Cellule staminali del sangue

Ricorrendo a Crispr-Cas9 i ricercatori hanno modificato un sottogruppo di staminali ematopoietiche per aumentare la produzione di emoglobina fetale. Questo approccio potrebbe rivelarsi importante per curare anemia falciforme e beta-talassemia

Si potrebbe quasi asserire che l’universo delle emoglobinopatie non abbia confini. Sebbene, infatti, patologie come la beta-talassemia o l’anemia falciforme siano monogeniche (originino cioè da mutazioni a danno di un unico gene) la complessità del loro quadro genetico è elevatissima. La cifra comune della beta-talassemia e dell’anemia falciforme è data dai disordini nella produzione di emoglobina, con tutte le complicazioni - ad esempio gravi anemie - che ciò comporta.
I tentativi di correggere il difetto che sta alla base di tali emoglobinopatie con l’editing genomico sono molti e alcuni fanno perno proprio sulla persistenza nell’organismo dell’emoglobina fetale, una versione dell’emoglobina prodotta dal feto e che, di norma, si esaurisce poco dopo la nascita. Tuttavia, quando essa continua ad essere prodotta in pazienti con anemia falciforme o beta-talassemia (si parla di persistenza ereditaria dell’emoglobina fetale) l’insieme dei sintomi delle due patologie si attenua.

Per tale ragione, un gruppo di ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle ha pensato di sfruttare le potenzialità di modifica del genoma offerte da Crispr-Cas9 per correggere le cellule staminali progenitrici ematopoietiche e sfumare la sintomatologia di queste due malattie del sangue. I risultati del loro lavoro sono stati pubblicati lo scorso luglio sulle pagine della prestigiosa rivista Science Translational Medicine ed evidenziano un’ottima capacità delle nuove cellule di attecchire, una volta trapiantate negli esemplari di scimmia usati come modello clinico. Quello condotto dal prof. Hans-Peter Kiem, Direttore dello Stem Cell and Gene Therapy Program presso il Fred Hutchinson Cancer Research Center, è infatti uno studio preclinico, realizzato su modelli animali allo scopo di valutare le capacità di attecchimento delle cellule prodotte, il tasso di persistenza dell’emoglobina fetale nell’organismo e, soprattutto, la sicurezza di questo futuro - potenziale - approccio terapeutico.

I risultati pubblicati parlano chiaro. Il 30% delle cellule trapiantate contiene la modifica genetica apportata, con un tasso di produzione superiore al 18% per quel che riguarda i globuli rossi che esprimono l’emoglobina fetale per un periodo di tempo di circa un anno. Uno studio dagli esiti più che interessanti, accompagnati anche da un solido profilo di sicurezza: la rapida ricostituzione dei globuli rossi e delle altre linee cellulari osservata è stata monitorata nel tempo e si è mantenuta senza variazioni e senza effetti collaterali.

Le fondamenta di questa ricerca sono state il prerequisito essenziale per la buona riuscita dello studio. Infatti, l’identificazione di una sottopopolazione (CD34+CD90+CD45RA-) di cellule responsabile della proliferazione degli elementi del sangue con marcate proprietà di autorinnovamento ha permesso una buona produzione a lungo termine delle cellule ematiche, riducendo di circa 10 volte il numero di cellule progenitrici da trapiantare e, di conseguenza, abbassando il rischio di eventi collaterali e i costi del procedimento di modifica. Il contenimento dei costi di produzione di queste speciali cellule, mantenendo un solido profilo di sicurezza e ottenendo anche un effetto positivo è un sogno per ogni ricercatore. Significa che l’intuizione avuta sulla carta si è dimostrata non solo corretta ma anche potenzialmente realizzabile nella pratica.

“L’identificazione e la modifica di questa popolazione di cellule staminali potrebbe potenzialmente aiutare milioni di persone affette da malattie del sangue - afferma in un’intervista il prof. Kiem - Non solo siamo stati in grado di modificare le cellule in modo efficiente, ma abbiamo anche dimostrato che l’innesto funziona e questo ci dà una grande speranza di tradurre la nostra ricerca in una terapia efficace per i pazienti”. I ricercatori sono, infatti, sicuri che l’uso di Crispr-Cas9 nella popolazione di cellule scelta per rimuovere il frammento di codice genetico che disattiva la produzione di emoglobina fetale possa apportare grandi benefici a tanti malati. “Il venti percento di globuli rossi che mantenga la produzione di emoglobina fetale, è molto vicino al livello necessario per invertire i sintomi dell’anemia falciforme - prosegue Kiem - Non abbiamo trovato mutazioni off-target dannose nelle cellule modificate e, attualmente, stiamo conducendo studi di follow-up a lungo termine per verificare l’assenza di effetti collaterali”.

Ci si augura dunque che questa ricerca possa continuare e portare a studi di conferma sull’uomo perché se i risultati visti si replicheranno anche a questo livello, oltre a fornire una nuova potenziale cura per le emoglobinopatie, essa potrebbe essere usata anche per trattare patologie come l’HIV o alcune forme tumorali.

Con il contributo incondizionato di

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