Partire dalle IPSc per porre le basi di una strategia terapeutica con antiossidanti per il deficit del trasportatore di riboflavina. Ce ne parla il prof. Enrico Bertini dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma
Solitamente capita di pensare che per affrontare le patologie rare servano farmaci complessi quando non addirittura terapie avanzate. Tuttavia, nel percorso di studio di una malattia rara - come il deficit del trasportatore di riboflavina (RTD) - può accadere di scoprire che una sostanza relativamente semplice, come un antiossidante, sia in grado di indurre nei pazienti benefici importanti. In ogni caso, la comprensione di questi passaggi giunge solo dopo attente ricerche che includono il ricorso a strumenti di indispensabile utilità tra cui le cellule staminali pluripotenti indotte (IPSc) che hanno cambiato il volto delle terapie cellulari. La ricerca è stata condotta all’Ospedale Bambino Gesù di Roma e guidata dal Prof. Enrico Silvio Bertini e dalla dott.ssa Claudia Compagnucci.
UNA PATOLOGIA MOLTO RARA
Uno studio, pubblicato lo scorso ottobre sull’International Journal of Molecular Sciences (IJMS) e condotto dai ricercatori dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma in collaborazione con Cure RTD Foundation, ha messo in evidenza il valore aggiunto della somministrazione di antiossidanti in associazione alla supplementazione di riboflavina negli individui affetti da RTD. Ciò è stato possibile proprio in forza dell’indagine delle alterazioni strutturali e funzionali delle cellule neuronali mediante l’utilizzo delle cellule staminali pluripotenti indotte. “Il deficit del trasportatore di riboflavina, noto anche come sindrome di Brown Vialetto Van Laere, rientra in un gruppo di patologie che colpiscono i motoneuroni”, spiega il prof. Enrico Silvio Bertini, del Laboratorio di Medicina Molecolare presso l’Unità di Malattie Neuromuscolari e Neurodegenerative dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. “I pazienti colpiti da questa sindrome mostrano una debolezza che può esordire in maniera sub-acuta o ben più subdola e progredisce lentamente, coinvolgendo inizialmente e in modo prevalente i muscoli bulbari. Le caratteristiche della patologia comprendono ipomimia facciale, difficoltà ad inghiottire, e in certi casi anche disturbi respiratori e sordità. Infine, alcuni individui possono incorrere in una paralisi periferica progressiva degli arti”. La RTD è una patologia rara per la quale non esiste una terapia specifica ma la scoperta dei geni coinvolti nella patogenesi di malattia ha fornito indicazioni utili per la gestione terapeutica dei pazienti. “Circa una decina di anni fa si è visto che la patologia trae origine dalle mutazioni a danno dei geni che codificano per due trasportatori della riboflavina, rispettivamente SLC52A2 e SLC52A3, con espressione ubiquitaria”, prosegue Bertini. “Infatti, negli individui affetti da RTD le cellule nervose, prevalentemente coinvolte nello sviluppo della malattia, hanno una forte difficoltà ad assorbire la riboflavina, più nota come vitamina B2. Questo spiega in parte la sintomatologia motoria e ha suggerito di somministrare ai malati la vitamina B2 ad alte dosi per migliorare i sintomi clinici”. Purtroppo però non tutti i pazienti rispondono in maniera adeguata alla supplementazione con vitamina B2 e ciò ha spinto i ricercatori ad approfondire lo studio della malattia.
