insule pancreatiche, diabete, terapia cellulare

Uno studio dell’IRCCS Ospedale San Raffaele analizza i risultati a lungo termine del trapianto su pazienti con diabete di tipo 1, delineando indicazioni fondamentali per le future terapie cellulari 

Da alcuni anni ormai il trapianto di insule pancreatiche si è affermato come un metodo per ripristinare la produzione di insulina nei pazienti affetti da diabete di tipo 1 in cui una risposta immunitaria fuori scala si rivolge contro le cellule beta del pancreas, sede di produzione dell’insulina. Il lato oscuro di questa procedura è correlato alla necessità di sottoporre il paziente a una terapia immunosoppressiva e ciò impone di considerare con attenzione il sottile equilibrio tra i vantaggi e gli svantaggi. Un importante studio italiano, pubblicato la settimana scorsa su The Lancet Diabetes & Endocrinology, illustra la ventennale esperienza dell’Unità di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, un’analisi dei risultati a lungo termine dei numerosi interventi ha permesso di avere importanti indicazioni per migliorare l’efficacia e la sicurezza della procedura.

Coordinato dal professor Lorenzo Piemonti, Primario dell’Unità di Medicina Rigenerativa e dei Trapianti, direttore del Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente di Endocrinologia di UniSR Università Vita-Salute San Raffaele, lo studio analizza i risultati a lungo termine del trapianto di insule pancreatiche in pazienti con diabete di tipo 1 trattati presso l’ospedale milanese dal 2001 al 2023 e rappresenta una delle analisi retrospettive a singolo centro più ampie al mondo, con un follow-up di due decenni. Il pregio del lavoro è l’opportunità di fornire importanti indicazioni per le future terapie di sostituzione delle cellule beta.

La coorte di studio analizzata ha compreso individui nella fascia di età tra 18 e 67 anni affetti da diabete di tipo 1 che presentavano una grave ipoglicemia o una instabilità glicemica evidente. In particolare, l’analisi ha coinvolto 79 pazienti rivelando che nelle persone trattate con una dose di insule pancreatiche di almeno 10.000 IEQ/kg e il protocollo immunosoppressivo αCD25/FK506/Rapa, si è ottenuto un significativo miglioramento nella sopravvivenza del trapianto e una maggiore indipendenza dall’insulina. In questo gruppo, la sopravvivenza mediana delle insule è stata di 9,7 anni, con il 72,7% dei pazienti che ha mantenuto l’indipendenza dall’insulina per un periodo tra i 6 e i 7 anni. I dati complessivi mostrano una sopravvivenza del trapianto del 86% a un anno, del 65% a cinque anni e del 40% a vent’anni, a conferma dell’efficacia a lungo termine del trattamento. Tuttavia, lo studio ha evidenziato alcuni effetti collaterali associati alla terapia immunosoppressiva, come infezioni e riduzione della funzionalità renale, che richiedono un attento monitoraggio e interventi mirati per garantire la sicurezza a lungo termine dei pazienti.

Questo studio evidenzia il potenziale del trapianto di insule nel migliorare la qualità della vita dei pazienti con diabete a lungo termine, fornendo al contempo preziose indicazioni per ottimizzare le future terapie cellulari, in particolare quelle basate sul differenziamento delle insule pancreatiche a partire da cellule staminali”, dichiara il professor Lorenzo Piemonti. “I risultati ottenuti non solo aiutano a comprendere meglio gli effetti dell’immunosoppressione, ma anche a determinare le dosi ottimali di insule per garantire trapianti sicuri ed efficaci”. Tali dati sottolineano l’importanza di proseguire la ricerca per migliorare e perfezionare le terapie cellulari destinate ai pazienti con diabete di tipo 1, per garantire trattamenti sempre più efficaci e sostenibili nel lungo periodo.

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