Prof. Giovanni Blandino (Roma): “L’obiettivo è creare organoidi della lesione metastatica su cui testare i farmaci più adatti contro le metastasi del cancro al seno”
Nella scena di un vecchio film di fantascienza il protagonista si trova al cospetto di un tale affetto da un tumore la cui rappresentazione è data da un piccolo individuo senziente. Si tratta di una scelta registica che sciocca e sorprende, pur rendendo in maniera calzante la peculiarità del cancro: quella di moltiplicarsi rapidamente e propagarsi ad altre sedi dell’organismo. La parola “metastasi”, infatti, significa proprio “andare oltre, cambiare sede”. Comprendere in che modo arrestare l’avanzata delle metastasi richiede risorse di ultima generazione, fra cui gli organoidi. A spiegare il valore di questi avanzati modelli cellulari nella lotta al cancro è il prof. Giovanni Blandino, Direttore dell’Unità di Ricerca Traslazionale Oncologica dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena (IRE) di Roma e supervisore di uno studio sul tema pubblicato a luglio sulla rivista Molecular Cancer.
ORGANOIDI DELLE METASTASI
Nell’articolo recentemente pubblicato, i ricercatori dell’istituto oncologico romano hanno descritto un protocollo di utilizzo degli organoidi per caratterizzare i meccanismi molecolari sottendenti il processo metastatico: un ottimo punto di partenza per valutare l’efficacia di specifiche terapie contro certe forme metastatiche di carcinoma mammario. “Grazie ai farmaci di ultima generazione il trattamento di un tumore primario è sempre più alla portata dell’oncologo, mentre le metastasi tumorali rimangono un buco nero per la comunità dei medici, che spesso non dispone degli strumenti adatti per affrontare una neoplasia che dissemini localmente o a distanza”, afferma Blandino. “Il tumore al seno è emblematico poiché le cellule di cui è formato sono dotate di una plasticità intrinseca tale da potersi adattare a contesti dell’organismo molto differenti da quello di partenza. Per tale ragione il tumore al seno tende a raggiungere con facilità altre sedi, quali cervello e polmoni o alla colonna vertebrale”. In queste condizioni esso acquisisce proprietà nuove, difficili da inquadrare, rendendo arduo per i medici stilare protocolli terapeutici validi contro la patologia metastatica.
Nel loro percorso di studio i ricercatori romani sono riusciti a generare degli organoidi a partire da lesioni metastatiche del tumore al seno, ben più difficili da ottenere rispetto agli organoidi di un tumore primario. “Per realizzare questo genere di modello cellulare tridimensionale occorre ricostruire il contesto del tessuto ghiandolare da cui si origina il tumore, tenendo in considerazione che il terreno di coltura deve mimare le condizioni del tessuto dove la metastasi si forma”, precisa Blandino. “Se la metastasi si sviluppa nel cervello occorre preparare un terreno di coltura su cui crescere l’organoide che sia in grado di mimare le condizioni del tessuto nervoso”. Non è un’operazione facile dal momento che le cellule della mammella e quelle del cervello o della colonna vertebrale hanno profili e funzioni del tutto differenti. “Negli ultimi anni il nostro sforzo è stato di identificare terreni di coltura che fossero adatti per ciascuna delle quattro sedi metastatiche (cervello, cute, polmone e colonna vertebrale) incluse nel lavoro”, aggiunge Blandino. “Questo è stato il primo livello di complessità che ci siamo trovati ad affrontare”.
TESTARE LE RISPOSTE AI FARMACI
Un’ulteriore difficoltà è data dalla limitata disponibilità di materiale chirurgico ottenuto da metastasi poiché, a differenza del tumore primario, queste vengono perlopiù trattate con un approccio farmacologico o radioterapico e non sempre sono indicate per l’asportazione chirurgica. “Inoltre, il nostro organoide è un surrogato e perciò deve essere il più rappresentativo possibile della lesione tumorale da cui è derivato”, spiega il professore romano. “Durante la crescita e lo sviluppo c’è il rischio che perda o cambi alcuni percorsi di espressione genica, differenziandosi dal tessuto originale. Ciò rischia di alterare la risposta al farmaco, vero obiettivo del nostro studio”. Infatti, i ricercatori del Regina Elena stanno lavorando allo sviluppo degli organoidi per eseguire su di essi dei test con più tipologie di farmaci e capire quali siano più efficaci per il trattamento della lesione metastatica. Dal prelievo di un campione di tessuto metastatico si potrà così generare un organoide che mantenga le caratteristiche morfologiche della lesione di partenza per osservare quali farmaci siano maggiorante in grado di aggredirlo e distruggerlo.
