Il gruppo del dott. Paolo Dellabona e della dott.ssa Giulia Casorati

Anello di congiunzione tra i linfociti T e le cellule NK, le NKT armate con un recettore specifico attaccano le cellule tumorali modificandone al contempo il microambiente

C’è un detto che invita a “non pensare in bianco o in nero”, lasciando intendere come certe situazioni trovino un senso nelle sfumature di grigio. Un tale suggerimento può essere esteso anche allo studio del sistema immunitario dove è limitativo fermarsi all’immunità innata e a quella adattativa, ma diventa necessario indagare le “zone di confine”. Esattamente come hanno fatto i ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano guidati dal dott. Paolo Dellabona e dalla dott.ssa Giulia Casorati, del Laboratorio di Immunologia Sperimentale, che hanno rivolto l’attenzione a una speciale popolazione di linfociti, noti con la sigla NKT (Natural Killer T). I risultati del loro studio sono apparsi ad agosto sulla rivista Science Immunology

Il lavoro del team italiano conferma le enormi potenzialità di questa popolazione cellulare dotata di caratteristiche “ibride”, facendo di essa una piattaforma cellulare universale da rivolgere contro le cellule tumorali. Cerchiamo dunque di capire meglio dalle parole dei due studiosi cosa sono, come agiscono e, soprattutto, in che modo un domani (non troppo lontano si spera) le cellule NKT potranno dare il loro contributo nella lotta al cancro.

Per quale ragione i linfociti Natural Killer T (NKT) sono considerati l’anello di congiunzione tra i linfociti T classici e le cellule Natural Killer dell’immunità innata?

Dott. Dellabona: “L’etichetta di linfociti Natural Killer T si applica a una specifica popolazione di linfociti che origina nel timo come i linfociti T convenzionali e, come questi, è dotata di un TCR (T Cell Receptor), cioè un recettore con cui riconoscere gli antigeni estranei. Ma, mentre il TCR dei linfociti classici presenta differenze da un individuo all’altro, il TCR delle popolazioni NKT non varia da individuo a individuo ed è molto conservato, non soltanto nella specie umana ma anche in certi animali come il ratto e il topo. Le cellule NKT non sono quindi soggette al controllo della barriera tissutale di istocompatibilità che, invece, blocca l’azione dei linfociti T convenzionali. Questi ultimi, infatti, possono funzionare solo negli individui in cui sono stati generati oppure se trasferiti in persone che presentano esattamente l’espressione dei medesimi alleli del complesso maggiore di istocompatibilità (HLA) che è molto polimorfico. Questo fa sì che le cellule NKT possano funzionare senza difficoltà in individui differenti, senza suscitare l’aggressione del sistema immunitario verso il tessuto sano. Inoltre, il TCR delle cellule NKT riconosce degli antigeni lipidici e non peptidici come avviene invece per i linfociti T convenzionali. Tali lipidi sono associati a una molecola di presentazione che si chiama CD1d, anch’essa identica in tutti gli individui e altamente conservata in specie animali diverse.” 

Che significato assumono le cellule NKT nello sviluppo di terapie contro il cancro?

Dott. Dellabona: “Avevamo già osservato come le cellule NKT siano in grado di riconoscere delle molecole lipidiche che sono prodotte in stato di stress nel microambiente tumorale e presentate dai macrofagi (ne abbiamo parlato qui). Infatti, l’interazione con la cellula cancerosa genera una serie di stimoli ormonali favorendo il rilascio di citochine che interagiscono con i macrofagi, ‘reclutandoli’ e facendo in modo che essi vadano a sostenere l’attività neoplastica. Così facendo la risposta antitumorale viene soppressa e tale soppressione avviene proprio a livello del microambiente tumorale, che oggi rappresenta uno dei maggiori ostacoli al buon funzionamento  dei protocolli di immunoterapia come quelli basati sui linfociti TCR o sulle CAR-T. Questo spiega per quale ragione le terapie a base di cellule CAR-T abbiano prodotto ottimi risultati nel contrasto ai tumori ematologici rispetto a quelli solidi. Le cellule NKT svolgono la loro funzione eliminando i macrofagi ‘corrotti’ e in questo modo indirettamente riescono a ridurre la progressione di malattia.”

Qual è il valore aggiunto della vostra ricerca rispetto al ruolo delle NKT?

