Il più grande studio sugli “Organ-on-chip” ha dimostrato che i modelli di fegato umano su chip sono più efficaci dei modelli animali per i test di tossicità dei farmaci
Solo il 10% dei farmaci che superano i test sugli animali ottengono l’autorizzazione al commercio. Il costo della ricerca è soprattutto il “costo del fallimento”: per risparmiare tempo e soldi bisogna sbagliare – e correggersi – il prima possibile. Negli studi preclinici, la sperimentazione animale spesso non fornisce una corretta valutazione della tossicità che può avere un candidato farmaco sull’uomo, ma esistono tecnologie complementari per testare le molecole direttamente su cellule umane. Uno studio, pubblicato a fine 2022 sulla rivista Communications Medicine, ha verificato l’affidabilità di 870 modelli di fegato su chip. Questi hanno segnalato correttamente, nell’87% dei casi, la tossicità di farmaci che avevano causato danno epatico nei pazienti pur avendo superato i test sugli animali.
LE FASI DELLA RICERCA
La ricerca e sviluppo di un nuovo farmaco è un processo a più step: i candidati farmaci devono prima superare una serie di test in vitro (effettuati in provetta o su cellule), poi sugli animali (fase preclinica) e infine sull’uomo (fase clinica). Questo terzo e ultimo step è la sperimentazione clinica, un percorso lungo, complesso e costoso che comprende studi di Fase I, condotti su volontari sani o su pochi pazienti per valutare in primo luogo la sicurezza del farmaco, studi di Fase II e III, condotti su un numero maggiore di pazienti e con l’obiettivo di valutare l’efficacia del farmaco oltre alla sua sicurezza, e di Fase IV, ossia il monitoraggio dei farmaci già in commercio. Gli studi clinici costano molto, per questo e per la sicurezza dei pazienti.
Solo i candidati farmaci che hanno superato tutti i test in vitro e sugli animali accedono alla Fase I. Nonostante il semaforo verde della preclinica, però, solo il 10% dei farmaci che entrano in Fase I raggiunge l’autorizzazione al commercio, con un tasso di fallimento del 90%. Per questo la ricerca e i farmaci costano così tanto, a fronte di risultati che spesso arrivano solo decine di anni dopo la scoperta di una nuova molecola in laboratorio. Il 75% del denaro investito è il “costo del fallimento”, soldi che i centri di ricerca spendono solo per scoprire che il loro candidato non funziona.
OLTRE LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE
Una delle cause più comune di fallimento di un farmaco durante la sperimentazione clinica o di ritiro dal mercato dopo l’autorizzazione, è il danno epatico indotto da farmaci (in inglese, DILI “drug-induced liver injury”). Il fegato è il principale organo metabolico del nostro corpo ed è anche responsabile dell’eliminazione dei farmaci dalla circolazione sistemica. I farmaci, ma anche alcune erbe ed integratori, in grado di determinare il danno epatico sono centinaia e solo per pochi si conosce l’esatto meccanismo patologico.
Le aziende stanno investendo in metodi di predizione complementari per restringere il gap tra ricerca preclinica e clinica e risparmiare tempi e costi di sviluppo. La scienza da sempre procede per “prove ed errori”, il fallimento fa parte della scoperta. Ma oggi il nuovo mantra è “fallire prima, fallire velocemente”, ossia eliminare subito i farmaci potenzialmente pericolosi e testare sugli animali solo quelli col miglior profilo di sicurezza.
Esistono già vari metodi in grado di complementare la sperimentazione animale, tra cui gli organoidi o gli sferoidi 3D e gli Organ-on-Chip, chip microfluidici per colture cellulari che attraverso una rete di canali simulano i vasi sanguigni e le interazioni tra le cellule, i tessuti e persino tra organi diversi.
I FEGATI SU CHIP
Lo studio condotto dall’azienda Emulate, e pubblicato su Communications Medicine, è il primo e il più grande nel suo genere: sono stati valutati ben 870 modelli di fegato-su-chip per la loro capacità di predire l’epatotossicità di 27 farmaci noti, a confronto con i modelli animali e con gli organoidi. I ricercatori hanno seguito le linee guida del Consorzio per l’Innovazione e la Qualità, l’organismo responsabile di stabilire i parametri necessari per validare i modelli preclinici.
I chip consentono di riprodurre gli aspetti morfologici e fisiologici del fegato e le interazioni tra i suoi tessuti, di mimare il flusso sanguigno e le forze meccaniche che intervengono sull’organo. Rispetto agli animali, inoltre, permettono di testare gli effetti di un farmaco direttamente su cellule umane, fornite da tre donatori diversi, come nel caso di questo studio, o dai pazienti stessi, che alla fine potrebbero beneficiare di chip altamente personalizzati.
Le performance di questi dispositivi sono state di altissimo livello e hanno superato sia quelle dei modelli animali che degli organoidi. I fegati su chip hanno correttamente segnalato la tossicità dell’87% dei farmaci che avevano causato danno epatico negli esseri umani, nonostante avessero superato i test sugli animali. Il test, inoltre, ha dimostrato una specificità del 100%, cioè in nessun caso ha predetto erroneamente la tossicità di farmaci che non avevano causato effetti collaterali. Farmaci potenzialmente validi, ma giudicati pericolosi da test meno specifici, potrebbero riprendere il loro percorso verso la clinica.
UN NUOVO STRUMENTO PER LA RICERCA
I ricercatori hanno stimato che oltre ad accelerare i tempi questa tecnologia permetterebbe di risparmiare sui costi, con un ricavo di almeno 3 miliardi di dollari l’anno per le aziende, che potrebbero reinvestire in nuovi progetti di ricerca. La proposta è di introdurre questo step nella fase tra i test in vitro e gli studi sugli animali, che è anche detta di “ottimizzazione dei candidati” (lead optimization). Se il candidato farmaco è tossico per il chip, molto probabilmente lo sarà anche per gli esseri umani, a prescindere dal risultato sugli animali che potrebbe, invece, portare fuori strada.
I ricercatori spiegano che questa tecnologia potrebbe entrare di routine nel processo di sviluppo dei farmaci, anche se per ora è stata testata solo sulle piccole molecole. Saranno ora necessari altri esperimenti per confermare la validità dei chip anche per molecole più grandi o farmaci biologici e per integrare altre componenti, come il sistema immunitario o il microbiota, che potrebbero avere un ruolo nel meccanismo di azione di alcuni farmaci.