Dalle caratteristiche del tumore all’intensità della risposta iniziale fino al livello di CAR-T in circolo. Numerosi studi clinici stanno approfondendo gli elementi legati al successo della terapia
L’avvento delle terapie a base di cellule CAR-T ha segnato un cambio di paradigma nel percorso di cura di alcuni linfomi recidivanti o refrattari alle terapie, per i quali - prima delle CAR-T - non c’erano altre soluzioni terapeutiche al di là della chemioterapia di salvataggio. Con tassi di risposta eccezionali per il mondo dell’oncologia, le CAR-T hanno allungato l’elenco dei trattamenti disponibili per queste malattie riservando ai pazienti una nuova opportunità di cura. Tuttavia, un interrogativo ancora aleggia intorno a tali innovative terapie ed è legato alla durata del loro effetto: definitivo o a scadenza? Fornire una risposta non è semplice ma in una review pubblicata sulla rivista Nature Reviews Clinical Oncology sono stati analizzati diversi elementi utili alla discussione.
Kathryn M. Cappell e James N. Kochenderfer, del Center for Cancer Research presso il National Cancer Institute di Bethesda (Stati Uniti), hanno raccolto e confrontato i dati di un lungo elenco di studi clinici dedicati a quelle CAR-T che negli Stati Uniti sono state approvate sia contro forme recidivanti o refrattarie alle terapie di linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e linfoma mantellare, sia contro la leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL) o il mieloma multiplo (MM r/r). La Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha approvato l’immissione sul mercato di quattro prodotti diretti contro l’antigene CD-19: axicabtagene ciloleucel (Yescarta), tisagenlecleucel (Kymriah), lisocabtagene maraleucel (Breyanzi) e brexucabtagene autoleucel (Tecartus); e di due contro l’antigene BCMA: idecabtagene vicleucel (Abecma) e ciltacabtagene autoleucel (Carvykti). Le sei CAR-T sono autorizzate anche in Europa e in Italia sono disponibili e rimborsati tre prodotti del primo gruppo (axicabtagene ciloleucel, tisagenlecleucel e brexucabtagene autoleucel). Si tratta di CAR-T di seconda generazione che, oltre a una serie di aspetti di tipo manufatturiero, differiscono tra loro sia per la scelta dei domini correlati all’antigene di sintesi CAR, che dei vettori virali usati per la trasduzione delle cellule.
In una visione olistica che comprenda anche le caratteristiche cliniche del paziente e il quadro biologico della malattia, tali differenze possono contribuire al successo a lungo termine delle CAR-T. Occorre però capire in che modo si generino tali differenze. La comunità scientifica già si avvale di specifici parametri per valutare l’esito dei trattamenti con le CAR-T e sono sempre di più gli studi clinici che pubblicano risultati di lunga durata.
LINFOMI E LEUCEMIA LINFOBLASTICA ACUTA A CELLULE B
Le CAR-T dirette contro l’antigene CD19 annoverano un più ampio numero di pubblicazioni riguardanti soprattutto i linfomi a grandi cellule B, i linfomi mantellari e quelli follicolari, con tassi di risposta globale che oscillano tra il 44 e il 91% e una durata del follow-up superiore ai 24 mesi (in alcuni casi arriva fino a 123 mesi). Nel confrontare gli esiti dei vari studi clinici riportati nella review gli autori hanno osservato che molti dei pazienti affetti da tumori di questo tipo sono stati trattati con CAR-T anti-CD19 senza che vi fosse una successiva necessità di altri interventi.
Leggermente diverso il caso della leucemia linfoblastica acuta a cellule B (B-ALL), per cui le CAR-T sono state approvate sia come trattamento a sé stante sia come terapia “ponte” in attesa del trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Gli studi clinici inclusi nella review hanno confermato l’ottimo tasso di risposta raggiunto da entrambe le CAR-T con questa indicazione, ma con durate della remissioni più brevi rispetto ai linfomi. In particolare, tisagenlecleucel è indicato per il trattamento di pazienti pediatrici e giovani adulti (età inferiore a 25 anni): questo richiama un elemento importante perché più giovane è il paziente che riceve le CAR-T e maggiori sono i tassi di risposta alla terapia. L’età di chi riceve le CAR-T costituisce, pertanto, un primo essenziale elemento per predire il possibile esito finale della terapia. A conferma di ciò c’è il fatto che una discreta proporzione di pazienti con B-ALL in età pediatrica trattati con le CAR-T non ha successivamente avuto bisogno di sottoporsi al trapianto di cellule staminali da donatore che rimane, però, una tappa fondamentale per molti malati; in modo particolare quelli che già lo avevano affrontato in precedenza, quelli che vanno incontro a forti cali dei linfociti B, quelli in cui sia presente un certo carico residuo di malattia o che posseggano ben specifiche caratteristiche citogenetiche. Gli autori hanno dunque notato che, rispetto ai pazienti con linfoma a cellule B, i pazienti con B-ALL hanno maggiori probabilità di andare incontro a una risposta completa, ma sono di più coloro che necessitano poi di una ulteriore successiva forma di terapia.
