infarto

Utilizzare l’editing genomico per prevenire l’insorgenza di aritmie cardiache associate al trattamento con staminali. Il prof. Giulio Pompilio commenta le potenzialità di questa ricerca di base

Le malattie cardiovascolari continuano a rappresentare la prima causa di morte in Italia, essendo responsabili di più di un terzo di tutti i decessi: si stima che siano più di 120 mila gli italiani colpiti da infarto del miocardio, gran parte dei quali muoiono prima dell’arrivo in ospedale. Ma anche nei sopravvissuti il cuore infartuato riporta delle “cicatrici” che, a lungo andare, possono metterne a rischio la funzionalità. Le terapie cellulari potrebbero rivelarsi in grado di limitare questa problematica, ma il trapianto di cellule staminali differenziate (in modelli di studio) provoca ancora pericolose aritmie. Con una recente pubblicazione sulla rivista Cell Stem Cell un’équipe internazionale di ricerca mostra come sia possibile superare questo problema. Il commento di Giulio Pompilio, Direttore Scientifico dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino e Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Terapie Avanzate.

L’avvento delle terapie cellulari ha permesso di esplorare nuove soluzioni di trattamento del cuore colpito da infarto, in numerosi studi preclinici condotti su diversi modelli animali è stato infatti osservato che le cellule staminali pluripotenti trapiantate riescono a differenziarsi in cellule cardiache sostenendo così la funzionalità cardiaca. Tuttavia, rispetto alle cellule adulte, questi nuovi innesti staminali mantengono determinate caratteristiche tipiche delle cellule “immature” da cui sono derivati, suscitando aritmie transitorie negli animali trapiantati. Questo, purtroppo, influenza la loro capacità di battere a ritmo, provocando scompensi dalle conseguenze gravi.

Nel tentativo di identificare nuove strategie per prevenire l’insorgenza di tali fenomeni, un team di ricerca coordinato dal prof. Alessandro Bertero, del Centro di Biotecnologie Molecolari “Guido Tarone” presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, e dal prof. Chuck Murry, direttore dell’Institute for Stem Cell and Regenerative Medicine dell'Università di Washington, si è affidato alle potenzialità dell’editing genomico per ingegnerizzare le cellule staminali. Dopo aver analizzato le caratteristiche di differenti linee cellulari, i ricercatori si sono concentrati sul ruolo di 4 geni (HCN4, CACNA1H, SLC8A1 e KCNJ2): spegnendoli con l’aiuto del sistema di editing Crispr-Cas9 hanno notato che le aritmie legate ai trapianti cessavano. 

Si tratta di un risultato notevole che Giulio Pompilio, Professore Associato di Cardiochirurgia presso l’Università di Milano, Direttore Scientifico dell’IRCCS Centro Cardiologico Monzino e Presidente del Comitato Scientifico di Osservatorio Terapie Avanzate commenta così:

“La tecnologia di riprogrammazione di cellule adulte in cellule staminali (induced Pluripotent Stem cells, iPSC) è ormai una pratica quotidiana in molti laboratori di tutto il mondo. Il forte interesse deriva dal fatto che da queste cellule riprogrammate si possono derivare (o meglio, riprogrammare) cellule del paziente stesso altrimenti non facilmente reperibili come, ad esempio, le cellule nervose (neuroni) o le cellule cardiache contrattili (cardiomiociti). Ciò rappresenta una novità per scopi di ricerca, per comprendere meglio le patologie a partire da cellule dei pazienti, ma anche per scopi terapeutici, come è il caso di questo studio.

I cardiomiociti così ottenuti possono, infatti, essere trapiantati in cuori indeboliti, per esempio da infarto, per ripristinare la funzione contrattile. Queste sperimentazioni sono state però in passato gravate dal problema che i cardiomiociti “ospiti” mantenevano proprietà elettriche (di auto-eccitazione) causanti gravi aritmie nel cuore ricevente. In questo interessante articolo, gli sperimentatori hanno utilizzato le più moderne tecniche di manipolazione genetica per spegnere nei cardiomiociti da trapiantare le chiavi molecolari responsabili della auto-eccitazione, rendendoli “quiescenti” e quindi eccitabili solo da stimoli elettrici esterni. I risultati hanno dimostrato, in un modello preclinico rilevante (il maiale), che tali cardiomiociti quiescenti sono in grado non solo di attecchire all’interno del tessuto miocardico che li ospita, ma anche di accoppiarsi alle cellule vicine dal punto di vista meccanico ed elettrico, gettando le basi per fornire un reale beneficio contrattile senza causare disturbi all’impulso elettrico cardiaco.

È bene sottolineare che si tratta ancora di fasi sperimentali, la cui applicazione nel paziente, proprio per la complessità delle manipolazioni genetiche in essere, è soggetta a controlli e verifiche complesse, e quindi non dietro l’angolo. Tuttavia, non v’è dubbio che si tratta di un passo ulteriore per la definizione di un prodotto di terapia avanzata (terapia cellulare somatica) applicabile in pazienti cardiopatici”.

Con il contributo incondizionato di

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