Cuore

Dai primi organoidi funzionanti fino ai modelli tridimensionali per l’infarto, lo studio di uno dei nostri più preziosi organi vitali sta avendo accelerazioni straordinarie

Asserire che le ricerche sul cuore sono da sempre il centro dell’universo accademico può sembrare eccessivo e forse un po' fazioso, anche se giustificabile dall’impatto epidemiologico delle patologie cardiovascolari. A dispetto di ciò, leggendo le ultime due pubblicazioni, apparse rispettivamente su Circulation Research e Nature Biomedical Engineering, una tale affermazione non sembrerebbe poi così sbagliata. Di fatti, proprio perché oggetto di patologie ad altissima incidenza mondiale, il nostro organo vitale per eccellenza riveste un’importanza unica, rendendo prioritaria la ricerca tesa a migliorare lo sviluppo di nuovi farmaci e, al contempo, a trovare soluzioni per far avanzare il settore dei trapianti.

Tutto ciò offre lo spunto per guardare con profondo interesse agli organoidi, considerati ormai i modelli cellulari del futuro. Già ampiamente usati per lo studio di patologie che affliggono cervello, reni e polmoni, gli organoidi sono stati un tassello importante per la messa a punto dei primi modelli di cuore in 3D ai quali mancava solamente un piccolo particolare, la funzionalità. Un obiettivo centrato dai ricercatori dell’Università del Minnesota (Stati Uniti) che hanno descritto il loro lavoro sulla rivista Circulation Research, una pubblicazione dell’American Heart Association.

UN CUORE IN GRADO DI POMPARE SANGUE

Grazie alle tecniche di stampa in 3D, e ad una crescente abilità nella manipolazione delle cellule staminali pluripotenti, gli scienziati sono riusciti a stampare i cardiomiociti (le cellule cardiache responsabili della generazione e trasmissione dell’impulso contrattile) riproducendo un modello tridimensionale in scala del cuore. Purtroppo però in nessun caso è stato possibile raggiungere la densità cellulare necessaria a far funzionare le cellule e, per tale ragione, il team guidato da Brenda Ogle, capo del Dipartimento di Ingegneria Biomedica del College of Science and Engineering presso l’Università del Minnesota, è ricorso ad un approccio diverso. Combinando i bio-inchiostri ricavati dalla matrice extracellulare con quelli a base di cellule staminali umane essi hanno messo a punto una procedura innovativa, nella quale prima le cellule sono state espanse ad alte densità cellulari e poi sono andate incontro al differenziamento in cellule muscolari che compongono il cuore.

È emozionante vedere la punta dell’ago che con rapidità e precisione distribuisce lo speciale inchiostro attraverso il quale, strato dopo strato, si comporrà un piccolo cuore della lunghezza di poco più di un centimetro, ideale per adattarsi alla cavità toracica di un topo. Specialmente se ci si sofferma a pensare alle possibili implicazioni di questa nuova ricerca grazie alla quale i ricercatori possono imparare in che modo le cellule crescono e si differenziano fino a formare un cuore in grado di pulsare. A questa conoscenza si aggiunge, naturalmente, anche quella della diversificazione sul piano molecolare, così importante nello studio delle patologie cardiache. Infatti, la fotografia dinamica prodotta dagli organoidi non solo permette di rivedere, come in un film, tutte le fasi di sviluppo di un organo, ma consente anche di testare le ipotesi di lavoro dei ricercatori inserendo nel modello quelle varianti necessarie a ricreare una patologia - come, ad esempio, l’infarto del miocardio - così da studiarne le prime fasi di sviluppo e testare terapie sempre più efficaci per contrastarle.

UN MODELLO DI INFARTO

Ed è esattamente quello che hanno fatto gli scienziati della Medical University of South Carolina (MUSC) e della Clemson University i quali, in un articolo pubblicato ad aprile sulle pagine della prestigiosa rivista Nature Biomedical Engineering, hanno usato gli organoidi per produrre un modello di sviluppo dell’infarto. Gli organoidi creati dal gruppo guidato da Ying Mei sono molto più piccoli (circa un millimetro di lunghezza) rispetto a quelli dei colleghi dell’Università del Minnesota ma sono in gradi di presentare in maniera fedele la sequenza di eventi che si realizza durante un attacco cardiaco. Anche in questo caso la base di partenza è rappresentata dalle cellule staminali pluripotenti indotte che sono state spinte a differenziarsi in cellule cardiache e ad assemblarsi assumendo la morfologia di un organo tridimensionale. Il vantaggio più significativo derivante dall’utilizzo di questi modelli è che essi ricalcano esattamente ciò che succede nelle cellule umane, permettendo di colmare il divario esistente tra un modello animale e uno umano.

Non è affatto facile ottenere campioni tessutali di un cuore subito dopo che si è verificato un infarto ed è per questo motivo che le conoscenze su questa drammatica patologia, che ogni anno uccide milioni di persone in tutto il mondo, non sono così accurate. Poter lavorare su un modello cellulare in cui il danno dovuto alla privazione di ossigeno inizia ad essere studiato non appena tale mancanza si fa sentire permette di recuperare tempo e testare la veridicità di ipotesi più precise. Ciò significa aiutare i ricercatori a capire meglio in che modo le cellule rispondono alla mancanza di ossigeno nel breve termine e, di conseguenza, come ciò si possa tradurre in gravi danni a lungo termine. Da qui alla possibilità di comprendere quali farmaci siano in grado di trattare meglio - o addirittura prevenire - situazioni di grave pericolo il passo potrebbe essere corto. Infine, gli scienziati americani intendono verificare se i medesimi farmaci somministrati a pazienti con cuori sani possano rivelarsi altrettanto sicuri per un cuore malato.

Analogamente a quanto visto in altri ambiti di ricerca quello che sembra un punto di arrivo è, in realtà, solo una tappa del viaggio da cui ripartire per ambire a traguardi più ardui. Mei e i suoi collaboratori vogliono perfezionare il loro modello aggiungendo all’equazione anche il ruolo delle cellule immunitarie e le diversità genetiche di ogni individuo. Nella speranza di rendere sempre più accurato e preciso quello che è lo strumento d’indagine, vale a dire quei modelli cellulari rivoluzionari grazie a cui si spera di accedere a informazioni fondamentali per aggredire patologie che oggi ci sembrano ancora invincibili.

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