Farmaci antivirali, antimalarici, medicina tradizionale cinese e, infine, anche le cellule staminali mesenchimali. Ma l’OMS chiede rigore e sottolinea la necessità di seguire percorsi trasparenti e secondo le regole.
Il numero dei contagiati da coronavirus 2019 n-CoV (ora ufficialmente rinominato SARS-CoV-2) nel mondo, e ormai anche in Italia, cresce di giorno in giorno e mentre i medici e il personale sanitario stanno mettendo in atto le misure a disposizione per combattere e arginare l’infezione, i ricercatori di tutto il mondo sono impegnati nel trovare una terapia efficace e mettere a punto un vaccino. Ricerche che richiederanno tempi dilatati, soprattutto per il vaccino (la stima è di almeno 12-18 mesi), poiché dovranno ottemperare agli standard di sicurezza ed efficacia imposti dalle autorità regolatorie. Nel frattempo stanno fiorendo gli studi clinici imperniati su possibili soluzioni terapeutiche.
Allo stato attuale delle cose non esiste una terapia specifica contro l’infezione provocata da 2019 n-CoV ed è ormai partita un’autentica corsa al trattamento che vede la Cina in pole position rispetto agli altri Paesi, non soltanto per numero di individui contagiati, ma anche per quanto riguarda i trial clinici su potenziali nuovi trattamenti attualmente in fase di arruolamento pazienti o di avvio. Come si può leggere in un articolo pubblicato lo scorso 15 febbraio sulla rivista Nature esiste un registro pubblico cinese di studi biomedici, il Chinese Clinical Trial Registry, nel quale, con una semplice ricerca, è possibile trovare tutti gli studi clinici sui trattamenti per la COVID-19 (Corona VIrus Disease 2019, la malattia causata dal virus 2019 n-CoV). Pagine e pagine di trial clinici nel quale si mescolano protocolli che testano nuove molecole e studi su terapie tradizionali cinesi. Un pot-pourri nel quale rientrano farmaci antivirali, antimalarici, estratti vegetali e persino le cellule staminali, che ha portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e l’intera comunità scientifica, a sottolineare come il lavoro di ricerca debba essere portato avanti con rigore e scrupolo perché solo i protocolli aderenti alle norme di buona pratica clinica porteranno a soluzioni concrete. “Se gli studi cinesi, che arrivano a comprendere fino a 600 persone ciascuno, non sono progettati con standard rigorosi per tutti i parametri di studio, quali l’adozione di gruppi di controllo, il processo di randomizzazione e le misure degli outcome clinici, gli sforzi saranno vani”, afferma Soumya Swaminathan, capo scienziato dell’OMS. Vediamo, dunque, alcuni esempi di quello su cui molti stanno lavorando.
FARMACI ANTIVIRALI
La prima - e per certi versi più ovvia - ipotesi di studio prevede l’impiego dei farmaci antivirali. L’Organizzazione Mondiale della Sanità è al lavoro su un protocollo che permetterà la comparazione di due o tre terapie supportate da evidenze scientifiche tra le quali una combinazione di farmaci anti-HIV, quali lopinavir e ritonavir, e l’anti-virale sperimentale remdesivir che sembra aver prodotto risultati incoraggianti ed è attualmente in fase di studio in due trial clinici controllati con placebo condotti su una consistente casistica di pazienti. I farmaci anti-HIV, interferendo con i meccanismi di replicazione dei virus, avevano dato buoni segnali (sui modelli animali) nel trattamento della sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e della sindrome respiratoria mediorientale (MERS).
FARMACI ANTI-MALARICI
In Cina sono stati avviati anche studi clinici per testare l’effetto della clorochina, farmaco utilizzato da oltre 50 anni per la profilassi e il trattamento della malaria, che sembrerebbe essere stato in grado di annientare il virus 2019 n-CoV, e combattere il COVID-19 i cui sintomi assomigliano a quelli dell’influenza e comprendono febbre, tosse, difficoltà respiratorie e, nei casi più gravi, bronchiti e polmonite.
