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Lo spazio potrebbe rendere le staminali più performanti per l’uso terapeutico. La microgravità permette alle cellule di proliferare più rapidamente e mantenere la loro “staminalità” più a lungo

Chi ha meno di 25 anni non ha mai vissuto un singolo giorno senza che ci fossero persone nello spazio. Dal 2 novembre 2000 la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) è stata sempre abitata da un equipaggio variabile tra i 2 e i 7 astronauti. Un vero laboratorio di ricerca sopra le nostre teste, in orbita costante intorno alla Terra, in cui gli scienziati possono condurre esperimenti in condizioni uniche di microgravità. A bordo della ISS, i ricercatori della Mayo Clinic, una organizzazione no-profit statunitense, hanno studiato il comportamento delle cellule staminali, confrontandole con le loro “gemelle” rimaste sulla Terra. Le cellule coltivate nello spazio crescono più velocemente e hanno qualità uniche, che potrebbero accelerare la scoperta di nuove terapie per curare malattie complesse. L’articolo pubblicato su NPJ Microgravity fa il punto sugli esperimenti condotti fino ad ora.

RICERCA SPAZIALE E SALUTE TERRESTRE

Agli albori dei viaggi spaziali con equipaggio, la ricerca condotta in orbita aveva lo scopo prioritario di mantenere in vita gli astronauti. Era necessario capire anzitutto cosa sarebbe successo al corpo umano dopo aver trascorso del tempo in un ambiente così profondamente ostile, come lo spazio. Stare a lungo al di fuori dei confini terrestri comporta ad esempio perdita di massa muscolare, demineralizzazione delle ossa, calo della vista e danni al DNA.

In tempi più recenti, ha iniziato a farsi strada un’idea nuova, cioè che la ricerca spaziale possa portare benefici concreti non solo per salute degli astronauti, ma anche degli esseri umani sulla Terra. Sulla ISS è possibile eseguire esperimenti in microgravità, un ambiente unico che supera i limiti imposti dalla gravità terrestre. Questo rappresenta un’opportunità soprattutto per la biostampa 3D o la rigenerazione tissutale: l’assenza di peso consente infatti alle cellule di crescere in modo tridimensionale, mimando meglio la complessità dei tessuti e organi umani.

LA SFIDA DELLE CELLULE STAMINALI

Le cellule staminali, grazie alla loro capacità di differenziarsi in vari tipi cellulari, offrono un enorme potenziale per la medicina rigenerativa, poiché potrebbero sostituire le cellule danneggiate e ripristinare la funzione di organi e tessuti.

L’adulto possiede cellule staminali, ma in quantità limitate e con una capacità di proliferazione e differenziazione inferiore rispetto alle cellule staminali embrionali, molto più difficili da reperire e con limiti di utilizzo in molti Paesi. Proprio per questo motivo, la scoperta delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC, induced pluripotent stem cells) è stata rivoluzionaria: infatti, queste ultime possono essere generate artificialmente in laboratorio a partire da cellule adulte, facendole prima “regredire” allo stato di staminali, e poi riprogrammandole per differenziarsi in altri tipi cellulari. Insomma, ottenere cellule staminali in quantità adeguate è un processo lungo, difficile e anche costoso.

Nello spazio, però, le cose potrebbero essere più semplici. È quanto emerge da una serie di studi su vari tipi di cellule staminali che i ricercatori della Mayo Clinic hanno raccolto e analizzato in una review pubblicata su NPJ Microgravity qualche tempo fa.

CELLULE STAMINALI IN ORBITA: GLI EFFETTI

La microgravità modifica alcune capacità delle cellule staminali, come quella di sopravvivere, proliferare e differenziare in altri tipi cellulari. Gli effetti principali sarebbero almeno due: una crescita accelerata e un miglior mantenimento delle caratteristiche staminali. La mancanza della gravità, che in condizioni normali spinge le cellule verso il fondo della piastra, permette loro di crescere in modo più libero, mantenendo una struttura tridimensionale simile a quella che assumerebbero nel corpo umano.

