un prodotto sperimentale nato dalla collaborazione tra i ricercatori di Advent e dello Jenner Institute presso l’Università di Oxford. Si tratta di un vaccino genetico che sfrutta l’adenovirus ChAdOx1 per introdurre un frammento di DNA necessario a produrre la proteina ‘Spike' grazie a cui il virus SARS-CoV-2 penetra nelle cellule dell’organismo umano. “Ad aprile è stato avviato in Inghilterra lo studio clinico di Fase I per il quale è stato impiegato un lotto di vaccino prodotto a Oxford”, continua Di Marco. “E a fine maggio abbiamo spedito le provette con il nostro preparato a Oxford in modo che potesse essere impiegato per gli studi di Fase II/III. Questi sono trial clinici ancora in corso che prevedono l’arruolamento di più di 10 mila pazienti e hanno lo scopo di determinare l’efficacia e la sicurezza del vaccino.”
La maggior difficoltà in queste situazioni è che i candidati vaccini devono poter essere testati sul campo. Ciò significa che se l’ondata di diffusione del virus perde intensità i tempi necessari per realizzare i test di efficacia si allungano, obbligando letteralmente i ricercatori a “rincorrere il virus”. Fintanto che la pandemia rimarrà attiva a livello mondale e vi saranno zone del pianeta in cui è presente la malattia, coloro che sono impegnati nello sviluppo dei vaccini dovranno mettersi a caccia del virus per sottoporre ad esame le molecole candidate e ricavare risultati in tempi brevissimi dai test. “Abbiamo spedito anche alcuni lotti del nostro vaccino in Brasile dove, sotto il coordinamento dell’Università di Oxford, sarà testato nei focolai d’infezione attivi”, precisa l’esperta romana. “L’ultima settimana del mese di giugno in Brasile è partito lo studio di Fase III che si complementa con quello di Fase II/III in corso a Oxford poiché, essendo ChAdOx1 nCoV-19 un vaccino profilattico che va testato su individui sani, occorre recarsi dove c’è un’infezione. Siccome in Europa stanno diminuendo i casi d’infezione è necessario guardare al Brasile, al Sud-Africa, Paese in cui è partito lo studio clinico con il vaccino da noi prodotto, e al Kenya dove vi sono focolai attivi”. Una sfida nella sfida se si considera che ChAdOx1 nCoV-19 necessita della catena del freddo, deve essere spedito con corrieri specializzati per questo tipo di trasporto e deve essere conservato in freezer sino alla somministrazione all’individuo.
L'avvento di AstraZeneca
Fortunatamente, i primi ad aver creduto nella ricerca nata dal connubio italo-inglese sono stati i vertici della compagnia farmaceutica AstraZeneca che, in queste fasi del processo, si stanno facendo carico della logistica, supervisionando la distribuzione nel mondo dei campioni sperimentali e sostenendo la produzione del vaccino. “È importante che la logistica sia curata”, prosegue Di Marco. “Anche in Inghilterra, dove lo studio clinico è già partito, i centri clinici coinvolti nella sperimentazione sono molti ed è fondamentale mantenere la catena dl freddo per preservare la stabilità del prodotto. Nel frattempo siamo in attesa dei risultati degli studi di efficacia per avere indicazioni sulle potenzialità del vaccino. Quelli relativi al trial di Fase I dovrebbero essere disponibili entro l’inizio del mese di luglio ma per quelli degli studi di Fase II/III servirà più tempo.”
Il principale vantaggio di ChAdOx1 nCoV-19 rispetto agli altri candidati consiste nel fatto che è in pole position per la valutazione di efficacia. I test sugli animali hanno dato risultati incoraggianti, pubblicati a maggio in preprint su bioRxiv, dal momento che nei macachi è stata inoculata una dose bassa di vaccino e tutti sono risultati protetti dalla polmonite interstiziale, che rappresenta la più pericolosa manifestazione clinica del COVID-19. Tracce del virus sono state ritrovate nelle cavità nasali degli esemplari usati nei test ma nessuno di essi ha sviluppato la polmonite e non è neppure incorso in fenomeni di immunità aumentata, ovvero quei casi in cui gli anticorpi creati dalla vaccinazione potrebbero, per circostanze che non sono ancora ben note alla comunità scientifica, potenziare l’insorgenza della malattia a seguito di infezione piuttosto che bloccarla. A questo punto gli studi sull’uomo avranno un valore dirimente per decidere dell’affidabilità e dell’efficacia del potenziale vaccino. E questo è il nodo cruciale, poiché sono molti i candidati vaccini attualmente allo studio ma tutti dovranno necessariamente superare la fase di sperimentazione clinica nell’uomo e se i tassi dell’infezione a livello mondiale scendono potrebbe non esserci il tempo per quelli ancora in fase pre-clinica di effettuare i test di efficacia. La non facile scelta, e anche molto discussa, del nostro governo di puntare sul vaccino in posizione più avanzata sulla linea di sviluppo potrebbe quindi rivelarsi una mossa saggia.
“AstraZeneca sta stringendo accordi con diversi Paesi per la distribuzione del vaccino”, puntualizza Di Marco. “L’azienda si sta assumendo il rischio d’impresa perché questo è ancora un candidato vaccino. Per sperare che possa essere proficuo serve comunque mettere in piedi un sistema di produzione su larga scala e questo passaggio si deve poter realizzare grazie alla collaborazione tra governi e istituzioni pubbliche e private, al fine di coinvolgere più siti di produzione possibile in tutto il mondo. Infatti, a livello mondiale la produzione di vaccini non è mai in eccedenza e occorre continuare la produzione di tutti i preparati, da quello per l’influenza a quello per il morbillo e la poliomelite. Ma le strutture destinate a questo scopo non si creano con facilità e quelle necessarie per questo vaccino saranno necessariamente le medesime che già lavorano a tempo pieno per la produzione degli altri”. Lo sforzo produttivo in questa fase è enorme ma, per fortuna, la macchina si è attivata in tempi rapidissimi e l’opera di coordinamento con le strutture regolatorie inglesi si è svolta senza intoppi in un fine gioco ad incastro senza che vi fossero tempi morti.
Tempi e costi
“Se tutto procederà come speriamo AstraZeneca distribuirà le prime dosi alle categorie a maggior rischio come gli operatori sanitari, già entro fine anno”, conclude Di Marco. “Inoltre, va detto che la multinazionale svedese-britannica si è impegnata in una distribuzione equa del vaccino, senza fare profitto ma concedendolo a prezzo di costo. È un segnale di fondamentale rilevanza in un momento in cui serve che tutti lavorino in sinergia, pensando solo al bene comune. Questo probabilmente non sarà l’unico vaccino ad entrare in produzione ma è certamente il frutto di un lavoro multidisciplinare senza precedenti”. Un pensiero ripreso anche dallo stesso Ministro della Salute Italiano che, nel corso di un colloquio con il Washington Post, durante la visita alla IRBM di Pomezia, ha sottolineato che “proteggere le persone con il vaccino è la priorità”.