CELLULE STAMINALI MESENCHIMALI
Tra le possibili armi a disposizione per contrastare il nuovo virus sono state tirate in ballo anche le cellule staminali. E qui il discorso si fa più complesso perché, come si domanda nel suo blog Paul Knopfler - professore di Biologia Cellulare e Anatomia Umana presso l’Università della California, divulgatore e scrittore - “Le cellule staminali sono davvero in grado di aiutare i pazienti colpiti dal nuovo Coronavirus?”.
Gli studi attualmente in corso su questo fronte sono tre: il primo di essi prevede il ricorso alle cellule staminali mesenchimali ottenute da midollo osseo mentre il secondo e il terzo indagano il ruolo delle cellule staminali mesenchimali prelevate dal cordone ombelicale (UC-MSC).
Dubbioso fin da subito sulla somministrazione per via endovenosa delle cellule staminali, Knopfler ipotizza che “la scelta sia dovuta alle proprietà di modulazione del sistema immunitario” esercitate da queste cellule che hanno funzione anti-infiammatoria e favoriscono la riparazione di tessuti danneggiati. La medicina rigenerativa conta moltissimo sulle proprietà delle cellule staminali mesenchimali e la praticità di raccolta dal cordone ombelicale, unita ad una maggior immaturità dal punto di vista immunologico ne fanno degli strumenti fondamentali per la medicina del domani. Ma sono anche cellule sulle quali si sono concentrati molti dibattiti scientifici, perché se da una parte hanno alte potenzialità dall’altra le evidenze scientifiche per la loro applicazione in clinica non sono sempre solide e, troppe volte, sono finite nell’occhio del ciclone di “trattamenti miracolosi” non autorizzati.
Nella descrizione del protocollo di uno dei tre studi clinici sopra citati si fa riferimento ad alcuni studi su modelli animali nei quali l’uso delle cellule staminali avrebbe ridotto in maniera consistente la lesione polmonare prodotta dai virus H9N2 e H5N1 (i virus che causano l’influenza aviaria), abbassando i livelli di citochine e chemochine pro-infiammatorie e diminuendo il reclutamento di cellule infiammatorie nei polmoni. Un punto di partenza interessante ma decisamente lontano dal raggiungimento di un’efficacia significativa. “Sebbene le cellule mesenchimali staminali possano arrivare fino ai polmoni dei pazienti umani, non è molto chiaro cosa ci facciano lì, in che frazione e per quanto tempo rimangano vive”, continua il professore americano. “Nel contesto di una grave malattia polmonare, è difficile che la maggior parte delle cellule staminali che arrivano ai polmoni sopravvivano abbastanza a lungo da essere utili”. Infine, se la loro funzione è sopprimere le funzioni del sistema immunitario c’è il rischio che facciano più male che bene ai pazienti contagiati.
LA MEDICINA TRADIZIONALE CINESE
In questo mare magno di possibili nuove risorse terapeutiche diventa sempre più difficile valutare il potenziale rapporto rischio-beneficio per ogni studio e, se alla medicina moderna si aggiungono anche le ricerche condotte su principi di medicina tradizionale cinese la faccenda si complica ulteriormente. Uno dei trial clinici dalla casistica più numerosa sta indagando le proprietà anti-infiammatorie dello shuanghuanglian, un medicinale a base di erbe che tra gli ingredienti riporta anche il frutto di forsizia. Lo studio comprende un gruppo di controllo che ha ricevuto cure standard ma non un placebo.
Un’occasione in più per gli organismi come l’OMS di lavorare alla standardizzazione dei protocolli di studio, basata su un approccio puramente scientifico indispensabile per ottenere risultati certi e utili ai pazienti in un momento così delicato come quello che stiamo vivendo. Per fermare l’avanzata di questo nuovo virus servono risorse e bisogna assolutamente evitare che possano essere disperse in ricerche dalle basi fragili o poco attendibili. L’attenzione alle bufale non riguarda solo chi si informa ma anche, e soprattutto, chi ha il dovere di informare.
Per avere informazioni più dettagliate, e affidabili, sul Coronavirus potete andare al seguente link del Ministero della Salute.