Diabete

Dalle cellule staminali al trapianto delle isole pancreatiche, la possibilità di rigenerare il pancreas o conservare la produzione degli ormoni pancreatici è sempre più vicina

L’insulina è stata scoperta 100 anni fa, segnando un cambiamento epocale per i pazienti diabetici. Dopo 50 anni, nel 1976, l’insulina ricombinante - ottenuta con le nuove tecniche dell’ingegneria genetica - diventa il primo farmaco biologico consentito per uso umano. Oggi i tempi sono maturi per una nuova rivoluzione, con la possibilità, sempre più vicina, di rigenerare o rimpiazzare le cellule del pancreas. Con questa prospettiva, hanno visto la luce due studi italiani, condotti all’Istituto di Ricerca sul Diabete del San Raffaele ed entrambi coordinati dal prof. Lorenzo Piemonti. Il primo, basato sull’utilizzo di cellule staminali pluripotenti indotte per rigenerare le cellule beta del pancreas, è stato pubblicato su Cell Reports. Il secondo, sull’autotrapianto delle isole beta pancreatiche nei pazienti dopo asportazione totale del pancreas, è apparso invece sulle pagine di Annals of Surgery.

DIABETE UN’EMERGENZA MONDIALE

Tra le principali funzioni del pancreas cosiddetto endocrino (per distinguerlo dalla porzione esocrina, che regola la digestione) c’è la secrezione di due ormoni che controllano la glicemia, ossia la concentrazione di glucosio nel sangue: il glucagone (aumenta i livelli di glucosio nel sangue) e l’insulina (diminuisce il glucosio nel sangue).

Quando il pancreas non riesce più a esercitare la sua funzione endocrina insorge il diabete, che si manifesta con la scarsa capacità dell’organismo di assorbire l’eccesso di glucosio nel sangue. I pazienti con il diabete di tipo I, che è una malattia autoimmune e colpisce sin dall’infanzia o dall’adolescenza, sono costretti ad assumere insulina per tutta la vita, perché il loro sistema immunitario distrugge le cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di questo ormone. Ma anche i pazienti che si sottopongono all’asportazione totale dell’organo per gravi problemi di salute, come un tumore, sviluppano il diabete e devono ricorrere all’insulina.

Oggi il diabete colpisce ancora quasi mezzo miliardo di persone, con un preoccupante trend di crescita in tutte le regioni del mondo. Secondo alcune stime potrebbe salire fino a 786 milioni di persone nel 2045, con una spesa sanitaria insostenibile. I pazienti diabetici vivono con una condizione cronica, incurabile e progressivamente invalidante, e sono esposti al rischio di complicazioni a carico di vari organi, come i reni, la retina e il cuore.

MEDICINA RIGENERATIVA DEL PANCREAS

Per gestire questa emergenza globale, parallelamente ai progressi della sintesi dell’insulina, il pancreas è anche diventato uno dei principali obiettivi della medicina rigenerativa. All’Istituto di Ricerca sul Diabete del San Raffaele si cercano continuamente nuove strategie per rigenerare o rimpiazzare le cellule del pancreas distrutte dal sistema immunitario, o da malattie come il cancro o la pancreatite, con altre cellule in grado di produrre insulina.

LA RIGENERAZIONE CON LE CELLULE STAMINALI

Un modo per ottenere nuove cellule beta pancreatiche è quello di derivarle dalle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSCs). Le iPSCs sono prodotte a partire da cellule adulte che vengono riprogrammate geneticamente in laboratorio per tornare indietro allo stadio immaturo di staminale, dal quale possono poi dare origine a diversi tipi cellulare, comprese le cellule produttrici di insulina.

Nel primo studio, pubblicato a settembre su Cell Reports, i ricercatori si sono concentrati su come “nascondere” le cellule staminali al sistema immunitario. Anche il trapianto di cellule staminali, come quello d’organo, può infatti causare una reazione di rigetto. In questo caso, però, si può ingannare il sistema immunitario eliminando dalla superficie delle cellule trapiantate le molecole del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), che sono fondamentali per l’attivazione dei linfociti. Si tratta di una sorta di “codice a barre”, esclusivo per ogni individuo: il sistema immunitario rigetta come estranee tutte le cellule che hanno un MHC diverso dal proprio. Ma le persone con patologie autoimmuni, come il diabete di tipo I, hanno un difetto nel riconoscimento del proprio MHC. Un potenziale ostacolo alla terapia con cellule beta derivate dalle staminali del paziente stesso, che verrebbero ugualmente distrutte dal suo sistema immunitario.

Un primo passo, dunque, è stato quello di eliminare l’MHC per mascherare le cellule trapiantate ai linfociti del sistema immunitario. L’assenza di questa molecola, però, attiva la sottopopolazione dei linfociti Natural Killer (NK), che si sono evoluti proprio per eliminare le cellule che “nascondono” l’MHC (ad esempio molte cellule tumorali). Studiando l’interazione tra le NK e il loro bersaglio, gli scienziati hanno selezionato due molecole, B7-H3 e CD155, fondamentali per la loro attivazione. Per ingannare le NK, quindi, è stato sufficiente disattivare queste due molecole attraverso la tecnica Crispr-Cas9. Grazie a questo speciale “mantello dell’invisibilità”, le cellule beta pancreatiche derivate da iPSCs umane sono passate inosservate al sistema immunitario sia in vitro che in vivo su un modello animale.

L’AUTOTRAPIANTO DELLE CELLULE BETA PANCREATICHE

Il trapianto delle isole pancreatiche (di cui abbiamo già scritto qui), come per le staminali, permette di rimpiazzare le cellule distrutte dal sistema immunitario. È una potenziale “cura” per i pazienti affetti da diabete di tipo I, che potrebbero beneficiare delle cellule di un donatore sano deceduto (o di cellule beta sane prodotte in laboratorio) e non avere più bisogno delle quotidiane iniezioni di insulina.

Il secondo studio, pubblicato su Annals of Surgery, ha dimostrato che è possibile ridurre le complicanze della rimozione totale del pancreas attraverso l’autotrapianto delle isole pancreatiche del paziente. Di solito si preferisce un intervento meno radicale, l’asportazione della sola testa del pancreas (e del duodeno e della via biliare terminale), ma il rischio di causare la fuoriuscita dei succhi pancreatici, con gravi conseguenze su tutti gli organi e tessuti vicini, può portare il chirurgo a decidere per l’asportazione totale.

I pazienti potrebbero però beneficiare dell’autotrapianto delle isole pancreatiche, che non comporta alcun problema di rigetto perché le cellule vengono prelevate e reinfuse nello stesso paziente durante l’intervento. Dopo l’asportazione, il chirurgo isola dal pancreas le cellule beta e le infonde nel circolo sanguigno che porta al fegato. Il fegato “ingegnerizzato” produrrà l’insulina e il glucagone, mitigando le conseguenze del diabete indotto e migliorando la qualità di vita dei pazienti.

È stato condotto uno studio clinico di Fase II che ha visto la partecipazione di 61 pazienti adulti. Quelli che si si sono sottoposti alla procedura di asportazione totale del pancreas con autotrapianto di cellule pancreatiche, pur manifestando un rischio aumentato di diabete, hanno mantenuto buone condizioni metaboliche.

Con il contributo incondizionato di

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