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Giappone

Le scelte politiche di un governo deciso a scalare le vette nel settore della medicina rigenerativa stanno incentivando l’attività di cliniche che somministrano terapie spesso non validate per sicurezza ed efficacia. I primi a pagarne il prezzo sono i pazienti

Il fenomeno delle cliniche che erogano ai pazienti terapie con cellule staminali non approvate dalle autorità regolatorie internazionali - facendole, tra l’altro, pagare a peso d’oro - sta pericolosamente crescendo di intensità non solo negli Stati Uniti ma anche in altre parti del mondo come Messico, India, Australia e Cina. L’ultima denuncia proviene dalla rivista scientifica Nature che, in un articolo pubblicato il 26 settembre, racconta la situazione del Giappone, Paese in cui tali cliniche sembrano essersi moltiplicate come i funghi.

I termini “clinica abusiva” e “trattamento non autorizzato” rimandano il pensiero a Stamina, il caso che in Italia ha fatto scalpore ma, nel paese del Sol Levante, la somministrazione di tali terapie non si realizza in qualche oscuro scantinato. Cancelliamo l’immagine di tetri sotterranei all’interno di misteriosi laboratori, come quello dipinto nel film Deadpool dove il protagonista viene sottoposto a una terapia sperimentale non riconosciuta dalla medicina ufficiale per curare un cancro particolarmente aggressivo. Le cliniche giapponesi sono collocate nei quartieri più ricchi e alla moda del Paese, a volte accanto ai saloni di bellezza o alle gioiellerie. Come se sottoporsi a una terapia sperimentale con cellule staminali equivalga a farsi un’iniezione di botulino per gonfiare le labbra. È un’associazione pericolosa che rischia di minimizzare proprio l’impatto degli eventuali eventi avversi di una terapia che non abbia svolto tutti i dovuti percorsi di validazione scientifica. Lasciando credere ai pazienti che non ci siano rischi ad essa correlati. Ma i rischi esistono e sono alti.

Il punto più eclatante è che l’avvento di queste strutture è stato avvallato dalle politiche del governo del Premier Shinzo Abe che, come si legge su Nature, sulla spinta del riconoscimento del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina al prof. Shinya Yamanaka dell’Università di Kyoto - per le sue scoperte nel campo cellule staminali pluripotenti indotte - ha promesso un investimento di un miliardo di dollari per portare il Giappone ai vertici nel settore della medicina rigenerativa. Purtroppo però, i ritmi della ricerca e i tempi dell’applicazione clinica dei risultati da essa prodotti non vanno di pari passo; per tale ragione il governo giapponese si è fatto promotore di un paio di leggi tese a deregolamentare l’utilizzo delle cellule staminali al fine di promuoverne la commercializzazione. La prima legge è nota come “Act on the Safety of Regenerative Medicine” (ASRM) e divide le terapie cellulari in 3 classi permettendo agli ospedali e alle cliniche di metterle in commercio senza passare attraverso studi di validazione che ne testino l’efficacia. È sufficiente dimostrare di avere a disposizione una struttura certificata dal Ministero della Sanità e di aver ricevuto il via libera da un Comitato di revisione indipendente (punto debole assai evidente della legge), anch’esso certificato dal Ministero. La seconda legge, nota come “Pharmaceutical and Medical Devices Act”, permette a un’azienda di ottenere “un’approvazione condizionale” alla vendita su tutto il territorio nazionale di una terapia i cui costi saranno coperti dal sistema assicurativo. In questo caso occorre presentare qualche dato di efficacia. In cambio si ottengono diritti di vendita per un periodo di sette anni. A cinque anni dall’adozione di questi regolamenti, centinaia di cliniche in tutto il Paese stanno vendendo oltre 3.700 trattamenti, molti dei quali basati su cellule staminali, attirando le aziende straniere come api sul miele.

Il progetto del governo giapponese, val la pena dirlo, richiama alla mente la strategia medievale di un re che si avvale di eserciti mercenari per vincere una battaglia e conquistare nuovi territori. Salvo che poi a queste truppe senza bandiera qualcosa doveva pur essere riconosciuto per lo sforzo bellico e, tale riconoscimento, non era di certo a vantaggio dei cittadini che quel re governava. E, infatti, il processo di deregolamentazione in due atti stabilito dal governo nipponico ha permesso a cliniche troppo simili a moderne spa di mettere radici e vendere, con la stessa facilità delle creme anti-invecchiamento, terapie la cui efficacia - ma anche la sicurezza - non è riconosciuta. Pretendendo di curare malattie neurodegenerative come la SLA con infusioni endovenose - da ripetere ogni 2/3 mesi - di cocktail di poco chiara natura a costi esorbitanti, fino a 1,5 milioni di yen a dose (circa 175 mila Euro). Si legge sulle pagine di Nature che una delle cliniche citate vanta oltre 1000 pazienti per trattamenti per la SLA e per altre indicazioni. E, quel che è peggio è che, alla prima richiesta di spiegazioni sull’efficacia gli operatori si trincerano dietro la cortina di ferro del “dipende da caso a caso”. Una giustificazione rapida e poco attendibile che esclude in un colpo solo la buona pratica clinica rappresentata dagli studi clinici randomizzati controllati con placebo, considerati il ‘gold standard’ per la valutazione di efficacia e sicurezza di farmaci e terapie.

Il governo giapponese ha sposato, a questo proposito, la posizione della Società Giapponese per la Medicina Rigenerativa che per le prove di efficacia non sempre ritiene sia utile l’utilizzo di un gruppo di controllo. Un’opinione piuttosto discutibile che sta facendo parlare i bioeticisti di tutto il mondo e che rischia di avere effetti dannosi sui pazienti, come il caso di un uomo che aveva affermato di aver provato, all’interno di una di queste cliniche, un trattamento noto come HeartSheet per trattare la cardiomiopatia dilatativa, una patologia cardiaca cronica. Pur dubbioso sul fatto di doversi sottoporre a un trattamento che prevedeva anche un’operazione al cuore l’uomo aveva accettato ma dopo alcuni mesi è andato incontro a una progressiva insufficienza cardiaca che, alla fine, ha richiesto un trapianto d’organo. Non si può affermare con certezza che HeartSheet abbia contribuito all’instaurarsi dello stato di insufficienza cardiaca che ha richiesto un trapianto di cuore. Ma - e questo spiega bene il livello di pericolosità del gioco a cui gioca il governo giapponese - non si può nemmeno escludere che non ne sia stato responsabile.

 

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