Il trattamento con le terapie a base di cellule CAR-T rappresenta, per alcuni pazienti, una chance terapeutica unica ma deve essere costantemente migliorato. E sono molti gli approcci in studio
La traversata atlantica compiuta da Charles Lindbergh a bordo dello Spirit of St. Louis nel 1927 ha segnato l’inizio di un’epoca che ha visto fiorire i voli intercontinentali. Che il piccolo monomotore della Ryan Airlines sia riuscito a portare l’aviatore statunitense per oltre trenta ore sopra l’Oceano Atlantico non è in discussione, ma per tracciare rotte più veloci e trasportare un numero maggiore di persone in sicurezza sono serviti molti più dati e una rapida evoluzione dell’ingegneria aeronautica. Lo stesso si può affermare per le odierne terapie CAR-T che, seppur basate sullo stesso concetto, sono ben diverse da quelle che, solo dieci anni fa, hanno salvato la vita a Emily Whitehead - la bambina di cui abbiamo parlato nella terza puntata del podcast "Reshape - Un viaggio nella medicina del futuro” .
AUMENTARE LA SICUREZZA
A fronte di un enorme potenziale terapeutico, le cellule CAR-T hanno mostrato un lato oscuro contraddistinto da una elevata tossicità: i due principali aspetti che hanno reso spesso difficoltoso l’approccio a queste terapie sono la sindrome da rilascio di citochine e le complicanze neurologiche. Infatti, le CAR-T agiscono riconfigurando il sistema immunitario e questo può renderle responsabili di effetti collaterali che i medici, negli anni, hanno sapientemente imparato a gestire. Ciononostante, biologi e biotecnologi stanno lavorando per elaborare nuove forme di trattamento capaci di superare i limiti delle classiche CAR-T, non solo in efficacia ma anche in sicurezza. Fra queste ci sono le CAR-CIK su cui i ricercatori della Fondazione Tettamanti di Monza sono al lavoro da molto tempo. “Alcune CAR-T non possono essere erogate a pazienti affetti da Leucemia Linfoblastica Acuta (LLA) al di sopra dei 25 anni proprio a causa del rischio di eventi avversi in aumento con l’età”, spiega il dott. Giuseppe Gaipa, responsabile del Laboratorio di Terapia Cellulare e Genica ‘Stefano Verri’ presso ASST Monza e ricercatore della Fondazione Tettamanti. “Con le CAR-CIK questo limite viene superato, tanto che siamo stati in grado di trattare pazienti al di sopra dei 50 anni con un elevato grado di sicurezza e senza sostanziali effetti collaterali. E con una concentrazione di cellule per kilogrammo di peso corporeo molto maggiore nel caso delle CAR-CIK rispetto alle CAR-T (15 milioni vs 1-2 milioni di cellule per kg)”.
L’efficacia terapeutica delle CAR-CIK - misurata tramite complesse analisi di immuno-monitoraggio - è paragonabile a quella delle classiche CAR-T e fa segnare percentuali di guarigione che raggiungono il 50% in pazienti che, fino a qualche anno fa, non avevano una soluzione terapeutica. Tuttavia, questi nuovi trattamenti avanzati sono la testimonianza di come i progressi siano possibili anche in ambiti clinici dove gli approcci tradizionali faticano a dare risposte efficaci, e nel rispetto dei fondamentali requisiti di sicurezza.
POTENZIARE L’EFFICACIA
Il panorama di indagine per il miglioramento passa dalla ricerca traslazionale ed è molto ampio. “Innanzitutto si può perfezionare l’ingegneria genetica dell’antigene di sintesi CAR, rendendolo più efficiente nell’identificare il bersaglio”, precisa Gaipa. “In una buona percentuale dei pazienti affetti da LLA che vanno incontro a ricadute, abbiamo osservato che l’antigene CD19, bersaglio delle CAR-T contro la LLA di tipo B, rendono inefficace l’azione della cellula CAR”. Si tratta del principio di autoconservazione della cellula tumorale la quale, sotto una pressione selettiva operata dalla terapia, riesce a selezionare i meccanismi che le consentono di sottrarsi all’azione del farmaco.
“Ciò si realizza in due modi”, spiega Gaipa. “In un caso la pressione selettiva del farmaco conferisce un vantaggio alle piccole popolazioni cellulari dotate di caratteristiche di superficie leggermente diverse rispetto alle altre cellule tumorali. Così esse diventano prevalenti perché la terapia non le attacca e non dà loro fastidio”. Che poi non è altro che quello che è accaduto - e continua ad accadere - nel corso dell’evoluzione animale, quando un evento naturale di grandi proporzioni spazza via una specie molto diffusa dotata di certe caratteristiche, creando le condizioni perché un’altra presente in numero minore diventi prevalente. “Nel secondo caso possono crearsi delle modificazioni nel processo di maturazione dell’RNA messaggero (mRNA) che determinano una modifica della struttura della proteina codificata che finisce sulla superficie delle cellule cancerose. Così il CAR non le riconosce più”.
Come fare per ridurre le possibilità che ciò accada? “Occorre munire le cellule CAR-T di armi di riserva”, aggiunge Gaipa. “Oppure sviluppare delle CAR-T a doppio bersaglio, che identifichino una seconda proteina bersaglio sulla superficie del tumore”. Un’altra possibilità è quella di dotare le cellule CAR di un elemento che determini la sintesi di sostanze in grado di favorire l’eliminazione delle cellule cancerose o la persistenza delle cellule CAR nell’organismo. “Così si fa in modo che quando le cellule arrivano sul bersaglio producano delle sostanze che ne aumentino la capacità di proliferare o attivino meccanismi di citotossicità naturali”, specifica il ricercatore lombardo. “Si chiamano ‘Armored-CAR-T’ e rappresentano un’interessantissima opzione di sviluppo delle CAR-T”.
MIGLIORARE LA PROGETTAZIONE DEGLI STUDI CLINICI
Strumenti come Crispr-Cas9 si stanno rivelando fondamentali per guidare l’evoluzione delle CAR-T. Tuttavia, oltre a cercare il potenziamento della performance biologica occorre perfezionare la strategia di utilizzo di tali terapie, delineando con crescente precisione il disegno degli studi clinici. Infatti, è possibile pensare di aggiungere alle CAR-T altri trattamenti, fra cui gli inibitori dei checkpoint immunitari. “Queste piccole molecole migliorano la capacità del sistema immunitario di lavorare insieme alle CAR-T”, conclude Gaipa. “Così è possibile potenziare il sistema immunitario contro i tumori, liberando i freni imposti dagli inibitori. Oppure si può valutare un secondo trapianto di cellule staminali ematopoietiche, dopo le CAR-T, aumentando le possibilità di cura per quanti rischiano una ricaduta”.