MIELOMA MULTIPLO
Anche nel caso dei trattamenti a base di cellule CAR-T dirette contro l’antigene BCMA sono emersi tassi di risposta globali buoni (73-100%) associati a periodi di remissione maggiori di un anno, talvolta anche senza la necessità di ricorrere a terapie di consolidamento. Questo risulta particolarmente significativo per i pazienti affetti da forme di mieloma recidivanti che sono costretti a trattamenti di lunga durata (a base di specifici anticorpi monoclonali).
In alcuni studi clinici è, tuttavia, emerso che allungando i tempi di follow-up alcuni pazienti con mieloma multiplo r/r incorrono nella progressione della malattia, suggerendo che essi possano avere remissioni prolungate dopo la terapia con cellule CAR-T anti-BCMA, pur con un rischio continuo di progressione nel tempo.
FATTORI ASSOCIATI A REMISSIONI DURATURE
Ma allora quali sono i fattori legati alle remissioni cliniche più prolungate nel tempo? Su tutti spicca la profondità della risposta iniziale al trattamento, che i medici valutano nei primissimi periodi, addirittura nel primo mese successivo all’infusione: l’intensità delle risposte iniziali è legata alla possibilità di rimanere in remissione per periodi prolungati di tempo in tutte le malattie onco-ematologiche, dai linfomi a cellule B alla leucemia linfoblastica acuta fino al mieloma multiplo. La misura dell’intensità della risposta iniziale è legata tanto alla malattia minima residua quanto alla quantità di DNA tumorale in circolo.
Una intensa risposta iniziale alla terapia con CAR-T non è, tuttavia, sufficiente a predire remissioni durature dal momento che un fattore cruciale è rappresentato dalla malattia stessa, con le sue caratteristiche cliniche e patologiche: i pazienti con linfoma a cellule B ottengono più difficilmente una risposta completa rispetto a quelli con B-ALL ma, una volta raggiunta, riescono a mantenerla più a lungo. Anche il carico di malattia gioca un ruolo di primo piano: nei casi in cui, all’inizio del trattamento, esso sia già pesante le probabilità di remissione si abbassano.
Non bisogna nemmeno trascurare il valore della chemioterapia linfodepletiva che molti pazienti ricevono prima della terapia con CAR-T e che crea un ambiente ottimale per l’attecchimento dei linfociti T ingegnerizzati. Infine, tra i parametri dell’equazione per il buon funzionamento delle CAR-T rientra anche la capacità delle stesse di espandersi una volta entrate in circolo nell’organismo ricevente.
EVENTI AVVERSI
Inevitabilmente, il discorso del monitoraggio a lungo termine delle CAR-T implica l’osservazione degli eventuali effetti collaterali ad esse correlati, come la sindrome da rilascio delle citochine o la neurotossicità. Ma non solo. In alcuni pazienti è stata osservata una distruzione di cellule B anche sane (aplasia delle cellule B) che ha condotto a episodi di ipogammaglobulinemia e citopenia, col rischio di insorgenza di infezioni potenzialmente pericolose.
L’ipogammaglobulinemia è stata osservata in vari individui affetti da mieloma multiplo trattati con le CAR-T ed è stata spesso trattata con la somministrazione di immunoglobuline. Le citopenie - che possono durare per mesi - conseguenti al trattamento con le CAR-T rimangono un fenomeno da tener sotto controllo e possono essere dovute alla comparsa di una sindrome da rilascio delle citochine di grado elevato, al rigetto di un trapianto allogenico precedente al trattamento con CAR-T o a una condizione di base del paziente.
UNO SGAURDO AL FUTURO
Mentre la ricerca clinica è impegnata nello sviluppo di una nuova generazione di trattamenti base di cellule CAR-T, diretti contro nuovi antigeni oppure prodotti a partire dalla modifica di componenti del sistema immunitario differenti dai linfociti T (come, ad esempio, le CAR-NK), il processo produttivo sta affinando i suoi percorsi nel tentativo di far crescere le cellule in presenza di specifiche citochine o di fattori che selezionino fenotipi cellulari associati a risposte cliniche prolungate. Oltre a ciò, gli obiettivi sono di ridurre i tempi di produzione e aprire le porte anche alle CAR-T sviluppate a partire da donatore, ovvero le terapie “off the shelf”.
Parallelamente, si stanno conducendo studi clinici - tra cui ZUMA-23 e CARTITUDE-5 - per valutare l’efficacia e la sicurezza delle CAR-T nelle fasi più precoci della malattia, per portarle in futuro anche nelle line più precoci di trattamento.
Gli elementi su cui puntare sono molteplici e, man mano che il tempo passa, i dati si accumulano e le conoscenze vengono affinate mettendo in risalto le potenzialità di questi trattamenti innovativi in cui risiedono le speranze di medici e pazienti.