Prof.ssa Barbara Savoldo

I risultati di uno studio clinico sull’impiego delle terapie a base di linfociti T ingegnerizzati contro le forme recidivanti e refrattarie del linfoma di Hodgkin sono molto incoraggianti

Se la radioterapia è stata per tanti anni il trattamento di riferimento per il linfoma di Hodgkin lo si deve al dott. Henry Kaplan, radiologo di Stanford, che per primo a metà del secolo scorso pensò di usare i raggi X per sconfiggere questa patologia neoplastica. Il suo successo dipende dal fatto che egli valutò con attenzione quale tumore potesse meglio rispondere alla nuova terapia, facendo in modo che questa si adattasse alle caratteristiche del linfoma di Hodgkin. Una linea di condotta analoga a quella che, oggi, ha scelto la prof.ssa Barbara Savoldo, del Dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell’Università del North Carolina, ricorrendo alle terapie CAR-T contro il medesimo tipo di linfoma.

Gli esiti del suo lavoro sono stati pubblicati a luglio sulla rivista Journal of Clinical Oncology e confermano la sicurezza e l’efficacia delle CAR-T per il trattamento delle forme recidivanti o refrattarie di linfoma di Hodgkin. A questo punto è bene fare un passo indietro e ricordare che, allo stato attuale delle cose, l’innovativa terapia a base di cellule CAR-T - il cui principale vantaggio consiste nell’utilizzo delle cellule del paziente stesso che vengono manipolate geneticamente e messe nelle condizioni di riconoscere le cellule neoplastiche e stimolare una risposta immunitaria contro di esse - è stata approvata in Europa, e in Italia (leggi qui e qui) contro le forme recidivanti o refrattarie alla terapia di linfoma diffuso e linfoma primitivo del mediastino a grandi cellule B. Essi fanno parte del più ampio gruppo dei linfomi non-Hodgkin aventi uno spettro di caratteristiche isto-patologiche entro cui ricadono diverse forme tumorali. I linfomi di Hodgkin, invece, costituiscono un insieme a parte che, fino agli anni ’60 del secolo scorso, veniva considerato ad elevata malignità. Attualmente, più dell’80% dei pazienti afflitti da questa malattia va incontro a guarigione ma in una ristretta frazione di casi il tumore si mostra refrattario alle terapie o provoca una ricaduta, complicando la prognosi.

A questo sottogruppo di pazienti si rivolge lo studio firmato da Barbara Savoldo che, insieme al suo gruppo di ricerca, ha evidenziato non solo la sicurezza ma anche l’efficacia della terapia CAR-T. In un precedente studio, pubblicato nel 2017 sulla rivista The Journal of Clinical Investigation, il gruppo della prof.ssa Savoldo aveva descritto la sicurezza di una terapia a base di cellule CAR-T in grado di prendere di mira le cellule CD-30 nei pazienti con morbo di Hodgkin. Adesso, i risultati del più recente lavoro di ricerca condotto su 41 individui ne hanno sottolineato anche l’efficacia.

Infatti, i ricercatori hanno progettato uno studio clinico di Fase I/II nel quale i pazienti arruolati (in precedenza sottoposti a svariate linee di trattamento risultate non utili ad arrestare il corso della malattia) ricevono le CAR-T dopo un ulteriore trattamento di linfodeplezione a base di bendamustina, o bendamustina e fludarabina, o ancora ciclofosfamide e fludarabina. Questo con lo scopo di annientare più cellule possibile prima di passare all’infusione delle CAR-T, nella speranza che queste possano attecchire meglio e proliferare, combattendo così le cellule cancerose. Complessivamente, è stato ottenuto un tasso di risposta del 62% ma i ricercatori hanno registrato le migliori risposte nel gruppo di pazienti pre-trattati con la fludarabina, notando che, per i 32 pazienti ai quali è stata somministrata la fludarabina come regime di condizionamento, il tasso di risposta complessivo è stato del 72% con il 59% dei pazienti che ha raggiunto una risposta completa. A questo dato straordinario si aggiunge quello della sopravvivenza libera da malattia che, a 1 anno, è stata complessivamente del 36% ma che è salito al 41% nel gruppo di pazienti trattati con fludarabina e al 61% in quelli che, all’intento di questo insieme, hanno raggiunto una risposta completa. In totale il 94% dei pazienti trattato con le CAR-T è risultato ancora in vita, confermando anche la buona tollerabilità del trattamento e la sua stabilità nel tempo.

Ovviamente questo è uno studio eseguito su una casistica ristretta di pazienti che necessita di validazione su numeri più alti ma pone delle ottime basi e mostra che anche le terapie avanzate possono e devono essere adattate alle malattie per conseguire gli attesi successi terapeutici. Con le terapie a base di cellule CAR-T medici e ricercatori hanno aperto un varco nelle difese del cancro e adesso per far passare nuove forze e continuare l’assedio servono metodo, applicazione e una prospettiva via via più allargata.

Con il contributo incondizionato di

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