La prossima generazione di terapie a base di cellule CAR-T potrebbe essere dotata di “interruttori” per l’accensione (o lo spegnimento) dell’effetto antitumorale
Negli ultimi quattro anni è salito a sei il numero delle terapie a base di cellule CAR-T di cui la Commissione Europea ha autorizzato la commercializzazione, trasformando questa straordinaria forma di trattamento - capace di riassumere le principali caratteristiche di una terapia genica e cellulare - in un simbolo ideale dell’intera categoria delle terapie avanzate. Come raccontato nella puntata dedicata del podcast “Reshape – un viaggio nella medicina del futuro”, le CAR-T possono essere immaginate come delle “truppe speciali”, dotate di un equipaggiamento di ultima generazione, con cui riconoscere e attaccare le cellule tumorali che proliferano senza ostacoli nell’organismo. Pertanto, la sfida che oggi i ricercatori stanno raccogliendo è come indirizzare e modulare al meglio questo loro potenziale.
Progettare un missile ad alto potere deflagrante non è sufficiente, occorre renderlo preciso e trovare il modo di guidarlo laddove necessario, risparmiando le aree prive di bersagli da colpire: è il principio dei missili a guida laser che ogni tanto fanno capolino nei film d’azione e che ci ricordano come anche una terapia avanzata possa (e debba) essere “guidata” a colpire in maniera specifica il suo bersaglio. Le CAR-T sono dotate del recettore chimerico CAR grazie a cui riescono a scatenare in maniera selettiva la loro azione contro le cellule del cancro ma, per non disperderla prima di essere giunte al bersaglio o per interromperla qualora si generi una eccessiva risposta immunitaria, bisogna trovare un modo per regolarne l’erogazione. In pratica, serve un “interruttore” per l’azione delle CAR-T.
A un tal genere di soluzione gli scienziati stanno già ragionando da un po’ (ne avevamo scritto qui) ma, come dimostra un recente articolo pubblicato sulla rivista Cancer Cell, i progressi si sono fatti sempre più consistenti. Una notizia di buon auspicio per una terapia sul trampolino di lancio, sospinta dagli entusiasmanti risultati ottenuti contro forme tumorali pluriresistenti ai trattamenti standard ma gravata dal pericolo di potenziali effetti indesiderati, come la sindrome da rilascio delle citochine o la neurotossicità. Nel primo caso si tratta di una reazione dell’organismo alla proliferazione delle CAR-T, le quali rilasciano molecole - dette appunto citochine - in grado di attivare il sistema immunitario con effetti quali febbre alta, difficoltà respiratorie, nausea, vomito, forte mal di testa e tachicardia. Se da una parte il rilascio delle citochine è un segnale che le CAR-T stanno funzionando, dall’altra bisogna poter controllare questo genere di reazione che, in alcuni casi, costringe al ricovero del paziente in terapia intensiva.
L’idea di dotare le CAR-T di un interruttore di emergenza si associa alla possibilità di arrestare questo effetto una volta che la situazione stia chiaramente precipitando: la ricerca condotta nei laboratori del Boston University College of Engineering (Stati Uniti) e descritta sulle pagine di Cancer Cell ha portato allo sviluppo di un sistema noto come VIPER CAR-T. Il nome fa pensare al sofisticato sistema d’arma di un film della saga di James Bond, ma l’acronimo VIPER - che sta per VersatIle ProtEase Regulatable - si riferisce a un prototipo di CAR-T progettato in maniera tale da poter esser controllato tramite la somministrazione di un farmaco antivirale capace di interromperne l’attività cellulare, riducendo così i rischi di tossicità delle CAR tradizionali. Si tratta di un sistema di sicurezza che potrebbe essere un’autentica novità introdotta nella futura generazione di CAR-T, consentendone un utilizzo più libero da potenziali effetti indesiderati di tipo grave.
Le VIPER CAR-T sono dotate di una speciale catena proteica che può funzionare in due modi diversi, entrambi accomunati dall’assunzione di un farmaco inibitore delle proteasi usato per il trattamento dell’epatite C. Quando somministrato il farmaco interagisce con la catena proteica inserita, avviando una serie di reazioni per attivare o disinnescare la CAR-T a seconda del sistema utilizzato. Come si può leggere nell’articolo, per ora il sistema è stato testato su colture cellulari e sui modelli murini ma i bioingegneri statunitensi hanno posto le basi per un confronto con altri sistemi di attivazione delle CAR-T legati a farmaci specifici, notando come il loro abbia surclassato la concorrenza. Le VIPER CAR-T sono le uniche ad avere una doppia modalità di funzionamento - acceso/spento - e questo non solo permette di “spegnerne” l’utilizzo nel caso si presenti una sindrome da rilascio delle citochine di grado elevato, ma consente di “regolare” la quantità di trattamento rispondendo in maniera ancora più mirata a un’azione aggressiva del cancro. Infine, i ricercatori hanno confermato di aver testato il loro sistema combinandolo anche con altre tecnologie CAR, lasciando intravedere l’opportunità di progettare delle CAR-T che possano prendere di mira più antigeni bersaglio: una tecnica che accrescerebbe ancora di più la loro efficacia e la loro durata nel tempo.
A dieci anni da quando si sono imposte alla notorietà nell’universo medico, le CAR-T stanno già entrando nella seconda era del loro sviluppo. Gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando all’incremento del loro potenziale antitumorale focalizzando l’attenzione a nuove strategie per modulare tale potenziale, domandone l’effetto, per fare di queste innovative terapie delle opzioni terapeutiche più efficaci e sicure nella lotta a patologie poliedriche quali il cancro.