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sangue

Costruito con cellule staminali pluripotenti indotte un organoide formato da vasi sanguigni umani funzionanti

Nella cripta della Cappella di Sansevero a Napoli sono conservate due mummie il cui apparato circolatorio, narra la leggenda, sarebbe stato fissato e conservato con un procedimento unico e segreto. In realtà si tratta di un abile artificio, che fornisce un’idea di quanto sia complesso il nostro sistema di circolazione del sangue.

Pochi giorni fa, come si legge in un articolo pubblicato sulla nota rivista Nature, un gruppo di ricerca coordinato Joseph M. Penninger, direttore del Life Sciences Institute presso la University of British Columbia, e guidato da Reiner A. Wimmer, ricercatore presso l’IMBAi ricercatori dell'Accademia Austriaca delle Scienze (IMBA) di Vienna, è riuscito nell’impresa di ricreare vasi sanguigni perfettamente funzionanti da usare come modello di studio.

Il risultato è sensazionale perché mette nelle mani di medici e biologi uno strumento d’indagine accurato e dettagliato attraverso cui sperimentare nuove possibili strategie contro malattie cardiovascolari, neurodegenerative o contro il diabete mellito di tipo 2, le cui conseguenze possono essere estremamente severe.
Ma andiamo per gradi. Un vaso sanguigno sembra relativamente più semplice da produrre di organi multifunzione come il fegato o il pancreas endocrino. In fondo si tratta di un tubo che serve a trasportare il fluido che irrora gli organi stessi. In realtà produrre i vasi sanguigni non è così banale come si può supporre. La sezione trasversale di un vaso sanguigno rivela, dall’interno verso l’esterno, un sottile strato di cellule endoteliali che circonda il lume e tramite una lamina basale è, a sua volta, separato dagli strati esterni sovrastanti. Questi ultimi, composti da muscolatura liscia e tessuto connettivo, possono variare ed essere più o meno presenti, a seconda delle dimensioni del vaso e delle sue funzioni, ma lo strato di cellule endoteliali e la lamina basale non mancano mai. Poi ci sono i periciti, strutture di origine connettivale che si avvolgono intorno ai vasi e la cui presenza dipende dalla secrezione di PDGF-B (Fattore di crescita derivato dalle piastrine). La struttura dei vasi assume un valore profondo specie in relazione ai processi di angiogenesi che si osservano tanto nelle cellule sane quanto in quelle neoplastiche. Comprendere sotto quali stimoli si forma l’intricato sistema di vasi che porta il nutrimento alle cellule è la chiave di volta per arrestare la crescita dei tumori o per bloccare malattie, come il diabete, che sono causa di arresti cardiaci e problematiche renali spesso fatali per i pazienti.

Cosa hanno, dunque, fatto i ricercatori? Il lavoro si è articolato in più passaggi. Per prima cosa hanno sviluppato un protocollo che consentisse loro di modulare lo sviluppo del mesoderma (lo strato di cellule da cui ha origine il sistema dei vasi) e, a partire da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) umane, hanno prodotto un organoide, cioè un aggregato di cellule che, in coltura, tende ad organizzarsi assumendo una precisa conformazione tridimensionale che lo rende simile ad un organo in miniatura. In questo caso, ad un insieme di cellule endoteliali che delimitano un lume e sono ben impostate tra loro grazie alla presenza dei periciti. L’organoide in vitro possiede una sua struttura ma per capire se il grado di differenziazione raggiunto possa replicarsi anche in vivo, i ricercatori lo hanno trapiantato nelle cellule della capsula renale di un topo, dove hanno osservato un ottimo tasso di crescita e una sopravvivenza che si è protratta per oltre 6 mesi. Si tratta di un risultato inedito perché dimostra non solamente che le cellule si sono correttamente differenziate in arterie, vasi, arteriole e capillari ma anche che la struttura così creatasi si è funzionalmente ben integrata con il sistema vascolare del topo. Ciò ha confermato, inoltre, come sia possibile coltivare e trapiantare un sistema vascolare umano funzionale in un'altra specie animale.

A questo punto, gli scienziati si sono focalizzati sui cambiamenti a livello vascolare prodotti da una patologia come il diabete. Infatti, uno dei vantaggi offerti dalla produzione di organoidi è proprio quello di rappresentare modelli dettagliati e ideali per lo studio delle malattie. Confrontando i vasi di soggetti normoglicemici e di pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 è stato possibile osservare come nel caso di questi ultimi fosse evidente l’ispessimento della membrana basale. Gli organoidi sono stati esposti ad elevate concentrazioni di glucosio e hanno risposto con un aumento della produzione di collagene di tipo IV che ha contribuito a rendere più spessi i vasi. Con la comparsa del diabete si è prodotto uno stato infiammatorio caratterizzato dall’aumento di citochine pro-infiammatorie, TNF (Tumour Necrosis Factor) e interleuchina-6. Lo strato di cellule endoteliali si è ridotto come pure la quota di periciti. Perciò, in una fase successiva, si è cercato di vedere se questa situazione fosse replicabile anche nel modello animale, somministrando ai topi precedentemente trapiantati la streptozotocina (sostanza in grado di indurre il diabete in modelli murini) e sono state viste le medesime dinamiche.

L’ispessimento della membrana basale che in entrambi i casi si è prodotto assomiglia molto al danno vascolare che si osserva nei pazienti diabetici. Pertanto, i ricercatori hanno sperimentato l’effetto di una serie di molecole e composti chimici con cui bloccare il processo di ingrossamento delle pareti dei vasi sanguigni, scoprendo che nessuno di questi sortiva alcun effetto. Solamente un inibitore delle gamma-secretasi, somministrato in doppia terapia anticoagulante, è riuscito a produrre un effetto significativo nel rallentare la formazione di collagene di tipo IV, ripristinando la proliferazione del tessuto endoteliale. Per identificare possibili bersagli molecolari di questo inibitore è stata impiegata la tecnica di editing genomico CRISPR-Cas9 che ha permesso di creare un modello in cui risultasse “spento” il gene NOTCH3, osservando una riduzione dell’ispessimento della membrana basale. Nei topi diabetici, infatti, il blocco di NOTCH3 riduce le modificazioni della membrana basale dei vasi sanguigni degli organoidi.

A partire dalla creazione di un organoide che ripropone fedelmente lo schema dell’apparato di vasi sanguigni umano il gruppo di ricerca è riuscito, attraverso una serie di brillanti passaggi, ad identificare un fattore chiave nell’ispessimento della membrana basale di vene ed arterie alla base del diabete e, quindi, di alcune patologie vascolari. Inoltre, è stato possibile individuare un potenziale trattamento a testimonianza di quanto il ruolo degli organoidi sia cruciale per studiare le malattie – in questo caso dei vasi sanguigni – e per trovare nuove efficaci terapie mirate.

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