Cervello

Al CIBIO di Trento si lavora su un modello tridimensionale estremamente accurato di medulloblastoma per capire come si sviluppi questo tumore e per identificare nuovi specifici farmaci

Al solo sentir pronunciare la frase “cervelli in provetta” si evocano le fantascientifiche atmosfere di cartoni come Futurama, tuttavia questa semplicistica ma efficace espressione si può riferire alla produzione degli organoidi, modelli cellulari estremamente realistici che gli studiosi di tutto il mondo stanno impiegando nella ricerca di una cura per patologie oncologiche prive di un’eziologia e di una terapia specifica. Proprio in Italia, presso il Centro di Biologia Integrata (CIBIO) di Trento, l’uso degli organoidi nella ricerca sul medulloblastoma ha recentemente prodotto risultati di notevole interesse.

IL MEDULLOBLASTOMA

Un gruppo di ricerca coordinato dal dott. Luca Tiberi, biotecnologo e professore di Biologia Applicata dell’Università di Trento, ha sviluppato una nuova strategia per lo studio e l’eventuale trattamento di questo tumore dell’infanzia. Il medulloblastoma, infatti, è un tumore cerebellare che, seppur possa manifestarsi a tutte le età, colpisce in maniera prevalente i bambini con picchi intorno ai 3-5 anni e ai 7-9 anni. Questo tumore, si presenta con sintomi quali vomito e cefalea e, man mano che la malattia procede, può comportare letargia, cambiamenti di personalità, deficit di attenzione, spasticità e debolezza muscolare. Purtroppo, nonostante il trattamento preveda la combinazione di chirurgia, radioterapia e chemioterapia, i tassi di sopravvivenza a 5 anni rimangono molto bassi (intorno al 60-70%), rendendo il medullobalstoma uno dei tumori dell’infanzia più aggressivi oltre che, purtroppo, più diffusi.

GLI ORGANOIDI COME MODELLO DI STUDIO

“Ci siamo concentrati su uno specifico sottogruppo di pazienti affetti da medulloblastoma”, spiega il prof. Tiberi. “Il sottogruppo III è, infatti, quello con una maggior incidenza di metastasi e che ha, dunque, la prognosi peggiore”. Come si può leggere nello studio pubblicato lo scorso 29 gennaio sulla prestigiosa rivista Nature Communications, il gruppo di Tiberi - in collaborazione con il personale dell’Università La Sapienza di Roma, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e dell’IRCCS Neuromed-Istituto Neurologico Mediterraneo di Pozzilli (Isernia) - ha messo a punto un procedura di indagine imperniata proprio sugli organoidi. “Siamo partiti da cellule di donatore sano e, rifacendoci ad un protocollo giapponese, siamo giunti alla creazione di questi piccoli organoidi di cervelletto”, aggiunge Tiberi. “Una volta ottenuti vi abbiamo inserito le alterazioni geniche dei pazienti creando così per la prima volta un organoide di medulloblastoma nel quale abbiamo potuto osservare che le cellule si sono ammalate trasformandosi in cellule tumorali”.

Il punto di partenza del lavoro di Tiberi è stata la precedente identificazione tramite tecniche di Next Generation Sequencing (NGS) di alcune alterazioni genetiche a danno dei geni Otx2 e c-MYC nel sottogruppo III di pazienti affetti da medulloblastoma. Una volta compreso quali fossero le mutazioni di questi due geni più frequentemente associate al tumore i ricercatori trentini hanno cercato un modo per vedere quali fossero anche coinvolte nello sviluppo del tumore. “Nessuno prima di noi aveva usato modelli di organoidi per studiare il ruolo delle mutazioni nella carcinogenesi del medulloblastoma”, precisa il ricercatore tentino. “Così facendo, oltre a una abnorme e incontrollata proliferazione cellulare, abbiamo confermato il ruolo delle proteine Otx2 e c-Myc. Ma il nostro lavoro non si ferma perché stiamo tutt’ora cercando di riprodurre il sistema tramite cui le cellule cancerose invadono i tessuti sani e metastatizzano. In questo gli organoidi sono preziosi”.

