Victoria Grey

Il primo punto nell’agenzia di scienziati e bioeticisti è rendere le nuove terapie accessibili ai pazienti, le applicazioni in campo riproduttivo possono e devono aspettare

La Human Genome Editing Initiative è arrivata al terzo - e forse ultimo - atto. Il primo summit (Washington 2015) si era svolto all’insegna dell’entusiasmo per l’invenzione di CRISPR, con lo scopo dichiarato di avviare un dialogo costruttivo tra scienza e società. La seconda edizione (Hong Kong 2018) è stata monopolizzata dall’annuncio della nascita in Cina dei primi esseri umani geneticamente modificati. La scorsa settimana gli specialisti riuniti nella capitale britannica hanno provato a superare lo shock e a concentrarsi sulle prossime sfide: allargare il ventaglio delle malattie trattabili, ridurre i costi delle terapie, semplificarle perché siano somministrabili ovunque nel mondo, raggiungere il maggior numero possibile di malati.

Le parole chiave di questo terzo summit, che si è tenuto dal 6 all’8 marzo al Francis Crick Institute, sono state equità e accesso (il documento conclusivo è disponibile qui). L’immagine simbolo, invece, è senza dubbio quella di Victoria Gray: la prima paziente curata con CRISPR ha preso parte per la prima volta a un convegno scientifico per raccontare come il trattamento messo a punto da CRISPR Therapeutics e Vertex Pharmaceuticals le ha cambiato la vita. La donna originaria del Mississippi ha raccontato le sofferenze e le privazioni imposte dall’anemia falciforme durante la sua giovinezza, le speranze riposte nella nuova terapia sperimentale quando ormai gli attacchi dolorosi erano diventati insopportabili e frequenti, la fatica di riprendersi dalla chemioterapia necessaria per far attecchire le “supercellule” geneticamente corrette per produrre emoglobina funzionante, la nuova normalità conquistata, con un lavoro a tempo pieno e la gioia di veder crescere i suoi figli.

Sul podio prima e dopo di lei si sono alternativi tanti scienziati, bioeticisti e rappresentanti delle istanze dei Paesi a reddito medio e basso (in generale più donne che uomini, con una netta prevalenza della ricerca pubblica su quella privata). Il mix delle provenienze geografiche fotografa una comunità scientifica concentrata negli Stati Uniti, interessata a capire come intende muoversi l’altra superpotenza biotech (la Cina), preoccupata di non lasciare fuori i Paesi in via di sviluppo, a cominciare dall’Africa. Nonostante la scarsità di voci europee, l’eccellenza italiana nel campo della terapia genica è stata ben rappresentata con gli interventi di Luigi Naldini e Angelo Lombardo, che ha parlato di editing epigenetico.

Il documento conclusivo, preparato dal comitato organizzatore, sottolinea che gli altissimi costi delle terapie geniche sono insostenibili, tali da rendere “urgente un impegno globale per un accesso economico ed equo”. Per raggiungere l’obiettivo servirà un cambio di paradigma, con nuovi approcci organizzativi e regolatori, oltre ad avanzamenti tecnici che consentano di evitare passaggi invasivi come la chemioterapia. Secondo una stima presentata da Emily Turner della Gates Foundation, intervenire in vivo (direttamente nel corpo del paziente) anziché ex vivo (sulle sue cellule prelevate e poi reinfuse) potrebbe abbassare il costo di una dose nei Paesi in via di sviluppo da 100.000-500.000 dollari a mille-duemila dollari nell’arco di dieci anni. Anche la testimonianza del rappresentante dei pazienti indiani, Gautam Dongre, ha lasciato il segno: se nemmeno l’idrossiurea è garantita a tutti – nonostante il basso costo e l’uso pluridecennale per l’anemia falciforme nei Paesi avanzati – che ne sarà della terapia genica? 

Il programma del summit ha dato spazio ai numerosi progressi potenzialmente utili, ad esempio per le malattie dei muscoli come la distrofia di Duchenne e le cardiomiopatie, senza dimenticare la tecnologia CAR-T per i tumori. Le sperimentazioni cliniche a base di editing genomico ormai sono decine, ma la maggior parte degli sforzi continua a focalizzarsi su pochi bersagli grossi, a cominciare dalla più comune delle malattie rare: l’anemia falciforme, che è diventata la palestra d’elezione per le nuove terapie avanzate. La preoccupazione di Fyodor Urnov e altri ricercatori è che troppe patologie rare e ultrarare rischino di restare senza cura, se non si procederà a una standardizzazione degli approcci tale da consentire una semplificazione regolatoria e in assenza di un colpo d’ala del settore no-profit.

Tra i temi e gli interventi di particolare interesse segnaliamo il consorzio Agora che coinvolge anche l’Italia e vuole garantire l’accesso alla terapia genica per le malattie rare, il progetto della Fondazione Gates per anemia falciforme e HIV-Aids, l’evoluzione normativa sull’editing e sulla ricerca su soggetti umani avviata in Cina in risposta allo scandalo delle “CRISPR babies”. Per quanto riguarda embrioni e cellule germinali, in generale, si confermano le linee di indirizzo già delineate dai rapporti delle accademie statunitensi e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dal summit di Londra arriva un sostegno all’editing di embrioni per la ricerca di base, ad esempio per comprendere i meccanismi ancora oscuri dello sviluppo embrionale, ma un no all’editing a scopo riproduttivo che avrebbe effetti ereditabili di generazione in generazione. L’opinione diffusa è che al momento non esistano i presupposti per procedere né sul piano scientifico né su quello delle policy e del consenso sociale (anche se alla vigilia dell’appuntamento londinese una giuria di pazienti britannici aveva auspicato che potesse essere riconsiderato il divieto.

L’unica breaking news annunciata al summit è stata la nascita in Giappone dei primi topolini figli di due padri, ma le futuribili applicazioni per la specie umana sono davvero lontane. Fuori dall’Istituto Crick i manifestanti preoccupati per la possibile deriva della progettazione di bambini a tavolino si contavano sulle dita di una mano. La platea di specialisti, in generale, ha dimostrato unità di intenti, pur nella diversità di strategie e sfumature. Non si sa ancora se la Human Genome Editing Initiative avrà un seguito al di là del trittico di summit già organizzati dalle accademie scientifiche e mediche statunitensi e britanniche, da ultimo con il coinvolgimento della World Academy of Sciences. Ma certamente la comunità di CRISPR tornerà a riunirsi: il dibattito non è concluso e, come ha notato un partecipante, non è prevedibile né auspicabile che possa terminare. 

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