Cellule staminali

Le cellule staminali pluripotenti possono andare incontro a mutazioni genetiche a discapito della sicurezza nella loro applicazione clinica. Un nuovo studio mostra come evitarle

Diventare qualsiasi cellula specializzata del corpo umano è una delle caratteristiche delle cellule staminali pluripotenti (PSC) e anche il loro maggior vantaggio quando si parla di medicina rigenerativa, quella branca della medicina che mira a riparare o sostituire, tessuti o organi danneggiati. Uno dei problemi incontrati finora, però, è che le cellule staminali pluripotenti possono facilmente andare incontro a danno del DNA, portando a mutazioni genetiche e potenziali rischi per chi è destinato a ricevere la terapia. Per rendere l’approccio più sicuro, un gruppo di ricercatori dell'Università di Sheffield (Regno Unito) ha sviluppato un sistema, pubblicato lo scorso 9 giugno su Stem Cell Report.

Embrionali e pluripotenti indotte
Le cellule staminali, in generale, hanno la capacità di autorinnovarsi e differenziarsi in determinati tipi di cellule specializzate, come per esempio quelle della pelle, del fegato, i neuroni ecc. Tutte derivano dalle cellule embrionali pluripotenti, che hanno la potenzialità di diventare qualsiasi cellule dell’organismo. Le altre, dette cellule staminali somatiche, sono quelle che in parte si sono già specializzate, ma non sono ancora mature e generalmente rappresentano un “serbatoio” di riserva per mantenere l'omeostasi e sostenere la rigenerazione dei tessuti. Oltre alle cellule embrionali, le cellule pluripotenti possono anche essere ottenute in laboratorio - le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) - a partire da cellule completamente differenziate, che vengono “geneticamente riprogrammate” per tornare indietro nel tempo. Proprio per questa scoperta, nel 2012 John B. Gurdon e Shinya Yamanaka hanno ricevuto il Premio Nobel per la Medicina.

Le mutazioni del Dna

Per essere amplificate e “trasformate” in cellule umane differenziate, con compiti ben precisi, le cellule staminali pluripotenti devono stare molto tempo in coltura. È in questo frangente che si verificano le modifiche genetiche che possono creare problemi di sicurezza per i pazienti. I meccanismi coinvolti nell’insorgere delle mutazioni acquisite dalle PSC rimangono in gran parte inesplorati, anche se recenti lavori hanno iniziato a fare chiarezza sulle condizioni ambientali che possono avere un impatto, un esempio è lo stress ossidativo. Come riportano gli autori nello studio, una delle caratteristiche distintive delle PSC è un rapido ciclo cellulare dovuto ad una fase G1 (la prima fase del ciclo cellulare che porta alla divisione cellulare) abbreviato rispetto alle cellule somatiche. In alcuni studi preclinici, inoltre, è stato dimostrato che una fase G1 abbreviata (tipica anche di molti tumori), guida l'ingresso prematuro delle cellule nella fase S (la successiva fase del ciclo cellulare) in assenza di un pool di nucleotidi sufficienti (i mattoncini che compongono il DNA e che sono essenziali per la sua duplicazione durante la divisione cellulare). Causando così stress da replicazione, cioè l'interruzione del processo di replica del DNA e la rottura del doppio filamento. L’instabilità del genoma che ne deriva può portare a riarrangiamenti genomici durante la mitosi e mutazioni.

Aggiungere nucleosidi

Partendo da questi dati i ricercatori hanno pensato di aggiungere nucleosidi (composti chimici costituiti da uno zucchero pentoso e da una base azotata, che per aggiunta di un gruppo fosfato formano i nucleotidi) esogeni alla coltura delle PSC, per ridurre la suscettibilità del DNA al danno e potenzialmente le mutazioni. Nel lavoro i ricercatori spiegano che l'aggiunta di nucleosidi al mezzo di coltura ripristina la dinamica di replicazione e riduce il livello di danno genomico. Inoltre, hanno dimostrato che l'integrazione con il nucleo migliora anche la sopravvivenza delle PSC, dimostrando che il danno al genoma associato allo stress da replica è una delle principali cause di morte cellulare nelle colture di PSC. “La nostra osservazione secondo cui i nucleosidi esogeni hanno sostanzialmente ridotto lo stress di replicazione del DNA nelle PSC umane, forse compensando i cambiamenti metabolici che derivano dalla loro G1 ridotta e dalla transizione G1/S rilassata – scrivono gli autori del lavoro – fornisce un mezzo per ridurre l'incidenza delle modifiche genetiche ricorrenti che possono compromettere l'uso delle PSC umane nella medicina rigenerativa”.

Passi avanti

“Studi clinici di medicina rigenerativa che utilizzano cellule derivate da cellule staminali pluripotenti sono in avvio in tutto il mondo”, ha commentato Peter Andrews, professore di scienze biomediche all'Università di Sheffield. “Ma vi sono timori sul fatto che le mutazioni nelle cellule staminali pluripotenti possano mettere a rischio la sicurezza dei pazienti. I nostri risultati potrebbero permettere di ridurre significativamente tale rischio”. Ad oggi le terapie cellulari e tessutali autorizzate in Europa sono ancora poche e il rischio di imbattersi in terapie non validate scientificamente sono purtroppo alti, ma passi avanti si stanno facendo in diversi settori, dalle malattie rare ai tumori.

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