Dott.ssa Casorati: “Nell’articolo appena pubblicato abbiamo descritto un procedimento per modificare geneticamente le cellule NKT così da far loro esprimere un recettore TCR specifico contro il tumore e farle funzionare come una piattaforma ottimale contro i tumori solidi. Una volta infuse nell’organismo del ricevente le cellule NKT modificate sono in grado di combattere il tumore agendo a due livelli: uccidendo le cellule tumorali stesse grazie al recettore esogeno che abbiamo inserito al loro interno e, al contempo, modificando il microambiente tumorale. Dai dati ottenuti sui modelli animali abbiamo avuto conferma di come le cellule NKT, integrando due meccanismi d’azione contemporanei, siano dotate di questa potenzialità. Tuttavia, benché la modificazione genetica da noi proposta non abbia un’efficacia del 100%, l’intera popolazione di cellule NKT riesce a esercitare un’attività antitumorale, proprio in forza di questo doppio meccanismo d’azione. È una differenza sostanziale rispetto ai linfociti T convenzionali che, invece, non presentano alcuna attività antitumorale endogena ma acquisiscono solo quella derivata dall’espressione dell’antigene di sintesi CAR o del TCR antitumorale. Perciò a parità di numero di cellule infuse in un modello murino con tumore, le cellule NKT risultano più potenti e in grado di svolgere meglio la loro funzione”.

Nel futuro sarà possibile pensare di utilizzare le cellule NKT in combinazione con altre terapie avanzate come le CAR-T o ulteriori trattamenti immunoterapici?

Dott. Dellabona: “Il nostro progetto e quello del prof. Naldini nascono e si sviluppano all’interno di un corposo programma istituzionale, interamente finanziato dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, e teso a identificare terapie avanzate contro le metastasi al fegato di tumori del colon-retto e del pancreas. Con il prof. Naldini stiamo indagando l’opportunità di combinazione dei due approcci, vale a dire una terapia genica in vivo, come quella da lui messa a punto, e una ex vivo come la nostra. Tutto ciò solleverà nuovi interrogativi a cui cercheremo di dare risposta nei prossimi anni con il proseguimento della sperimentazione”.

A differenza delle CAR-T autologhe, cioè utilizzate solo nei pazienti a partire da cui sono prodotte, la vostra soluzione potrebbe garantire una terapia per molti individui a partire da un solo donatore?

Dott.ssa Casorati: “Uno dei motivi che ci ha spinto a fare ricerca sulle cellule NKT è proprio la loro caratteristica di essere pronte all’uso (in gergo tecnico si dice terapie off-the-shelf, N.d.R.). L’obiettivo finale è arrivare a disporre di un prodotto cellulare da congelare e usare in qualsiasi paziente dal momento che le cellule NKT, riconoscendo molecole non polimorfiche, sono uguali in tutti gli individui. Normalmente, non si possono prelevare i linfociti da qualsiasi individuo, ingegnerizzarli con l’antigene CAR e infonderli in altri, poiché essi sarebbero riconosciuti come estranei dal sistema immunitario del ricevente. Al contrario, le cellule NKT funzionano in tutti gli individui senza il pericolo che il loro TCR endogeno riconosca qualcosa come estraneo suscitando una risposta immunitaria. Sfruttare le NKT come piattaforma contro i tumori ci permette di avvicinarci a un prodotto universale per trattare molti pazienti”.

Quali sono le patologie neoplastiche oggetto della vostra ricerca?

Dott. Dellabona: “Il nostro prossimo obiettivo è armare le cellule NKT con TCR in grado di riconoscere antigeni associati alle leucemie acute. In particolare, usiamo dei TCR che riconoscono degli antigeni lipidici non presentati solamente da CD1d bensì da altre molecole CD1 non polimorfiche. Stiamo lavorando all’applicazione clinica del nostro approccio nelle leucemie e nei linfomi non-Hodgkin dal momento che disponiamo già di un TCR di nostra produzione dotato delle caratteristiche idonee per questa fase di ricerca. Infatti, non tutti i TCR presentano queste caratteristiche; quello che abbiamo usato nel modello preclinico descritto nell’articolo ha definito lo standard di riferimento in base a cui abbiamo compreso che i linfomi non-Hodgkin e le leucemie acute sono bersagli ideali per questa applicazione. Non abbiamo ancora a disposizione un TCR che riconosca un antigene espresso da un tumore solido. Appena lo avremo penseremo a un’applicazione clinica nei tumori che esprimano quello stesso antigene”. 

Quest’ultimo punto ci aiuta a comprendere bene il peso specifico delle ricerche che mirano all’individuazione di nuovi antigeni.

Dott.ssa Casorati: “È esattamente così, infatti, un’altra attività che stiamo portando avanti è la messa a punto di un sistema che utilizzi i dati sul DNA e sull’RNA delle cellule tumorali per risalire all’identificazione in silico di probabili antigeni espressi dal tumore. Successivamente, li validiamo in vitro grazie ai modelli di riconoscimento che prevedono l’utilizzo di linfociti T autologhi ottenuti dallo stesso paziente di cui abbiamo sequenziato il tumore. Tutto ciò ci consentirà di identificare possibili TCR di tumori solidi, come quello del colon-retto e del pancreas, da sfruttare per la produzione di cellule NKT specifiche”.

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni