Dott.ssa Raffaella Di Micco: “Il nostro approccio agisce direttamente sul tumore dal momento che abbiamo cercato di renderlo di nuovo visibile al sistema immunitario”
L’origine della parola “neoplasia” (dal greco neos-, nuovo, e -plasis, formazione) si rifà al modo in cui un organismo cresce, aumentando il numero delle sue cellule; quando tale crescita prende un ritmo troppo sostenuto, diventando di fatto incontrollata, si parla di neoplasia, cioè di una nuova forma di crescita, non fisiologica. Come nel caso della leucemia mieloide acuta (LMA), un tumore che è facilmente in grado di sviluppare resistenza alle terapie, inclusa la capacità di sfuggire alle difese del sistema immunitario dopo trapianto di midollo osseo. Fortunatamente, i ricercatori dell’Ospedale San Raffaele di Milano hanno identificato un modo per restituire il vantaggio alle cellule immunitarie. La loro ricerca è descritta nell’articolo recentemente pubblicato su Cancer Discovery, la prestigiosa rivista dell’American Association for Cancer Research.
Nel 1973 il biologo statunitense Leigh Van Valen per spiegare il concetto di co-evoluzione propose l’ipotesi della Regina Rossa per la quale le dinamiche evolutive tra due specie concorrenti, ad esempio tra ospite e parassita, andavano nella direzione di un rapido cambiamento in entrambe. Tutto ciò solo perché una specie potesse prevalere sull’altra e, quindi, sopravvivere. Un concetto applicabile anche all’oncologia se si pensa che in una consistente fetta di pazienti affetti da LMA in recidiva dopo trapianto di midollo osseo, le cellule tumorali maturano la capacità di nascondere le molecole necessarie a far sì che i linfociti T possano riconoscerle e annientarle. Occorre rispondere a questa stoccata e per farlo i ricercatori stanno lavorando da due diverse prospettive. Ce ne parla la dott.ssa Raffaella Di Micco, group leader dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano e Robertson Investigator della New York Stem Cell Foundation, che insieme a Luca Vago, ematologo presso l’Ospedale San Raffaele e professore associato presso la relativa Università Vita-Salute San Raffaele, ha focalizzato la sua attenzione sui numerosi casi di pazienti, già sottoposti a trapianto di midollo osseo, e di nuovo colpiti dalla malattia - come è accaduto a Sinisa Mihajlovic, il noto allenatore del Bologna che nel 2019 annunciò di essere affetto da LMA.
EPIGENETICA: BLOCCARE IL SILENZIAMENTO DEI GENI
“Il nostro studio ha l’obiettivo di individuare possibili bersagli terapeutici nelle recidive di LMA dopo trapianto”, spiega Di Micco. “In circa il 40% dei pazienti affetti da una forma di leucemia mieloide acuta recidivata dopo trapianto, le cellule tumorali riescono a nascondere le molecole note come HLA che servono a farle riconoscere da linfociti T. Ciò è reso possibile dall’azione del complesso proteico PRC2, capace di silenziare proprio quei geni necessari a far esprimere sulla superficie le proteine indispensabili per il riconoscimento delle cellule”.
L’approccio dei ricercatori milanesi rientra nel campo dell’epigenetica, che indaga i cambiamenti fenotipici non associati alla modifica della sequenza del DNA: si parla di alterazioni chimiche, come la metilazione, o modifiche nelle modalità di impacchettamento del DNA. “Il complesso proteico PRC2 è formato da varie subunità proteiche, fra cui l’enzima EZH2, ed insieme regolano il processo di presentazione degli antigeni”, prosegue Di Micco. “Pertanto, abbiamo fatto ricorso a una 'small molecule', cioè una molecola che si inserisce nel sito attivo dell’enzima interferendo con la sua attività. Questo inibitore occupa lo spazio di EZH2 e, così facendo, inibisce l’attività enzimatica del complesso PRC2”. In pratica, PRC2 permette l’applicazione dei gruppi metilici (questo processo prende il nome di metilazione) sugli istoni, cioè sulle proteine che si occupano di impacchettare il DNA, disattivando così l’espressione delle proteine HLA con cui i linfociti T riconoscono le cellule tumorali. L’inibitore molecolare testato dai ricercatori milanesi impedisce la metilazione e il tumore ritorna visibile al sistema immunitario.
“Abbiamo condotto i nostri studi sia in vitro che in vivo in modelli preclinici di leucemia mieloide acuta”, spiega l’esperta milanese. “Poiché EPZ-6438 (la molecola usata per inibire PRC2, N.d.R.), è già in fase di studio contro i linfomi e i sarcomi abbiamo avviato i contatti con l’azienda farmaceutica che la produce e stiamo lavorando per iniziare uno studio clinico presso il nostro istituto. Inoltre, siamo stati contattati da un gruppo di clinici tedeschi interessati allo studio clinico e questo ci permetterebbe di disporre di una casistica di pazienti ancora più ampia”.