LO STUDIO CON LE CELLULE STAMINALI
“Insieme alla prof.ssa Stefania Corti, che dirige il Laboratorio di Cellule Staminali Neurali del Centro di Riferimento per la Diagnosi e la Terapia delle Malattie Neuromuscolari e Neurodegenerative ‘Dino Ferrari’, qualche anno fa abbiamo avviato una ricerca impiegando le cellule staminali ottenute dai fibroblasti dei pazienti per studiare a fondo i motoneuroni”, precisa Bertini. “Un lavoro a quattro mani, fatto con i nostri team, che ha condotto alla pubblicazione di un articolo sulla rivista Scientific Reports ed è stato utile per studiare i motoneuroni, che ben riassumevano le caratteristiche della malattia, e capire così se esistesse un difetto funzionale capace di spiegare perché la riboflavina non fosse assorbita, determinando i problemi metabolici tipici della RTD. Insieme alla dott.ssa Claudia Compagnucci, biologa che ora lavora nella stessa Area di Ricerca di Malattie Rare e Genomica Funzionale dell’Ospedale Bambino Gesù, abbiamo poi cercato di capire i meccanismi specifici che svolge il trasportatore della riboflavina nei motoneuroni, ponendo le basi per un lavoro di applicazione terapeutica”. Infatti, la somministrazione della riboflavina ad alte dosi (anche 40-50 mg/Kg di peso corporeo) è un modo per vincere l’inerzia dei tessuti ad assorbirla e attenuare i sintomi della malattia. Ciò ha portato alla stabilizzazione di alcuni pazienti lasciando tanti altri a fare i conti con disabilità - specie respiratorie - residue.
“Da esperienze precedenti era emerso come l’aggiunta di un antiossidante fosse in grado di migliorare ulteriormente la situazione clinica dei pazienti”, prosegue l’esperto. “Così abbiamo sfruttato le nostre competenze sul motoneurone e, grazie anche al supporto dell’associazione pazienti Cure RTD Foundation, abbiamo ottenuto dai fibroblasti di due pazienti le cellule staminali pluripotenti indotte grazie alle quali abbiamo potuto indagare il fenotipo dei motoneuroni nel momento in cui soffrono per questi difetti genetici”. Oltre a confermare il riscontro dell’alterazione specifica, descritta nello studio svolto in collaborazione con la prof.ssa Corti, i ricercatori dell’Ospedale Bambino Gesù hanno osservato che l’incapacità di assorbire la riboflavina determina un’alterazione del metabolismo dello ione calcio, che controlla il rilascio dei neurotrasmettitori nelle sinapsi e, soprattutto, essi hanno riscontrato un impoverimento dei dendriti (i prolungamenti dei neuroni che conducono gli impulsi nervosi). “Abbiamo osservato un’alterazione delle forma dei dendriti che si accorciano e non riescono a trasmettere bene gli impulsi nervosi”, specifica Bertini. “A questo si somma uno stress ossidativo importante che ha fornito la base empirica per l’aggiunta di diversi tipi di antiossidanti ai neuroni prodotti nel nostro laboratorio. Proprio per capire quanto fosse utile associare alla riboflavina gli antiossidanti”.
NUOVE PROSPETTIVE
In combinazione con la vitamina B2 è stato, quindi, testato il valore aggiunto di vitamina C, idebenone, coenzima Q10 e vatiquinone (EPI-743). Quest’ultimo, in particolare, ha confermato una maggior efficacia nel ripristino dell’equilibro dello stato ossidativo, nel miglioramento della lunghezza dei dendriti e nell’afflusso di calcio nei motoneuroni. “In uno studio clinico pilota pubblicato sulla rivista Neurodegenerative Disease Management è stato dimostrato che EPI-743 è efficace anche contro l’atassia di Friedrich”, precisa Bertini, sottolineando il ruolo di questo antiossidante e aprendo così al suo utilizzo anche contro altre malattie neurodegenerative come la malattia di Huntington, la neuropatia ottica ereditaria di Leber, appunto, l’atassia di Friedreich. Per l’atassia di Friedreich è in partenza un trial clinico di Fase II/III con EPI-743, randomizzato con placebo per confermarne la efficacia. “EPI-743 ha un buon profilo di sicurezza ed è un antiossidante potenzialmente molto valido contro la RTD”, conclude Bertini. “Tuttavia, anche altri antiossidanti, come l’ibedenone, possono risultare utili insieme alla vitamina B2 ad alte dosi. Saranno necessari studi più specifici su EPI-743 ma la combinazione di antiossidanti e riboflavina nella gestione del paziente con RTD è un importante traguardo terapeutico”.
Leggi anche: “Deficit del trasportare di riboflavina, l’appello dei pazienti: ‘Abbiamo bisogno di voi'"