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Occhio

Lo studio parte dai risultati ottenuti sui modelli animali ed è il primo negli Stati Uniti a usare come tessuti di riparazione quelli ottenuti dalle cellule del paziente stesso

Finalmente ci siamo. Sul finire del 2019 il National Eye Institute (NEI) di Bethesda ha annunciato il lancio di uno studio clinico per la valutazione della sicurezza di un trattamento che impiega le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) per il trattamento della forma “secca” della degenerazione maculare legata all’età. È il primo di questo tipo ad essere condotto sull’uomo negli Stati Uniti e rappresenta insieme il punto di arrivo e quello di partenza nel percorso di una terapia destinata a cambiare la vita dei pazienti. “Il protocollo, che ha arrestato la perdita della visione nei modelli animali, rappresenta il primo studio clinico negli Stati Uniti nel quale si utilizzano tessuti di sostituzione ottenuti a partire dalle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) del paziente”, afferma Kapil Bharti, coordinatore del progetto e capo della Sezione Ocular Stem Cells and Translational Research (OSCTR) del NEI.

Ci eravamo già occupati delle ricerche di Bharti circa un anno fa quando lo stesso biofisico, specializzato in biologia molecolare, e i suoi colleghi avevano pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine un articolo nel quale descrivevano il protocollo operativo messo a punto. La strategia sperimentale consiste nel produrre le cellule staminali a partire dalle cellule del paziente e poi trapiantarle direttamente sulla retina danneggiata, con l’ausilio di speciali architetture biodegradabili che si adattano alla geometria dell’occhio dando risultati migliori di quelli riscossi dalla sospensione cellulare usata in altri studi.

Gli esiti ottenuti dalla tecnica sui modelli animali si sono rivelati ragguardevoli, interrompendo la discesa verso la cecità tipica della degenerazione maculare legata all’età, una malattia in netta crescita a livello mondiale. Colpisce sostanzialmente individui al di sopra dei 65 anni ed è provocata da un mix di cause genetiche (sembra siano coinvolti i geni CFH e ARMS2) e ambientali (tra cui soprattutto l’abitudine al fumo e all’alcol, il diabete mellito e l’uso di alcuni farmaci) oltre che dal progressivo invecchiamento. I ricercatori nel loro precedente lavoro si erano concentrati sulla cosiddetta forma “secca”, cioè quella più diffusa e meno grave contraddistinta da un progressivo assottigliamento centrale della retina che si avvia verso l’atrofizzazione determinando il prodursi di una cicatrice comunemente chiamata a “carta geografica”. La scelta di questa variante di malattia era dovuta proprio al fatto che, sebbene incurabili, le forme secche possono subire un rallentamento nella loro progressione: esattamente ciò su cui i ricercatori guidati da Bharti contavano quando hanno iniziato a lavorare al loro protocollo.

Nel comunicato rilasciato dal National Institutes of Health, di cui il NEI fa parte, si legge che il trial clinico di Fase I/IIa prevede l’arruolamento di 12 pazienti affetti da degenerazione maculare legata all’età, con cicatrice “a carta geografica” in sede maculare, che riceveranno il trapianto di cellule epiteliali del pigmento retinico prodotte direttamente a partire dalle loro stesse cellule staminali. Il trapianto sarà effettuato su un occhio e i pazienti saranno accuratamente monitorati per un periodo di tempo di circa un anno al fine di valutare la sicurezza del trattamento. Lo scopo principale di questo studio clinico è, infatti, quello di verificare se il trattamento con le staminali possa o meno provocare l’insorgenza di effetti collaterali, legati soprattutto al potenziale cancerogeno delle cellule che se iniziassero a moltiplicarsi indiscriminatamente potrebbero scatenare tumori multipli nell’organismo ricevente. Fortunatamente, nel modello animale i ricercatori non hanno riscontrato alcuna mutazione ascrivibile al trattamento per cui le premesse sono certamente buone. Inoltre, la scelta di produrre i tessuti da trapiantare usando le cellule dei pazienti stessi, anziché quelle di un donatore, riduce il rischio di rigetto da parte dell’organismo. Una differenza non trascurabile che offre a Bharti un netto vantaggio sui concorrenti giapponesi, da anni impegnati nella ricerca con le cellule staminali contro la degenerazione maculare ma orientati sull’uso di cellule prelevate da un donatore (allogeniche) con più alto rischio di rigetto.

Qualora i parametri di sicurezza (sia sui pazienti sia in termini di produzione delle cellule) delle iPSC prodotte dovessero essere confermati lo studio proseguirà alle fasi successive con casistiche allargate di individui. A questo punto, sarà considerata anche l’efficacia del trattamento che potrebbe prevenire quella discesa nella cecità che il prof. John M. Hull descrive, nel suo celebre libro, come “il dono oscuro”, una fase in cui la mente stessa perde ogni contatto con la realtà finendo letteralmente per dimenticarla. Un esito che, senza la terapia cellulare, potrebbe colpire milioni di persone.

 

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