Dalle duoCAR-T, ai vettori virali per la produzione di anticorpi neutralizzanti e CRISPR per rendere le cellule resistenti al virus, sono diversi gli approcci in sperimentazione
Ci sono malattie che non sono mai scomparse, ma di cui semplicemente si parla molto meno. Una di questa è l’AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome), malattia causata dal virus dell'immunodeficienza umana (HIV) che tra gli anni ’80 e ’90 fu al centro di una lunga attenzione mediatica. D’altra parte al tempo si trattava di una malattia mortale, il cui unico rimedio era la prevenzione. Negli anni la terapia antiretrovirale (ART) – che si basa su un cocktail di farmaci antivirali – è riuscita a trasformarla in una malattia cronica, a lunga sopravvivenza, ma nessuna strategia è finora riuscita a eradicare il virus. La scienza però – nonostante i fondi dedicati a questo campo siano sempre meno – continua a cercare una soluzione, puntando anche a strategie avanzate, come la terapia genica.
Un vecchio “amore”
La terapia CAR-T è una di queste strategie e in realtà, prima di diventare nota per il trattamento di tumori del sangue, circa 30 anni fa fu studiata proprio per l’eradicazione dell’HIV. Ma, al contrario di quanto successo in oncologia, i tentativi di utilizzare cellule CAR-T specifiche per l'HIV, non ebbero esito positivo sugli esseri umani. Di recente, un gruppo di ricerca dell’Albert Einstein College of Medicine di New York e la biotech statunitense Lentigen ci hanno riprovato, ma con una duoCAR-T: una terapia multispecifica che ha come target diverse porzioni dell'involucro dell'HIV. Con esperimenti condotti in laboratorio, la terapia sperimentale ha dimostrato di eliminare diversi ceppi di HIV, anche quelli resistenti a potenti anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb). Inoltre le cellule duoCAR-T sono risultate essere resistenti all'infezione da HIV e sono state in grado di controllare il virus in un modello di topi umanizzato. “La persistente capacità di sorveglianza delle cellule CAR-T suggerisce che questa terapia, un giorno, potrebbe essere in grado di eliminare l'HIV in una persona infetta”, avevano scritto gli autori in un commento pubblicato su Science lo scorso agosto.
Le duo-CAR
Nel lavoro pubblicato su Science, i ricercatori spiegano di aver sviluppato vettori lentivirali che trasportano geni per recettori dell'antigene chimerico (CAR) rivolti a più target presenti sulla superficie dell'HIV-1. Come per qualsiasi CAR-T, le cellule T del sistema immunitario vengono ingegnerizzate geneticamente in laboratorio con questi vettori virali, in maniera tale da esprimere sulla loro superficie i recettori dell'antigene chimerico richiesti. Dando origine, in questo caso, a una duoCAR-T: una cellula T con due diversi CAR. I ricercatori hanno anche riportato che le duoCAR anti-HIV conferivano alle cellule T primarie la capacità di ridurre efficacemente l'infezione cellulare da HIV di oltre il 99% in vitro e di oltre il 97% in vivo. Inoltre, i linfociti ingegnerizzati persistevano per molto tempo in modelli animali, riuscendo a controllare a lungo termine l'infezione da HIV. Prevenendo anche la perdita di cellule T CD4+ (un sottotipo di cellule del sistema immunitario, dette anche cellule T helper), durante l'infezione da HIV sempre in modelli animali.
