Uno studio italiano combina le conoscenze sulle iPSC, l’utilizzo dell’editing genomico e degli organoidi per fare luce sulla malattia. Lo spiega il prof. Alessandro Rosa dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza
La sindrome dell’X fragile è una delle più conosciute cause di ritardo mentale e riguarda il sesso maschile poiché causata dalle mutazioni di un gene posto sul cromosoma X. Tuttavia, sebbene il suo punto di origine sia stato identificato, i meccanismi che provocano la malattia sono tutti da indagare e, per questa ragione, un gruppo di ricerca italiano sta facendo affidamento non solo sulle cellule staminali e sull’editing del genoma ma anche su modelli cellulari avanzati come gli organoidi. Lo studio è stato pubblicato a maggio sulla rivista Cell Death & Disease.
LA SINDROME DELL’X FRAGILE
Quando ci si addentra nel campo delle disabilità mentali individuare un trattamento risolutivo diventa estremamente complesso dal momento che, in certe circostanze, non è ben chiaro neppure quali siano le modalità con cui una certa malattia si scatena. Lo studio italiano - coordinato dalla prof.ssa Silvia Di Angelantonio e dal prof. Alessandro Rosa, entrambi dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza e ricercatori affiliati presso il Center for Life Nano- and Neuro-Science (CLN2S@Sapienza), centro romano dell’Istituto Italiano di Tecnologia - ha indagato a fondo il livello di organizzazione delle cellule coinvolte nello sviluppo della malattia e lo ha fatto ricorrendo alle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e a tecniche di editing del genoma quali Crispr-Cas9 per poi verificare i risultati ottenuti su modelli tridimensionali quali, appunto, gli organoidi.
“La ricerca è nata dalla collaborazione tra il mio laboratorio e quello della prof.ssa Di Angelantonio e il dott. Angelo Reggiani dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova”, spiega Alessandro Rosa, docente presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie ‘Charles Darwin’ dell’Università La Sapienza. “Da anni il dott. Reggiani si occupa dello studio e dello sviluppo di possibili nuovi approcci terapeutici per la sindrome dell’X fragile, e le nostre ricerche sui modelli cellulari di malattie neurodegenerative e del neurosviluppo ottenuti dalle iPSC si sono rivelate utili al suo scopo. In particolare, per approfondire il ruolo e la funzione della proteina della sindrome dell’X fragile (FMRP) nello sviluppo delle cellule della corteccia cerebrale”.
Analogamente a un altro disturbo del sistema nervoso centrale, quale è la malattia di Huntington, anche la sindrome dell’X fragile è causata dall’anomala ripetizione di una tripletta di nucleotidi. Nel caso della sindrome dell’X fragile si tratta della tripletta CGG a livello del gene FMR1 che si traduce in una carenza di FMRP, proteina che esercita una funzione importante nei processi di corretto sviluppo neuronale. È stato osservato che il numero di ripetizioni delle triplette è associato a una pre-mutazione (tra 54 e 200 ripetizioni) o a una mutazione completa (oltre 200 ripetizioni): nella trasmissione dalla madre ai figli maschi il numero di triplette può così aumentare, producendo, di fatto, i sintomi della malattia.
UN NUOVO MODELLO DI MALATTIA
“Nel nostro studio abbiamo fatto ricorso a Crispr-Cas9, tecnica di punta dell’editing del genoma, per modificare le iPSC umane, facendo in modo di bloccare la funzione del gene FMR1 e mimando così la perdita della proteina che si osserva nei pazienti”, spiega Rosa. “Fatto salvo quest’unico cambiamento, le cellule mutate da noi prodotte sono uguali in tutto e per tutto a quelle prive della mutazione. Tutto ciò è estremamente utile per garantire la riproducibilità del risultato dal momento che, rispetto alle linee cellulari provenienti da altri individui sani che in passato si usavano come controllo, queste cellule provengono da un’unica persona per cui sono identiche. Perciò qualunque alterazione di un processo di sviluppo e differenziamento in una qualsiasi funzione di tali cellule può essere ascrivibile alla mutazione genetica e non ad altre possibili differenze genetiche o epigenetiche tra un campione malato e quello sano di controllo”.
Una volta fatto ciò, gli studiosi hanno sviluppato sia colture cellulari classiche in 2D che gli organoidi cerebrali in 3D, riproducendo in vitro alcune caratteristiche tipiche della patologia. “Gli organoidi ci hanno permesso di studiare i processi molecolari alla base di questa patologia in un contesto tridimensionale più simile all’ambiente fisiologico delle cellule”, prosegue l’esperto romano. “Per i neuroni, come per tutte le cellule del sistema nervoso, l’interazione con le altre cellule sta alla base di un buon funzionamento. Grazie agli organoidi diamo la possibilità alle cellule di muoversi e crescere esplicando le loro funzioni su tre dimensioni anziché solo su due come accade su una piastra di coltura”.
A questo vantaggio si aggiunge però un difetto di standardizzazione, legato al fatto che diversi organoidi cerebrali, pur derivanti dalle stesse cellule, mostrano una marcata variabilità intrinseca da esperimento a esperimento. Ciononostante, le analisi dei ricercatori sono state in grado di confermare il ruolo della proteina FMRP nella proliferazione delle cellule neuronali e gliali. “La prof.ssa Di Angelantonio ha svolto i saggi funzionali sui modelli 2D e 3D osservando un aumento della produzione degli astrociti, le cellule incaricate di supportare la funzione dei neuroni”, precisa Rosa. “Nei modelli di organoidi abbiamo avuto conferma dell’espansione delle cellule che esprimono un marcatore tipico degli astrociti e abbiamo osservato uno squilibrio tra le dimensioni degli organoidi della malattia e quelli di controllo, anche nel rapporto eccitazione-inibizione”. Gli organoidi della sindrome dell’X fragile, nei quali è stata replicata l’organizzazione della corteccia cerebrale, apparivano di dimensioni maggiori e si è ipotizzato che i fenomeni di ipereccitabilità in essi osservati possano dunque collocarsi alla base dei tremori e delle crisi epilettiche di cui soffrono molti pazienti, fornendo così indicazioni utili per la ricerca di nuovi approcci farmacologici.
I PROSSIMI PASSI
“Come abbiamo già compreso sfruttando gli organoidi per lo studio della microcefalia, le dimensioni sono rilevanti quanto l’organizzazione delle cellule nei vari strati che mimano la corteccia cerebrale”, conclude Rosa. “Stiamo proseguendo il lavoro e andando a fondo su questo aspetto, ricorrendo anche a iPSC derivate da individui affetti dalla sindrome dell’X fragile, alcune delle quali hanno la pre-mutazione e altre, invece, hanno la mutazione piena. Dobbiamo aumentare la nostra casistica di studio e registrare le sostanziali differenze tra i vari pazienti colpiti dalla stessa malattia che possono avere un decorso differente o una diversa suscettibilità ai farmaci”.