Una versione di CAR-T, prodotta con CRISPR da cellule di un donatore, è stata usata con successo su una donna affetta da miopatia necrotizzante autoimmune e su due uomini con sclerodermia
Si fanno ogni mese più numerosi gli articoli pubblicati su riviste scientifiche in cui sono descritti i casi di persone affette da severi disturbi autoimmuni, trattate sperimentalmente con nuove versioni di terapie a base di cellule CAR-T. Malattie come il lupus eritematoso sistemico (LES) o la sclerodermia si sono rivelate le ideali candidate per la messa a punto di CAR-T che riescano a prendere di mira i linfociti B malati spegnendo i focolai infiammatori e riducendo così l’intensità dei sintomi nei malati. Tra gli ultimi lavori portati all’attenzione della comunità scientifica c’è un interessante studio cinese, pubblicato sulla rivista Cell, che riporta i primi casi di remissione di gravi patologie autoimmuni grazie all’utilizzo di CAR-T sperimentali allogeniche.
GRAVI FORME DI MALATTIE AUTOIMMUNI
I ricercatori cinesi hanno sfruttato Crispr-Cas9, uno dei più noti strumenti per l’editing del genoma, riuscendo a modificare le cellule ottenute da un donatore - si parla quindi di terapie allogeniche - per prevenire il rigetto immunitario e abbattere le cellule B autoreattive. In questo modo le CAR-T prodotte (rinominate TyU19) sono state capaci di prendere di mira l’antigene CD19 espresso sulla superficie dei linfociti B in una donna affetta da miopatia necrotizzante autoimmune e in due uomini affetti da sclerosi sistemica diffusa autoimmune (anche nota come sclerodermia).
Le due malattie in questione rientrano nel gruppo delle autoimmuni, condizioni derivanti da disfunzioni del sistema immunitario, il quale rivolge i suoi attacchi contro le cellule e i tessuti dell’organismo che, solitamente, deve proteggere. Le malattie autoimmuni sono tra le più frequenti a livello globale, tanto che si stima ne sia affetta una persona su dieci in tutto il pianeta. Vitiligine, artrite psoriasica e tiroidite di Hashimoto rappresentano esempi piuttosto comuni, mentre la miopatia necrotizzante autoimmune è una miosite - cioè una forma di alterazione infiammatoria e degenerativa dei muscoli - tra le più aggressive e resistenti ai diversi tipi di trattamento. Per la forma di cui era affetta la donna, il cui “case study” è stato riportato dai reumatologi e immunologi dello Shanghai Changzheng Hospital non è disponibile una terapia realmente efficace.
Ugualmente, il danno generato dal diffondersi della fibrosi a tutti gli organi - e in modo particolare al cuore - nella sclerosi sistemica di tipo diffuso viene considerato irreversibile: per quanto i farmaci immunosoppressori o gli anticorpi monoclonali possano rallentare il decorso della malattia non esiste un trattamento in grado di arrestarla del tutto. Inoltre, queste terapie hanno costi elevati e sono associate a effetti collaterali significativi, tra cui la tossicità a lungo termine. Perciò i ricercatori cinesi hanno indirizzato i loro studi verso un nuovo tipo di terapia CAR-T, basato su cellule prelevate da donatori sani modificate geneticamente con il sistema CRISPR per eliminare le cellule B autoreattive responsabili dei danni provocati dalle due malattie in questione.
LA RIVOLUZIONE DELLE CAR-T ALLOGENICHE
L’efficacia delle CAR-T contro tumori ematologici, tra cui le leucemie e i linfomi, è uno dei maggior successi dell’immunoterapia moderna, tuttavia le versioni prodotte usando le cellule del paziente a cui sono destinate - cioè le CAR-T autologhe - hanno costi di produzione elevati e sono ottenute al termine di un procedimento molto delicato. Perciò i ricercatori cinesi si sono focalizzati sulla possibilità di produrre delle speciali CAR-T direttamente dalle cellule di un donatore modificandole con CRISPR affinché non creassero problemi di rigetto e non suscitassero tossicità tali da metter in pericolo la vita dei tre pazienti, che sono stati tra i primi a ricevere un trattamento di questo tipo. Come spiegato anche in un articolo di commento sulla rivista Nature, la ricerca svolta nei laboratori del centro di ricerca cinese potrebbe rappresentare un decisivo passo avanti verso la produzione su larga scala delle CAR-T, rendendo più semplice l’accesso ai pazienti che ne hanno bisogno.