“È una piattaforma traslazionale di ausilio alla scelta terapeutica dell’oncologo”, afferma ancora Bladino. “Nel nostro lavoro abbiamo confrontato la risposta prodotta da organoidi ottenuti da metastasi riportanti mutazioni del gene PIK3CA e trattati con il farmaco alpelisib, e quella di organoidi ottenuti da metastasi prive delle stesse mutazioni ma sottoposti a trattamento con il medesimo farmaco. Così facendo abbiamo visto che quelli con la mutazione rispondevano bene mentre gli altri no”. Le mutazioni a danno del gene PIK3CA interessano fino al 40% dei tumori al seno e sono spesso associate a resistenza al trattamento e all’insorgenza di metastasi perciò è fondamentale per l’oncologo avere un’idea di quali molecole possano funzionare meglio contro i tumori con questa “firma molecolare”.
“Inoltre, abbiamo osservato che la risposta al farmaco non risente del sito di metastatizzazione”, aggiunge l’esperto. “Ciò significa che le lesioni riportanti la stessa mutazione possono essere aggredite tutte con lo stesso farmaco, anche se la metastasi interessa organi diversi”. Nel caso specifico la mutazione può dunque essere considerata una sorta di “segnale guida” per capire dove colpire il tumore.
APPROCCI COMBINATORIALI: LA TEORIA DEI GIOCHI
Purtroppo, non tutte le cellule di una lesione metastatica esprimono la stessa mutazione. “Di conseguenza, quando si trattano la metastasi con alpelisib non si riesce ad eliminare l’intera popolazione presente nel sito metastatico”, precisa Blandino. “Peggio ancora accade quando ci si trova di fronte a una lesione metastatica che non esprima particolari mutazioni, o perlomeno presenti delle mutazioni in geni per cui non disponiamo di farmaci specifici. Questo genere di lesione metastatica presenta meccanismi alternativi che dobbiamo ancora comprendere e indagare in maniera approfondita”. Ecco perché i ricercatori sono al lavoro su colture di organoidi sempre più rappresentative da usare come base per i test con nuove molecole o con combinazioni farmaceutiche, in una sorta di modello che ricorda la teoria dei giochi da alcuni applicato ai protocolli di trattamento del tumore. “Le terapie dei tumori al giorno d’oggi non sono quasi mai singole, ma sempre combinate”, chiarisce Blandino. “Nel nostro caso la presenza della mutazione PIK3CA ci permette di usare uno specifico farmaco contro di essa, annientando la componente cellulare associata. Per ipotesi un secondo farmaco potrebbe essere utile per attaccare le restanti cellule prive della mutazione. Ma occorre una giustificazione meccanicistica per ricorrere a tale modello”.
APPLICAZIONI FUTURE
Il tumore al seno - di cui si è tornati a parlare poco tempo fa, in seguito alla scomparsa di Olivia Newton-John, l’attrice australiana divenuta un’icona della lotta a questo tumore - è un paradigma per questo genere di ricerche, ma è anche una forma molto complessa che tende a metastatizzare in molti distretti obbligando gli studiosi a riprodurre organoidi tra loro molto eterogenei. “Le procedure alla base di tale complessità richiedono tempo”, conclude Blandino. “Abbiamo stimato in un mese circa il tempo necessario a produrre un organoide a partire dal materiale chirurgico. Poi bisogna calcolare il tempo di risposta ai primi trattamenti. Ma l’ideale sarebbe riuscire a produrre gli organoidi partendo dal materiale ottenuto durante le biopsie, dal momento che questo ci permetterebbe di anticipare ancora di più i tempi, capendo con notevole vantaggio la combinazione di farmaci più efficace da usare. Purtroppo, il materiale a disposizione con le biopsie è molto meno rispetto a quello dei pezzi operatori; tuttavia, stiamo avviando degli studi di fattibilità che speriamo ci diano presto delle risposte incoraggianti”.
Di recente, i nuovi anticorpi coniugati hanno dimostrato un’elevata specificità d’azione nella lotta al cancro al seno, perciò disporre di modelli cellulari avanzati come quelli prodotti dai ricercatori dell’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena può conferire un ulteriore vantaggio in termini di specificità e precocità d’intervento, due concetti di indispensabile valore anche contro altre neoplasie, come quelle al fegato e al polmone, per le quali generare un organoide su cui testare l’efficacia di un ampio ventaglio di farmaci equivarrebbe a mettere nelle mani dell’oncologo uno strumento di precisione di cui si ravvisa sempre più il bisogno.