Numerose linee di cellule staminali cresciute in assenza di gravità hanno mostrato un potenziale clinico interessante per la medicina rigenerativa. Studiare queste cellule nello spazio, spiegano i ricercatori, consente di scoprire meccanismi nuovi, che sulla Terra vengono mascherati dalla forza di gravità.

QUALI CELLULE STAMINALI SONO STATE STUDIATE SULLA ISS?

Sono state inviate sulla ISS, e tornate sul pianeta per le analisi, diversi tipi di cellule staminali: le cellule staminali mesenchimali (MSC), le cellule staminali ematopoietiche (HSC), i cardiomiociti derivati da cellule staminali pluripotenti indotte (hiPSC-CM), le cellule progenitrici cardiovascolari (CPC) e le cellule staminali neurali (NSC). Le loro caratteristiche fenotipiche e funzionali sono state valutate per garantire il mantenimento dell'identità e della sicurezza.

Le cellule staminali mesenchimali (MSC) sono cellule staminali multipotenti presenti in vari tessuti, tra cui il midollo osseo e il tessuto adiposo. Le MSC rientrate sulla Terra dopo due settimane a bordo della ISS hanno mantenuto il loro fenotipo e le capacità di differenziarsi, mostrando però una espressione potenziata di fattori antinfiammatori e antiapoptotici rispetto a quelle cresciute sulla Terra. Questo adattamento ha reso le MSC più efficaci sul piano terapeutico, come dimostrato dal miglior recupero motorio osservato nei topi con lesioni cerebrali trattati con cellule esposte alla microgravità.

Le cellule staminali ematopoietiche (HSC) si trovano principalmente nel midollo osseo e hanno la capacità di rigenerare le cellule del sangue, combattere le infezioni, fermare le emorragie e trasportare ossigeno. Le HSC cresciute a bordo della ISS hanno dimostrato di sapersi espandere e dare origine a globuli rossi o bianchi, ma con un profilo di maturazione diverso rispetto a quello osservato sulla Terra. La microgravità, infatti, riduce il numero di progenitori eritroidi (le cellule che daranno origine ai globuli rossi) e aumenta invece il numero di macrofagi, un tipo di globuli bianchi. Questo fenomeno potrebbe contribuire all’anemia da volo spaziale che si osserva spesso negli astronauti. D’altra parte, la microgravità aiuta a mantenere la “staminalità” delle HSC, rendendole potenzialmente utilizzabili per trattare pazienti affetti da tumori del sangue o altre malattie complesse.

Le cellule progenitrici cardiovascolari (CPC) forniscono i mattoni per la formazione dei vasi sanguigni e del muscolo cardiaco. La rigenerazione cardiaca, però, è limitata da un numero insufficiente di CPC nell’essere umano adulto. Sulla ISS, le CPC neonatali e adulte hanno mostrato una migliore capacità di riparare il DNA, produrre fattori utili e migrare più facilmente. La microgravità ha anche attivato la proteina YAP1, che stimola la crescita e lo sviluppo cellulare. Potenziare YAP1 nelle CPC adulte potrebbe aumentarne il potenziale rigenerativo, rendendole simili a quelle neonatali.

Le cellule staminali neurali (NSC) si trovano nel sistema nervoso centrale e giocano un ruolo cruciale nello sviluppo, nel mantenimento e nella riparazione del cervello. Le cellule neurali cresciute in microgravità hanno mantenuto le loro capacità di proliferare e differenziarsi in neuroni giovani anche al ritorno sulla Terra. La microgravità può quindi favorire l'espansione delle cellule neurali senza interventi genetici o trattamenti prolungati, offrendo una possibile soluzione per rigenerare cellule perse in malattie neurodegenerative.

Riuscire a coltivare le cellule staminali nello spazio e mantenere – e forse migliorare – le loro caratteristiche, riportandole sulla Terra in buone condizioni, potrebbe rendere queste cellule utilizzabili nei pazienti in futuro.

Con il contributo incondizionato di

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