L’approvazione del primo trattamento di editing per l’anemia falciforme porrà molti pazienti di fronte al dilemma di come curarsi senza compromettere la propria fertilità 

Quando l’8 dicembre la Food and Drug Administration (FDA) ha dato il via libera alla commercializzazione di Casgevy, la prima terapia basata su CRISPR, sono stati in tanti a festeggiare. L’arrivo di una nuova opzione terapeutica per l’anemia falciforme è un’ottima notizia per i centomila malati americani. Il prezzo stabilito è elevato (2,2 milioni di dollari) anche se inferiore alla terapia genica classica autorizzata dall’FDA per la stessa malattia. Ma oltre alla sostenibilità economica, c’è un’altra questione che preoccupa scienziati, medici e pazienti: per liberarsi dalla morsa di una patologia grave e dolorosa molti giovani potrebbero dover rinunciare a diventare genitori. Conciliare editing genetico e salute riproduttiva è possibile?

Casgevy consiste in un autotrapianto di staminali ematopoietiche geneticamente editate ex vivo. In pratica, si prelevano le cellule del paziente e si corregge il difetto genetico che causa l’anemia falciforme, editandole fuori dal corpo, le cellule “corrette” vengono quindi reinfuse nel paziente stesso. Il problema è che, per farle attecchire, bisogna prima aver eliminato le staminali difettose dal midollo. Questo obiettivo viene raggiunto somministrando un pre-trattamento chemioterapico, che ha pesanti effetti collaterali e richiede diverse settimane di ospedalizzazione. La chemioterapia uccide le cellule in rapida divisione, comprese quelle che producono ovociti e spermatozoi, rispettivamente nelle ovaie e nei testicoli. Tra le conseguenze, dunque, c’è una compromissione della fertilità che potrebbe rallentare l’adozione del trattamento, che è particolarmente indicato per le forme gravi della malattia. Negli Stati Uniti si stimano ventimila possibili beneficiari, ma la decisione potrebbe risultare difficile soprattutto per i giovani che non vogliono precludersi la possibilità di diventare madri o padri.

Il problema della sterilità indotta, in realtà, è precedente all’editing genomico: lo stesso baratto tra salute e fertilità si è sempre posto anche per i classici trapianti di midollo, usati da tempo dai pazienti con anemia falciforme che hanno la fortuna di trovare un donatore compatibile. Questa patologia genetica accorcia la vita e causa crisi dolorose invalidanti eppure, secondo un piccolo sondaggio pubblicato su Bone Marrow Transplantation, solo la metà delle persone affette considera l’infertilità come una conseguenza accettabile della cura. In confronto quasi i due terzi del campione si è detto disposto ad accettare il rischio di morire a causa della procedura. La via dell’editing genomico, in confronto al semplice trapianto di midollo da donatore, consente di evitare il rischio del rigetto, perché chi dona e chi riceve sono la stessa persona, ma non risolve il dilemma tra lo stare bene oggi e il restare senza figli domani. Purtroppo la salute riproduttiva dei malati di anemia falciforme è rimasta una questione a lungo trascurata e l’arrivo di Casgevy la sta finalmente portando all’attenzione generale. Chi ha partecipato alla sperimentazione clinica ha potuto congelare gratuitamente ovociti e spermatozoi, nella speranza di utilizzarli successivamente. Ma il sistema sanitario americano (Medicaid) difficilmente potrà farsi carico di queste spese e dei successivi cicli di fecondazione assistita. Per sapere cosa accadrà nei Paesi europei è presto, perché le leggi sono diversificate e il dossier Casgevy è ancora in corso di valutazione presso l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA). La speranza è che i pazienti con anemia falciforme possano raccogliere i frutti delle battaglie condotte dai pazienti oncologici e siano sostenuti adeguatamente nei loro progetti di futura genitorialità.

Due anni fa negli Stati Uniti è nata l’organizzazione no-profit Sickle Cell Reproductive Health Education Directive che si occupa proprio di salute riproduttiva e anemia falciforme. A fondarla è stata Teonna Woolford, una giovane donna che si è scontrata personalmente con la scarsità di informazioni e risorse per la conservazione dei gameti. Sfortunatamente non ha potuto permettersi di congelare i propri ovociti e ha rigettato il trapianto da donatore, perciò oggi ha ancora la malattia e non può più avere figli, ma questa esperienza ha ispirato il suo impegno nell’advocacy. Vale la pena sottolineare che l’anemia falciforme di per sé può compromettere la fertilità, ma anche questo è un tema poco affrontato nel rapporto tra medici e pazienti, come spiega l’approfondimento di Megan Molteni per STAT.

Per cambiare le cose ci vorranno donazioni filantropiche, sconti da parte delle cliniche di fecondazione assistita e leggi che spingano le compagnie assicurative a coprire anche le spese per la salute riproduttiva dei malati. Ma serviranno anche una serie di avanzamenti clinici, sia per quanto concerne la preservazione dei tessuti ovarici e testicolari, sia per ciò che riguarda i protocolli di editing genomico. I problemi, infatti, diventano ancora più pesanti quando il trapianto da donatore sano, o l’autotrapianto con cellule corrette, devono essere eseguiti su un paziente giovanissimo, che non ha ancora raggiunto la pubertà. Perciò alcuni genitori potrebbero essere tentati di rimandare l’intervento, nella speranza che arrivi un trattamento CRISPR di prossima generazione, che non richieda la chemioterapia. Questo balzo in avanti diventerà possibile passando dalla correzione genetica ex vivo a quella in vivo, direttamente nel corpo del paziente. Riuscirci abbasserebbe molto i costi delle terapie CRISPR, forse abbastanza da poterle proporre anche nei Paesi a medio e basso reddito, ma questo traguardo non è ancora a portata di mano.

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