Sinergia
Nonostante le ottime premesse è però ancora presto per parlare di una terapia e saranno necessari ulteriori studi. Sia per valutare la capacità delle cellule duoCAR-T anti-HIV di migrare nei siti dove si trovano le cellule infettate da HIV, sia per valutarne la capacità di colpire le cellule infettate da HIV in fase latente che si sono “riattivate”. Uno dei problemi dell’HIV, infatti, è eliminare il serbatoio di cellule in cui è presente il virus in una forma “dormiente”, poiché proprio perché non è in forma attiva i farmaci antiretrovirali non riescono a sopprimerlo. “La terapia cellulare anti-HIV duoCAR-T mira a ridurre la carica virale a livelli che ritardano in modo significativo o pospongono indefinitamente lo sviluppo della malattia sintomatica”, concludono gli autori. “Inoltre, questa strategia terapeutica potrebbe eliminare le cellule infettate da HIV, comprese quelle latenti riattivate, e quindi colpire il serbatoio dell'HIV, se usata da sola o in combinazione con altri approcci”. Ad esempio con gli anticorpi neutralizzanti, approccio per il quale sono in corso studi per verificarne l’effetto sinergico.
Gli anticorpi neutralizzanti
Nell'ultimo decennio sono stati scoperti e caratterizzati numerosi anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb), che hanno portato anche allo sviluppo di inibitori ingegnerizzati simili a questi anticorpi, con uguale o ancora più elevata efficacia, che potrebbero essere utilizzati per eliminare il serbatoio latente dell’infezione. Resta però ancora da verificarne la reale efficacia e come aggirare la necessità di una somministrazione continua per mantenerne un'espressione persistente e regolare. Soprattutto se si considera che continue infusioni di bNAb potrebbero non essere praticabili, per motivi economici e logistici, nei Paesi in via di sviluppo che sono poi quelli che presentano il maggior numero di individui con HIV. Per ovviare a questo problema gli scienziati hanno sviluppato vettori ricombinanti di virus adeno-associati (rAAV) in grado di generare un’espressione continua di anticorpi inibitori dell'HIV-1, a una concentrazione tale da essere considerata protettiva.
In una review pubblicata lo scorso 23 aprile su Frontiers in Cellular and Infection Microbiology, Matthew Gardner del The Scripps Research Institute, in Florida (Stati Uniti), ha ripercorso gli ultimi avanzamenti in questo campo di ricerca, concludendo che secondo i dati raccolti anche su scimmie, i vettori di rAAV potrebbero rappresentare una terapia “one-shot”, da somministrare una sola volta nella vita. La terapia, infatti, sembra in grado di fornire un'espressione a lungo termine di bNAb e inibitori, a concentrazioni terapeutiche, in grado di sopprimere l’infezione da HIV al pari dell’attuale terapia ART che va assunta ogni giorno per il resto della vita. Così come è in grado di sopprimere il virus in seguito a sospensione della ART. Dato importante visto che generalmente nelle persone HIV positive in cui viene sospesa la ART il virus ricompare: non tutto il virus viene eliminato, una parte rimane silente in determinate cellule del corpo.
Un nuovo promettente decennio
Sempre nel campo delle terapie avanzate rientra anche la ricerca di Paula Cannon della Keck School of Medicine, University of Southern California, Los Angeles (Stati Uniti), che lo scorso dicembre ha pubblicato un lavoro su Cell Stem Cell sull’utilizzo dell’editing genomico per fare in modo che le cellule T non esprimano CCR5, il co-recettore che il virus usa per entrare nelle cellule. Chiudendo di fatto, la porta delle cellule al virus. Lo studio è basato sul sistema CRISPR utilizzato per inibire l’espressione di CCR5 nelle cellule staminali ematopoietiche prima del trapianto, in modo che il ricevente acquisisca una sorta di immunizzazione all’HIV. Tecnica resa famosa con il paziente di Berlino, guarito dall’infezione (ne abbiamo parlato qui e qui) e con il controverso caso delle gemelline cinesi il cui DNA è stato “editato” prima della nascita. Anche in questo caso si tratta di una strategia promettente ma ancora da verificare in termini di efficacia e sicurezza. Nel complesso, come scrive Gardner “la ricerca futura nel campo della cura dell'HIV-1 rimane promettente ed entriamo in un nuovo decennio con un arsenale di strumenti nuovi ed efficaci a nostra disposizione”.