Le cellule staminali pluripotenti indotte si sono rivelate utili sia come modello per valutare terapie farmacologiche sia come trattamento stesso contro la malattia di Pelizaeus-Merzbacher
Al Centro Eli e Edythe Broad per la Medicina Rigenerativa e per la Ricerca sulle Cellule Staminali dell’Università della California, David H. Rowitch è il minimo comune denominatore tra due équipe di scienziati che hanno lavorato su due differenti fronti di utilizzo delle cellule staminali per una rara patologia del sistema nervoso quale è la malattia di Pelizaeus-Merzbacher (PMD). In uno studio apparso lo scorso ottobre sulla rivista Cell Stem Cell i ricercatori hanno utilizzato le staminali per approfondire il meccanismo con cui si sviluppa la malattia e per identificare nuove possibili opzioni di cura. In un altro articolo, pubblicato sulle pagine della rivista Stem Cell Reports le cellule staminali sono state impiegate direttamente sulle cellule neuronali dei pazienti con PMD nel tentativo di arrestare il decorso della malattia.
Quella su cui si sono concentrati i ricercatori di San Francisco è una rara e progressiva patologia del sistema nervoso la cui origine si associa alla distruzione delle guaine mieliniche che circondano gli assoni conducendo a un graduale deterioramento della sostanza bianca dell’encefalo. La PMD è una malattia del gruppo delle leucodistrofie del cervello e non ha una cura specifica. Il trattamento è, a tutt’oggi, solo sintomatico perciò le ricerche dei due gruppi coordinati da Rowitch potrebbero, un domani, cambiare la vita di tanti pazienti. Vediamo nello specifico i risultati ottenuti.
Individuazione di nuovi farmaci
Nel primo studio, pubblicato su Cell Stem Cell, Rowitch insieme a Marius Wernig e a Hiroko Nobuta, si è focalizzato sulle cause della malattia e sull’identificazione di molecole con un’azione farmacologia che possano arrestare la distruzione della guaina mielinica. Essi hanno scoperto che lo scombussolamento del metabolismo del ferro ha un impatto patologico importante sui meccanismi che conducono alla morte delle cellule sia in modelli animali che umani. Riuscendo a riconvertire le cellule dell’epidermide in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e poi a differenziarle in cellule del cervello hanno capito che gli oligodendrociti - le cellule che producono la mielina - derivate dalle staminali di pazienti affetti da PMD muoiono anche a causa di un eccesso di ferro. È stato, infatti, osservato che queste cellule vanno incontro a una diminuzione dei livelli di transferrina e ferritina, e un aumento di quelli del recettore della transferrina, evidenziando un problema nel metabolismo del ferro diverso da quello che affligge i pazienti con emocromatosi, dove i livelli di ferritina crescono e quelli del recettore della trasferrrina scendono. Perciò, i ricercatori hanno pensato che usando un agente ferro-chelante come il deferiprone, indicato nel trattamento dell’accumulo di ferro anche in pazienti affetti da talassemia maggiore, avrebbero potuto contribuire alla protezione degli oligodendrociti. Un risultato confermato dallo studio delle colture cellulari e dai risultati sul modello murino, e che continuerà ad essere approfondito in studi clinici successivi.
Trapianto di cellule staminali nei pazienti con PMD
Nello studio pubblicato, invece, da Stem Cell Reports le cellule staminali non si limitano più ad essere solo un modello cellulare ma divengono esse stesse il trattamento. Riprendendo i lavori di Nalin Gupta, che aveva indagato la possibilità di trapiantare le cellule staminali neuronali direttamente nella materia bianca dei pazienti, Rowitch, con la collaborazione dello stesso Gupta, ha selezionato 4 giovani ragazzi affetti dalla forma grave della malattia per uno studio di Fase I in cui testare l’efficacia dell’approccio terapeutico. Le risonanze magnetiche a 12 mesi dall’intervento hanno confermato l’assenza di eventi collaterali e, soprattutto, l’avvio di un processo di formazione della mielina nelle aree del trapianto. Purtroppo, negli anni, in due casi si sono presentate reazioni immunologiche che hanno richiesto la somministrazione di farmaci ad azione immunosoppressiva. Negli altri due pazienti il processo di formazione della mielina è continuato, a testimonianza della fattibilità dell’intervento.
È importante sottolineare che si tratta di uno studio con risultati ancora molto preliminari ma, se l’efficacia e la sicurezza del trapianto saranno in futuro confermate su una casistica più ampia di pazienti, si sta aprendo una nuova via per combattere una patologia neurologica ad oggi ancora incurabile.