Uno studio internazionale ha individuato un fattore chiave che potrebbe spiegare la differenza nei tassi di incidenza di questo evento avverso nei due sessi
In un brano di parecchi anni fa Cesare Cremonini cantava che “gli uomini e le donne sono uguali”, alludendo a una fitta sequenza di atteggiamenti sociali, ma sotto il profilo della fisiologia emergono alcune sostanziali differenze. In ambito cardiovascolare ciò si traduce in uno sbilanciamento di mortalità dopo infarto miocardico acuto nelle donne rispetto agli uomini. Ma il cuore potrebbe essere sede di altre differenze, come quelle legate al maggior numero di miocarditi che sembrano colpire le donne dopo terapia con inibitori dei checkpoint immunitari. Un’interessante ricerca pubblicata sulla rivista Science Translational Medicine sembra però in grado di fornire una spiegazione a questa anomalia.
NON TRASCURARE IL RUOLO DELLA MEDICINA DI GENERE
La necessità di indagare più approfonditamente i fattori che, in maniera differenziale nei due sessi, potrebbero influire sulle conclusioni di molti studi clinici sta spingendo ricercatori e istituzioni a rivolgere più considerazione alla medicina di genere. Proprio nei mesi scorsi l’Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere (MdG) ha approvato un documento di indirizzo per l’applicazione di tale prospettiva alla ricerca e agli studi preclinici e clinici. In esso si ribadisce il significato di una pluralità di fattori nella spiegazione di differenti risposte nel sesso maschile e femminile: meccanismi genetici, epigenetici, fattori ormonali, risposte immunitarie e processi infiammatori, persino il ruolo del microbiota e l’effetto dello stress e dei diversi stili di vita costituiscono elementi da soppesare con cura. Numerosi e vari sono, dunque, i fattori che possono spiegare le differenze che oggi si osservano nell’ambito cardiovascolare, oppure nella risposta a nuove forme di trattamento dei tumori.
INIBITORI DEI CHECKPOINT IMMUNITARI E MIOCARDITI
Gli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) - su tutti PD-1, PD-L1 e CTLA-4 - rappresentano una delle più nuove e valide strategie di lotta al cancro degli ultimi anni, non solo in termini di efficacia, bensì di complementarietà con altri sistemi tuttora allo studio per aggredire le cellule tumorali. Purtroppo però gli inibitori dei checkpoint immunitari non sono esenti da possibili eventi avversi, fra cui lo sviluppo di miocarditi che possono comportare gravi problemi di salute nei pazienti oncologici.
Per meglio esplicitare la natura delle miocarditi associate al trattamento con inibitori dei checkpoint immunitari (miocarditi da ICI) sono stati realizzati modelli di studio nei quali è stato possibile osservare la presenza, in tessuti cardiaci, di cellule T CD8+ intervallate da cellule T CD4+ e macrofagi. Mentre si sta ancora cercando di comprendere quali meccanismi si inneschino a monte di questa realtà, è emerso che la gran parte degli individui colpiti da miocardite da ICI è di sesso femminile. Un dato curioso, soprattutto in considerazione del fatto che il sesso maschile è considerato un fattore di rischio per le miocarditi di origine virale o autoimmune. Esiste, dunque, una relazione tra i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari e l’insorgenza di miocarditi nel sesso femminile?
MANF E HSPA5: DUE PROTEINE DA TENERE D’OCCHIO
Rispondere a questa domanda non è semplice ma gli studiosi dell’Anderson Cancer Center presso l’Università del Texas, in collaborazione con i colleghi dell’Università della California, hanno messo a punto un modello murino - di melanoma e dei tumori del colon-retto e della mammella - col quale sono riusciti a fornire una spiegazione delle differenze di genere legate a questo evento avverso dei programmi di immunoterapia.
La diversità di sesso nella miocardite da ICI si è rivelata difficile da individuare, data la maggiore percentuale di pazienti maschi trattati con questi farmaci negli studi clinici, tuttavia lo squilibrio osservato nei topi era correlato con i dati clinici visti sui pazienti, dove le miocarditi risultano maggiori nelle femmine. Sembra dunque esistere una connessione tra i checkpoint immunitari, i bersagli immunitari o miocardici a valle e gli ormoni sessuali. Indagando più a fondo nel loro modello preclinico, i ricercatori hanno notato che, tra i geni specifici del cuore, la trascrizione del fattore neurotrofico derivato dagli astrociti mesencefalici (Mesencephalic Astrocyte Derived Neurotrophic Factor, MANF) e della Heat Shock Protein 5 (HSPA5) risulta diminuita in termini di espressione a seguito del trattamento con inibitori dei checkpoint immunitari, sia nei cuori di topi non portatori di tumore che in quelli con tumore. In particolare, la riduzione legata a MANF si è rivelata ben più pronunciata nei cuori femminili rispetto a quelli maschili.
Questa proteina era già stata oggetto di interesse di un gruppo di ricercatori dell’Heart Institute della San Diego State University che, in una ricerca pubblicata nel 2020 sul Journal of Biological Chemistry, avevano notato come fosse in grado di ridurre i danni di un attacco cardiaco, migliorando la funzionalità cardiaca e aumentando la sopravvivenza dei pazienti. Difatti, la riduzione di MANF e HSPA5 è stata osservata nei tessuti cardiaci ottenuti da pazienti con miocardite da ICI. Un punto chiave è che somministrando ai topi la proteina MANF ricombinante, i ricercatori statunitensi hanno potuto constatare una riduzione della miocardite, concludendo dunque che la carenza di tale proteina possa essere annoverata tra le cause di questo effetto collaterale.
…E GLI ORMONI SESSUALI?
A questo punto essi hanno allargato la prospettiva al potenziale ruolo degli ormoni sessuali: alcune ricerche avevano già evidenziato come questi - in misura maggiore nelle donne in età fertile - siano in grado di proteggere le arterie, riducendo il rischio di eventi cardiovascolari. A tal proposito, nel loro modello i ricercatori americani hanno avuto conferma di come le concentrazioni di certi ormoni femminili si riducano fin dalle prime settimane di trattamento con farmaci inibitori dei checkpoint immunitari.
Successivamente, essi hanno notato che la presenza degli estrogeni favorisce l’espressione di MANF e HSPA5 nei cardiomiociti, proponendo così la somministrazione di una terapia ormonale a base di estrogeni subito dopo il trattamento con ICI allo scopo di ridurre il rischio di miocarditi nelle donne. In tal modo si andrebbe incontro a un ripristino dell’espressione cardiaca di MANF e HSPA5 e a una riduzione dell’infiltrazione di cellule T CD8+ e macrofagi nel cuore, contrastando il processo di apoptosi del miocardio.
Naturalmente tal conclusione - raggiunta in uno studio preclinico - deve ancora superare le “forche caudine” di una più estesa sperimentazione clinica, e molto rimane da capire sui meccanismi sottesi all’instaurarsi della miocardite da ICI. Certo è che il ruolo di MANF e HSPA5 nelle disparità di presentazione delle miocarditi nei due sessi è da tenere bene d’occhio. La triangolazione di fattori ormonali, cardiaci e immunitari potrebbe, quindi, essere la chiave di volta per la messa a punto di soluzioni terapeutiche capaci di preservare l’efficacia dei trattamenti con ICI, aumentandone al contempo il livello di sicurezza.