EDITING DEL GENOMA: RENDERE VISIBILI I RECETTORI NASCOSTI
Nel frattempo non si interrompe la ricerca della prof.ssa Chiara Bonini sull’ingegnerizzazione dei linfociti T, di cui Osservatorio Terapie Avanzate si era già occupato qualche tempo fa. In un comunicato stampa di qualche settimana fa, l’azienda Intellia Therapeutics ha annunciato l’arruolamento del primo paziente nello studio clinico di Fase I/IIa incentrato su NTLA-5001, un trattamento sperimentale basato sul sistema di editing CRISPR per la modifica dei linfociti T del paziente che, in tal modo, diventano in grado di riconoscere l’antigene del tumore di Wilms (WT1), espresso proprio dalle cellule della LMA resistente ai trattamenti.
La particolarità di questo approccio è data dal fatto che WT1 si trova espresso all’interno delle cellule e non sulla loro superficie: mentre le terapie a base di CAR-T riconoscono generalmente gli antigeni di superficie, ricorrere a CRISPR permette che i linfociti T possano individuare WT1 e grazie a ciò riconoscere le cellule tumorali. Sulle pagine della rivista Blood è spiegato nel dettaglio il processo di produzione di NTLA-5001 che comincia con la rimozione del TCR endogeno del linfocita a cui fa seguito la sostituzione con il recettore specifico per l’antigene tumorale, in questo caso WT1. Nel corso della 62esima riunione annuale dell’American Society of Hematology (ASH) sono stati presentati i dati preclinici relativi a NTLA-5001 che hanno messo in evidenza solide risposte tumorali contro i blasti della LMA ottenuti dai pazienti e trapiantati nei topi.
PIÚ SOLUZIONI PER UNO STESSO PROBLEMA
“L’approccio scelto dal gruppo di studio coordinato dalla Prof.ssa Bonini punta a potenziare il sistema immunitario contro quello specifico tipo di tumore”, precisa Raffaella Di Micco. “Noi, invece, abbiamo agito dalla prospettiva del tumore, cercando di smascherarlo e farlo tornare visibile al sistema immunitario. Si tratta di due percorsi complementari con un obiettivo comune: conferire al sistema immunitario la capacità di rispondere alla proliferazione neoplastica”. Infatti, quando la leucemia mieloide si ripresenta dopo il trapianto di midollo osseo è una malattia ancora più aggressiva che richiede una risposta terapeutica adeguata. Purtroppo, al momento tale risposta non è ancora disponibile, ma dai due filoni di ricerca descritti potrebbero emergere le soluzioni che oggi mancano. “Quella che abbiamo perseguito è un’opportunità terapeutica per un sottogruppo di pazienti che presenta una deregolazione epigenetica di certe molecole necessarie al riconoscimento della leucemia da parte del sistema immunitario”, aggiunge Di Micco. “Riunendo tutte le competenze acquisite potremo svolgere un’accurata opera di profilazione delle neoplasie come la LMA, comprendendo meglio come riescono a recidivare. Questo permetterà di elaborare terapie personalizzate. Infatti, non in tutte le forme recidivanti di LMA osserviamo lo spegnimento dei geni HLA, pertanto dobbiamo capire in quale sottogruppo di pazienti usare l’inibitore e in quali, invece, adottare nuovi approcci basati su altri regolatori epigenetici”.
Esistono diverse tipologie di leucemia e bisogna trovare una soluzione valida per ognuna di esse. L’epigenetica consente di affrontare una tale diversità in maniera plastica ma per identificare i nuovi bersagli servono solide competenze sui meccanismi molecolari della malattia. E non è detto che non si possano riunire approcci diversi al problema. “Dovremo pensare a studi preclinici per valutare come i linfociti T reagiscono in presenza dei farmaci epigenetici”, conclude la dott.ssa Di Micco. “La sinergia tra il nostro approccio e quello che prevede la modifica dei linfociti T potrebbe tradursi in un duro colpo per le cellule tumorali. Ma potrebbe anche non essere così. In questo secondo caso dovremmo pensare a uno schema sequenziale e usare prima un metodo e poi l’altro. Al momento però queste rimangono solo implicazioni prospettiche ma l’obiettivo è proseguire nella ricerca, comprendere meglio la malattia e le sue oscure dinamiche e progettare nuovi trial clinici per i nostri candidati farmaci”. Un’operazione che riporta all’ipotesi della Regina Rossa e appare come il trampolino di lancio per la risposta del mondo della ricerca alla malattia.