Cuore

Lo studio clinico, condotto in Giappone, è il primo al mondo e ha utilizzato cellule staminali pluripotenti indotte ottenute in laboratorio e trapiantate sul cuore del paziente.

Un cuore che non riceva il corretto apporto di ossigeno è destinato a morire. I tessuti si atrofizzano e non riescono più svolgere la loro funzione mandando il paziente incontro al rischio di infarto del miocardio. Si parla allora di cardiopatia ischemica, una delle prime ragioni di mortalità al mondo. Infatti, la causa di questa situazione è l’aterosclerosi che concorre all’ostruzione delle coronarie e aumenta il rischio di infarto e di angina pectoris. Per contrastare questa realtà nosologica i ricercatori hanno puntato all’utilizzo di cellule staminali e un team di ricerca guidato dal prof. Yoshiki Sawa, del Dipartimento di Chirurgia Cardiovascolare dell’Università di Osaka, è così riuscito a eseguire il primo trapianto di cellule muscolari cardiache al mondo.

Tali cellule sono state ottenute da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) del paziente stesso, sono state coltivate in laboratorio e, per la prima volta, sono state trapiantate, al posto di un nuovo organo, sul paziente. Si perché quando l’angioplastica o il bypass non siano più sufficienti, gli individui affetti da cardiopatia ischemica sono costretti a sottoporsi a un trapianto di cuore. Il prof. Sawa, che ha alle spalle una lunga esperienza in fatto di trapianti cardiaci e ha una grossa esperienza nel settore della terapia genica e della medicina rigenerativa, ha studiato la possibilità di prelevare cellule della pelle e del sangue per riportale ad uno stato embrionale pluripotente. È così che ha ottenuto le iPSC del paziente stesso. Tali cellule sono state poi indotte a differenziarsi in cellule cardiache da somministrare al cuore malato, sperando di vederle crescere e rimpiazzare quelle non più funzionanti per risparmiare così al paziente un intervento invasivo come il trapianto che, nei soggetti particolarmente debilitati, non è privo di rischi.

Ma come si è svolta nel dettaglio l’operazione condotta da Sawa e dai suoi colleghi? Le cellule da trapiantare sono stare fatte crescere in coltura su speciali foglietti degradabili larghi poco più di 4-5 centimetri e dello spessore di 0,1 millimetri. A questo punto i foglietti sono stati posizionati direttamente sulla superficie del cuore danneggiata e, una volta che le cellule saranno cresciute e avranno iniziato a produrre le proteine necessarie per la rigenerazione dei vasi sanguigni e il miglioramento della funzionalità cardiaca, il cuore stesso del paziente ricomincerà a funzionare adeguatamente.

Sawa e la sua equipe hanno avviato le pratiche per l’apertura di una sperimentazione clinica per valutare la sicurezza e l’efficacia di queste cellule e, nel giro di breve tempo, sono giunti all’operazione. In seguito ad essa il paziente affetto da una grave disfunzione cardiaca è stato dimesso e tenuto sotto stretta osservazione all’interno di un reparto di medicina generale dell’ospedale. Le sue condizioni, a detta dei medici, sono buone ma continuerà ad essere monitorato dai medici che lo stanno seguendo. Anche perché il primo, e più importante obiettivo dello studio clinico, rimane una rigorosa valutazione dei rischi, in particolare delle probabilità che le cellule possano perdere il controllo e moltiplicarsi ininterrottamente finendo con l’essere causa dello sviluppo di tumori. Un’eventualità che i ricercatori giapponesi devono assolutamente evitare se vogliono che il loro protocollo nel giro di pochi anni possa essere adottato in clinica e migliorare il trattamento di milioni di pazienti che oggi soffrono di queste problematiche cardiovascolari. Infatti, l’obiettivo del medico giapponese è trattare altri dieci pazienti nei prossimi tre anni e giungere quanto prima all’approvazione di questa pratica clinica da parte del Ministero della Salute giapponese.

Si tratta di un’ulteriore conferma dell’interesse per il settore della medicina rigenerativa da parte del Paese del Sol Levante che, con questo, porta a due gli studi clinici basati sulle iPSC, dopo quello condotto presso i laboratori dell’Istituto di Ricerca Riken, su pazienti affetti da patologie dell’occhio.

 

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