Malattia di Huntington

Cellule staminali, editing del genoma, terapia genica, oligonucleotidi antisenso e organoidi. Sono tante le strade da percorrere nel prossimo futuro 

L’apertura dello scrigno delle terapie avanzate ha consentito a biologi e biotecnologi di tutto il pianeta di aver accesso a strumenti - come il sistema di editing genomico Crispr-Cas9 - che nel giro di pochi anni hanno cambiato il volto della ricerca scientifica. Seppur sia improprio parlare di un’esplosione delle terapie avanzate, dal momento che il percorso che ha condotto alla loro affermazione è ben più graduale di quel che sembra, bisogna riconoscere che oggi stanno permettendo di puntare ad innovativi strumenti di cura per condizioni genetiche - fra cui la malattia di Huntington - per le quali la medicina tradizionale non aveva sortito alcun effetto.

In particolare, la discussione sulle cellule staminali quale possibile preziosa risorsa contro la malattia di Huntington sta animando medici e ricercatori: in un recente numero della rivista Brain Research Bulletin sono stati descritti i pro e i contro delle diverse tipologie di cellule staminali, e di altre terapie innovative, che potrebbero trovare sbocco nelle sperimentazioni rivolte alla ricerca di un trattamento efficace per questa malattia neurodegenerativa dalle disastrose conseguenze cliniche. 

TERAPIA CELLULARE

Le cellule staminali embrionali sono state tra le prime a esser impiegate nei vari protocolli di ricerca, prima ancora delle staminali mesenchimali e delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC). Purtroppo, il loro utilizzo è sempre stato accompagnato da ombre sul piano etico e da sfide tecniche legate non solo alla loro possibilità di conservazione ma anche alla loro stessa applicazione clinica, poiché in molte situazioni esse non hanno attecchito o sono state rigettate, determinando così il fallimento dei programmi di ricerca. Uno degli studi clinici più noti in questo campo per l’Huntington, il trial di Fase II MIG-HD, che prevedeva l’iniezione intracerebrale di cellule fetali in 54 pazienti, non ha prodotto i benefici sperati senza così raggiungere gli obiettivi fissati; un successivo studio di Fase I, TRIDENT, pensato per vincere i limiti del precedente, risulta attualmente in corso con lo scopo di valutare la sicurezza e l’efficacia di un approccio tramite trapianto di cellule staminali embrionali.

Sarà necessario attendere per capire se i limiti di MIG-HD potranno davvero essere superati, nel frattempo i ricercatori stanno riflettendo anche di ricorrere alle cellule staminali mesenchimali, le quali - in alcuni protocolli pre-clinici su modelli murini della malattia - hanno dimostrato di poter migliorare la funzionalità motoria, riducendo la deriva apoptotica nelle cellule della regione dello striato, interessate dalla patologia. L’obiettivo è di sfruttare le proprietà anti-infiammatorie di tali cellule per consolidare la protezione dei circuiti neurali.

Il tentativo di ricreare nuovi e funzionanti neuroni (ma anche astrociti o oligodendrociti) passa attraverso la ricerca sulle cellule staminali neurali, che possono dare origine a svariati tipi cellulari. Purtroppo, tali cellule sono difficili da ottenere, così in molti hanno concentrato gli sforzi sulle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) che possono essere prodotte a partire da più tipologie di cellule somatiche e che stanno trovando impiego anche in alcuni trial di Fase I su altre malattie neurodegenerative, fra cui il Parkinson. Le iPSC hanno protocolli di gestione complessi ma il loro utilizzo in modelli cellulari tridimensionali - i cosiddetti organoidi - della malattia di Huntington potrebbe in futuro portare a risultati di grande rilievo.

EDITING DEL GENOMA

In un altro recente articolo, pubblicato sule pagine della rivista Trends in Neurosciences, si fa riferimento al potenziale valore di CRISPR come possibile strategia per contrastare la malattia di Huntington. Occorre precisare che la mutazione che induce la ripetizione della tripletta CAG, origine patogenetica della Huntington, non è semplice da affrontare ma l’uso di versioni speciali di CRISPR potrebbe ridurre la formazione della variante tossica della proteina huntingtina. Purtroppo, all’editing genomico continuano ad essere associati i classici problemi degli effetti “off-target” che, tuttavia, sono in corso di soluzione mediante l’utilizzo di polimorfismi a singolo nucleotide (SNP), scelti per colpire in maniera specifica l’allele HTT mutante. O, ancora, di tecniche di prime editing - una versione più affinata e precisa di CRISPR - grazie a cui effettuare inserzioni e delezioni mirate senza la rottura del doppio filamento. Il prime editing è meno vincolato dalle sequenze PAM - indispensabili per l’approccio con gli SNP - ed è più versatile e preciso del base editing, inoltre può essere usato per colpire un ampio repertorio di varianti patogenetiche. Naturalmente, questo approccio deve essere approfonditamente studiato e testato: sarà importante comprendere anche il modo più vantaggioso per veicolare lo strumento di modifica nelle cellule, come accade nei protocolli di terapia genica, anche essi in fase di sviluppo contro la malattia di Huntington. Ma, vista la complessità della malattia, la fase di gestazione potrebbe essere molto lunga.

RNA THERAPIES

Ben più vicini alla clinica sembrano, invece, gli approcci basati sulle terapie su RNA che, nonostante il fallimento di alcuni protocolli giunti alle fasi finali del percorso clinico, hanno saputo riprendere la corsa. Quello per il raggiungimento di una terapia capace di bloccare la malattia di Huntington non è, infatti, uno sprint sui 100 metri bensì una prova di endurance, di lunga durata, dove molti cedono e sono costretti a ritornare indietro per ripartire. Ma ogni volta si acquisiscono nuove competenze grazie alle quali sarà possibile avvicinarsi sempre di più al traguardo.

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