Uno studio pubblicato su Nature Medicine svela che l’effetto di alcuni farmaci sui microrganismi commensali può influenzare l’azione delle CAR-T in pazienti con linfoma non-Hodgkin
Protagonisti di un’abbondante fetta di spot pubblicitari di yogurt e prodotti caseari, i microrganismi che compongono il microbiota umano rappresentano uno dei più conosciuti esempi di simbiosi - e pertanto di coevoluzione - tra specie diverse. Nel solo intestino sono presenti oltre 4 mila specie di batteri capaci di influenzare numerose funzioni fisiologiche, dall’assorbimento dei nutrienti alla difesa dell’organismo fino al metabolismo di certi farmaci. Un fine equilibrio che, se perturbato, suscita malattie metaboliche o autoimmuni - fra cui il morbo di Crohn e la colite ulcerativa. Non stupisce quindi che un gruppo internazionale di ricercatori si sia interrogato sulle interazioni tra alcuni microrganismi residenti nell’intestino e la risposta ai trattamenti con cellule CAR-T. Le conclusioni del loro studio sono state pubblicate sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.
Nel loro articolo i ricercatori partono dal presupposto che i microrganismi che popolano l’intestino possano intervenire nella produzione di metaboliti capaci di modulare la funzione delle cellule T: un esempio è quello dell’inosina prodotta da certi bifidobatteri e in grado, mediante attivazione delle cellule T-helper, di migliorare l’efficacia delle terapie basate sul blocco dei checkpoint immunitari. Ma altri metaboliti, prodotti dai batteri anaerobi a partire dalla fermentazione dei carboidrati, possono concorrere all’attivazione o alla differenziazione delle cellule T regolatorie (Treg), a loro volta impegnate nel moderare l’eccessiva risposta immunitaria.
I legami tra sistema immunitario e microbioma - si chiama così l’insieme di tutti i genomi degli organismi che convivono con la specie umana - stanno divenendo sempre più evidenti, perciò non è strano domandarsi se, nella totalità delle specie batteriche presenti all’interno del corpo umano, ve ne siano alcune che possono intervenire sulla risposta a farmaci come le CAR-T, basate sulla modifica proprio di un componente essenziale della risposta immunitaria. Il microbiota appare come una variabile da non trascurare nell’analisi della risposta alle CAR-T nei pazienti e questo invita a chiarire i meccanismi con cui esso contribuisca ad aumentare (o diminuire) l’efficacia di tali terapie: la natura di tali interazioni può, infatti, interessare l’attivazione delle CAR-T, la loro persistenza e la risposta alla terapia. Conoscere queste informazioni potrebbe aiutare a rendere ancora più personalizzata - e pertanto efficace - la terapia con le cellule CAR-T.
In più occasioni è emerso che il prodursi di disfunzioni nell’equilibrio (disbiosi) tra i microrganismi dell’intestino a seguito dell’assunzione di antibiotici ad ampio spettro contribuisce a ridurre l’efficacia di certi farmaci immunoterapici. Così gli scienziati del Moffitt Cancer Ceneter, dell’MD Anderson Cancer Center e di tre centri di ricerca tedeschi - l’Ospedale Universitario dell’Università Ludwig Maximilian, l’Ospedale Universitario di Heidelberg e l’Ospedale Universitario di Regensburg - hanno realizzato uno studio clinico su 172 pazienti affetti da linfoma non-Hodgkin recidivante o refrattario alle terapie, già trattati con più tipologie di CAR-T presenti in commercio. Il loro obiettivo era quello di identificare possibili ed eventuali tratti distintivi del microbioma correlati a uno specifico esito del trattamento, così da usarli come strumenti per predire la risposta alla terapia con cellule CAR-T.
Essi hanno subito notato che una forte esposizione ad antibiotici nelle 3 settimane precedenti al trattamento con le CAR-T riduceva la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progressione-free surival) dei pazienti. Le analisi eseguite hanno messo in rilievo come alcune classi di antibiotici - soprattutto ad ampio spettro - fossero associate a una maggior riduzione della risposta alle CAR-T: tra questi piperacillina, tazobactam, cefepima, ceftazidima e meropenem, classificati “ad alto rischio”.
I ricercatori hanno cercato di capire se la somministrazione di tali antibiotici nel periodo precedente all’infusione delle CAR-T fosse in qualche modo correlata a fenomeni di tossicità legati al trattamento, quali l’insorgenza della sindrome da rilascio delle citochine o di eventi di tossicità neurologica: così hanno scoperto una correlazione positiva nel caso della neurotossicità. Tuttavia, in quanto i risultati negativi osservati potrebbero essere dovuti a un preesistente maggior carico tumorale oppure a un peggioramento dello stato di salute del paziente, tale da necessitare la somministrazione degli anticorpi per far fronte a certe complicazioni batteriche.
Pertanto, gli scienziati hanno concentrato la loro attenzione sui pazienti ai quali non fossero stati somministrati antibiotici o che avessero ricevuto solo quelli inclusi nella categoria “a basso rischio” e, sulla base dei dati raccolti e delle analisi effettuate tramite complesse tecniche di genetica, hanno notato una importante differenza. Batteri delle specie Roseburia, Bifidobacterium, Lactobacillus e Eubacterium erano i più abbondanti nei campioni analizzati, mentre quelli delle specie Prevotella, Veillonella o Enterococcus erano più presenti nei campioni di pazienti trattati con antibiotici della categoria ad alto rischio. Inoltre, è stato possibile osservare che alcuni ceppi batterici - Bifidobacterium longum, Eubacterium eligens e Parabacteroides merdae - erano significativamente più abbondanti nei campioni di pazienti ancora vivi ad almeno 6 mesi dall’infusione con le CAR-T.
Così, hanno pensato di realizzare un algoritmo con cui fare una previsione della risposta al trattamento con CAR-T in base al microbioma dei pazienti: si tratta di uno strumento di apprendimento automatico - o machine learning - capace di distinguere in maniera netta coloro che rispondono da quanti non rispondono alla terapia. Ecco, dunque, che batteri delle specie Bacteroides, Ruminococcus, Eubacterium e Akkermansia si sono mostrati molti utili nel determinare la risposta alle CAR-T. Per far un esempio del potenziale di questa ricerca gli studiosi hanno spiegato come il batterio Bacteroides eggerthii sia stato ritrovato in pazienti associati a una maggiore probabilità di ottenere una risposta al trattamento, mentre Bacteroides stercoris è stato associato a coloro che non hanno ottenuto una risposta.
Tutto ciò suggerisce che le risposte a un trattamento complesso, qual è quello con cellule CAR-T, possono dipendere da più fattori al di là del carico di malattia e dello stato di salute del paziente. Il microbiota intestinale è il prodotto di una delle più antiche forme di simbiosi tra specie perciò la sua composizione e le sue alterazioni possono avere ripercussioni in molti ambiti, non ultima la risposta ai trattamenti per patologie come il linfoma. Perciò sembra opportuno continuare a studiare l’esposizione del microbioma ai farmaci - come gli antibiotici - e le differenze di composizione da una popolazione all’altra, al fine di comprendere sempre più a fondo in che modo tutto ciò possa incidere sulla risposta a trattamenti estremamente complessi e multisfaccettati. Come quelli che rientrano nella categoria delle terapie avanzate.