L’aver ottenuto un buon risultato in uno studio clinico non significa, tuttavia, che le TyU19 possano essere già disponibile per tutti. Rimangono molti aspetti da verificare e il primo riguarda la sicurezza dei nuovi trattamenti. Di fatti, queste CAR-T dirette contro l’antigene CD19 presente sui linfociti B sono state ottenute dalle cellule mesenchimali del sangue periferico, che possono trasformarsi in diversi tipi cellulari. Per prevenire il rigetto da parte del sistema immunitario del paziente, diverse loro caratteristiche genetiche sono state modificate, inclusa la rimozione dei geni del complesso HLA-A e HLA-B, in modo da evitare il riconoscimento e l’attacco da parte delle cellule T del paziente. Inoltre, nelle cellule TyU19 sono stati rimossi il transattivatore del complesso maggiore di istocompatibilità di Classe II (CIITA), il TRAC (T Cell Receptor Alpha Constant) e l’antigene PD-1, modificando l’assetto delle cellule per prevenire il rischio di malattia del trapianto contro l’ospite (GVHD), una complicanza pericolosa che si verifica quando le cellule trapiantate attaccano i tessuti del ricevente. Successivamente, le cellule sono state sottoposte a una serie di test di verifica della loro precisione.
TRE CASI DI REMISSIONE DELLA MALATTIA
Alla fine, le TyU19 sono state somministrate ai pazienti selezionati: la prima - una donna di 42 anni con una forma molto grave di miopatia necrotizzante autoimmune affetta da debolezza muscolare progressiva, con elevati livelli dell’enzima creatina chinasi (CK) e degli autoanticorpi anti-SRP - era stata trattata per oltre 10 anni con alte dosi di corticosteroidi e farmaci immunosoppressori senza ottenere risultati. Lo stato di salute degli altri due non era molto dissimile: stanchezza fisica sempre maggiore, dolori e gravi conseguenze specie a carico della funzionalità respiratoria e cardiovascolare. Nelle condizioni in cui si trovavano tutti e tre non avevano opportunità di cura diverse dal trattamento sperimentale con TyU19.
Prima di procedere con l’infusione delle cellule CAR-T, ai pazienti è stato somministrato un trattamento a base di fludarabina e ciclofosfamide per ridurre il numero di linfociti nel sangue e favorire l’integrazione delle cellule TyU19. Subito dopo l’infusione è stato osservato un picco di produzione delle cellule allogeniche che si sono espanse con successo all’interno dell’organismo ospite e hanno rapidamente eliminato le cellule B: per circa due mesi è stata ottenuta una profonda aplasia delle cellule B, i cui livelli si sono mantenuti bassi per i sei mesi di monitoraggio.
La donna affetta da miopatia necrotizzante autoimmune ha mostrato un netto miglioramento della forza muscolare e una riduzione dei livelli di CK, andando verso una remissione clinica completa con mantenimento dei benefici fino al controllo dei sei mesi. Nei pazienti con sclerodermia, invece, è stata registrata una riduzione della fibrosi cutanea (si sono abbassati gli anticorpi anti-Scl-70 tipici della malattia) con miglioramenti nella funzionalità polmonare e cardiaca, accompagnati da una diminuzione dell’infiammazione nei tessuti colpiti. Gli immunologi di Shangai hanno osservato una sostanziale riduzione nel livello di infiltrazione dei tessuti da parte dei linfociti B, a conferma della reale efficacia del trattamento con TyU19 nell’eliminare i linfociti B malati. E questo potrebbe in parte concorrere a spiegare la riduzione nel processo di fibrosi che non era mai stati ottenuto con nessuno dei trattamenti precedenti. L’altro aspetto confortante è che le cellule hanno continuato a mantenersi attive per più di otto settimane, prorogando così il loro effetto nel tempo.
Altro particolare decisamente importante: non sono stati registrati effetti collaterali significativi, come la malattia da rigetto o la sindrome da rilascio di citochine (CRS) che spesso si presenta dopo le terapie CAR-T autologhe. Tutti i principali parametri vitali sono rimasti nella norma, a conferma del robusto profilo di sicurezza delle TyU19 infuse.
UN ALTRO PASSO AVANTI VERSO IL FUTURO
La possibilità di generare CAR-T da donatore, le cosiddette CAR-T allogenico o “off the shelf” rappresenta il fronte evolutivo più interessante per le aziende, ma anche per i pazienti e i sistemi sanitari, perché permette di ridurre i tempi, la complessità e i costi di produzione dei prodotti, con un impatto significativo sulla sostenibilità di queste innovative terapie. Inoltre, la terapia con cellule CAR-T allogeniche potrebbe offrire benefici senza bisogno di immunosoppressione continua. Esempi come quelli riportati nello studio apparso su Cell confermano la fattibilità in prima battuta e poi la sicurezza e l’efficacia di un approccio che garantirebbe maggiori opportunità di accesso ai trattamenti a molte persone che non trovano alternative terapeutiche e sono costrette a convivere con le manifestazioni più gravi delle loro patologie.
La prossima sfida che attende i ricercatori cinesi è la validazione dell’efficacia e della sicurezza delle cellule TyU19 su un numero maggiore di pazienti, con un monitoraggio a lungo termine per verificare che i benefici clinici persistano oltre i sei mesi di monitoraggio iniziale. Bisognerà essere certi che le nuove cellule iniettate non siano rigettate dall’organismo affinando sia la persistenza che la potenza della terapia. È un altro passo avanti a cui ne stanno seguendo già molti altri.