Un ulteriore aspetto oltre al tasso di invasività del tumore è legato alla possibilità di individuare farmaci che agiscano in maniera specifica sul tumore. “Grazie alla nostra tecnologia riusciamo a produrre grosse quantità di organoidi da usare per lo screening di nuovi farmaci. Una procedura fino ad oggi realizzata soprattutto con sistemi cellulari in 2D, o tramite sferoidi, ma che noi vogliamo realizzare su organoidi di cervello che sono quanto di più simile ci sia ad un cervello umano, mettendoli a contatto con i farmaci per testarne l’efficacia”. Un po’ come è stato descritto nello studio in cui si nota che Tazemetostat, un farmaco inibitore delle vie di segnalazione cellulare che favoriscono le proliferazione del tumore, sembra agire riducendo il diffondersi delle cellule maligne. “Stiamo tutt’ora cercando di capire se il farmaco operi uccidendo le cellule o riducendone il potenziale proliferativo”, conclude Tiberi. “Ma il nostro scopo è sfruttare questi preziosi organoidi per comprendere meglio i meccanismi che causano il cancro, e identificare farmaci che funzionino altrettanto bene di Tazemetostat, se non addirittura meglio”.

ORGANOIDI ANCHE CONTRO IL GLIOBLASTOMA

Le ricerche dei biologi del CIBIO non sono le sole a considerare gli organoidi per lo studio dei tumori cerebrali. Infatti, un articolo pubblicato lo scorso 9 gennaio sulle pagine della rivista Cell da ricercatori della Penn Medicine ha dimostrato come organoidi di glioblastoma possano fungere da modelli efficaci per testare in maniera rapida nuove strategie di trattamento personalizzate. Analogamente al medulloblastoma, il glioblastoma multiforme è un tumore altamente maligno del cervello che cresce rapidamente e, pur metastatizzando in misura minore, ha una prognosi spesso infausta. I meccanismi molecolari che ne determinano l’origine non sono ancora del tutto chiari e non lo sono nemmeno le strategie post-chirurgiche di gestione dei pazienti: proprio alla ricerca su questi due fronti potrebbero dare un contributo importante gli organoidi.

Lo studio pubblicato su Cell descrive come gli organoidi cerebrali ottenuti da cellule staminali pluripotenti riescano a riassumere non solo l’eterogeneità in chiave genetica ma anche la complessa dell’architettura istologica del tumore, fornendo ai ricercatori un quadro più definito per sferrare l’attacco alla malattia. Essi, infatti, hanno ottenuto i campioni di tumore da 52 pazienti da cui hanno sviluppato gli organoidi del glioblastoma, di questi il 66,7% esprimevano la specifica mutazione IDH1 e il 75% sono stati descritti come recidivanti. Successivamente, otto di questi sono stati trapiantati in cervelli di topo mantenendo intatte le caratteristiche di aggressività del tumore e il suo profilo genetico.

Simulando un trattamento post-chirurgico, i ricercatori hanno sottoposto gli organoidi a terapie standard e mirate, compresa la terapia a base di cellule CAR-T, dimostrando che le risposte degli organoidi sono diverse e che l’efficacia è correlata proprio alle mutazioni genetiche espresse nei tumori dei pazienti. In particolare, è stato osservato un beneficio negli organoidi dei pazienti recanti la mutazione EGFRvIII sottoposti a trattamento con le terapie CAR-T, rivolte contro questa specifica mutazione.

A questo punto diventa evidente come la strada verso l’elaborazione di terapie mirate e personalizzate contro tumori cerebrali aggressivi come il medullobalstoma o il glioblastoma passi necessariamente per il ricorso agli organoidi, considerati ormai tra i modelli cellulari più realistici.

Con il contributo incondizionato di

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