Editing genomico per la sindrome di Hunter

Uno studio clinco di Fase I-II valuta la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia di un nuovo farmaco che punta su une metodica precedente a CRISPR ma non per questo meno funzionale

Agli albori dell’editing genomico non c’è, come molti pensano, CRISPR ma c’è un metodo basato sulla combinazione di nucleasi e di proteine che riconoscono in maniera specifica e si legano in determinate zone della doppia elica di DNA. Si tratta delle ZFN o “nucleasi a dita di zinco”.

Questa sorta di mano le cui dita sono composte da catene di aminoacidi tenute insieme da ioni zinco abbracciano il DNA e, appaiandosi in maniera mirata, come una forbice, fanno si che le nucleasi possano tagliare la sequenza dove esattamente richiesto.
Le nucleasi a dita di zinco hanno estasiato i ricercatori alla fine del secolo scorso tanto che un’azienda, Sangamo Therapeutics, ha esteso il brevetto su tutta la gamma di proteine e puntato esclusivamente sul loro sviluppo. Il successivo avvento della tecnologia TALEN e poi l’ascesa ai vertici dell’editing genomico di CRISPR hanno oscurato il ruolo delle ZFN che, tuttavia, hanno trovato spazio nella lotta alla mucopolisaccaridosi di tipo II (MPS II), anche detta sindrome di Hunter.

All’inzio di settembre, nel corso del Simposio Annuale della Society for the Study of Inborn Errors of Metabolism (SSIEM), svoltosi ad Atene, sono stati presentati i risultati preliminari dello studio CHAMPIONS (un nome che instilla fiducia), di Fase I-II, condotto in aperto e senza placebo, con il quale sono state valutate la sicurezza, la tollerabilità e l’efficacia preliminare della singola somministrazione intravenosa a tre diversi dosaggi (basso, medio, alto) di SB-913, un composto la cui architettura di costruzione rimangono davvero uniche.

Ricorrendo ad un opportuno virus adeno-associato, la cui carica virale è stata azzerata, gli scienziati hanno fatto modo di portare direttamente dentro le cellule epatiche le istruzioni per il corretto assemblaggio e il funzionamento della “macchina operativa” costituita da un gene correttivo e dalle ZFN necessarie per l’operazione di editing. Infatti, questo farmaco sperimentale può essere somministrato per via endovenosa e, una volta raggiunto il fegato, le cellule epatiche usano le istruzioni per attivare le forbici che tagliano il DNA e permettono l’inserimento del gene grazie a cui si potrà produrre l’enzima mancante. Una strategia fuori dal comune ma altamente precisa che, nel 2017, è valsa a SB-913 la designazione di farmaco orfano dalla FDA statunitense. Grazie alle nucleasi a dita di zinco Sangamo ha potenzialmente individuato una nuova opzione per il trattamento della sindrome di Hunter che supera quella esistente, basata sulla terapia enzimatica sostitutiva la quale richiede reiterate infusioni settimanali dell’enzima Iduronato-2-sulfatasi (IDS) – quello che nella sindrome di Hunter manca.

Il trial CHAMPIONS, della durata di 16 settimane, si svolge in sette diversi centri clinici negli Stati Uniti, e ha reclutato nove pazienti con sindrome di Hunter dai 18 anni in su. I risultati preliminari (su 4 pazienti) esposti ad Atene hanno dato conferma della sicurezza e della tollerabilità della terapia sperimentale mentre, per quanto riguarda l’efficacia, solo nei soggetti che hanno ricevuto il dosaggio intermedio è stata rilevata, nelle urine, una riduzione degli zuccheri complessi, che sono i principali marcatori biochimici della malattia. Le analisi eseguite non sono però riuscite a rilevare un concomitante aumento della quantità di enzima nel sangue. Perciò, Sangamo Therapeutics si è messa al lavoro per sviluppare un metodo di misurazione più sensibile, che rilevi livelli più bassi dell’enzima, ipotizzando che questo potrebbe essere rapidamente assorbito dal sangue dai tessuti che di esso sono deprivati. Lo studio, oltre che sul basso e sul medio è condotto anche sull’alto dosaggio del farmaco e, proprio dai pazienti di quest’ultimo gruppo potrebbero provenire risultati di rilievo che Sangamo si augura di poter presentare al Simposio “We Are Organizing Research on Lysosomal Diseases”, che si terrà ad Orlando, in Florida, a febbraio 2019.

Con il contributo incondizionato di

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