Jennifer Doudna e Jill Banfield hanno trovato una nuova miniera CRISPR nei virus e una nuova classe di misteriose molecole in alcuni oscuri microrganismi del suolo
La natura è la più grande inventrice: ha avuto miliardi di anni per fare esperimenti. Non c’è da stupirsi, dunque, che il mondo microbico sia sempre stato una fucina naturale di invenzioni biotech e continui a riservare sorprese ai genetisti. Questa volta ad accendere l’entusiasmo della comunità scientifica sono due lavori pubblicati da poco sulle prestigiose riviste scientifiche Cell e Nature dalla co-inventrice di CRISPR Jennifer Doudna e da un’altra scienziata di Berkeley che è considerata la più abile esploratrice della diversità molecolare microbica: Jill Banfield. Le loro strade si erano incrociate in modo fatale nel 2006, quando Doudna ha sentito pronunciare per la prima volta la parola CRISPR proprio dalla bocca della collega.
Esiste un’esuberanza molecolare microbica che sta trovando un numero crescente di applicazioni dentro ai laboratori e ci ricorda continuamente quanto dobbiamo a Darwin, come ha commentato via social il pioniere dell’editing Fyodor Urnov citando il padre dell’evoluzione. “C'è qualcosa di grandioso in questa idea della vita, con le sue infinite potenzialità, originariamente infuse in pochissime o in una sola forma […] da un inizio così semplice infinite forme, sempre più belle e meravigliose, si sono evolute e tuttora si evolvono."
In effetti CRISPR, intesa come la tecnologia premiata con il Nobel per la chimica 2020, si ispira a un sistema naturale detto anch’esso CRISPR, che si è evoluto nei batteri per difenderli dai virus che li attaccano: i batteriofagi o fagi. I primi indizi che hanno portato a scoprire questa sorta di sistema immunitario microbico sono stati trovati proprio nel genoma di alcuni batteri sotto forma di misteriose sequenze ripetute a intervalli regolari. Oggi si stima che sia presente nella metà dei batteri propriamente detti e nella quasi totalità degli archeobatteri. Ma come si spiega il fatto che quest’arma anti-fagi sia presente anche in alcuni fagi?
La questione si era affacciata sulle pagine di Science nel 2020, sempre per mano della coppia Doudna-Banfield. Ma quella che sembrava una curiosità di nicchia ora è diventata una scoperta rilevante, grazie al nuovo paper pubblicato a fine novembre su Cell. Le due scienziate hanno passato al setaccio le comunità microbiche presenti in luoghi diversissimi, dal suolo alla bocca umana, e hanno appurato che il sistema CRISPR è presente in migliaia di fagi. Allargando lo sguardo all’insieme delle sequenze pubblicate nei database, CRISPR compare solo in una minoranza di virus, ma risulta comunque abbastanza comune da meritare l’attenzione sia di Nature che di Science. Se qualcosa è altamente diversificato e ampiamente distribuito, allora deve essere utile a chi lo possiede. Ed ecco la spiegazione che viene avanzata: CRISPR serve ai batteri per difendersi dai virus che li infettano, ma serve anche ad alcuni di questi virus per avere la meglio quando competono con virus rivali. Ricapitolando, l’invasore ha rubato l’artiglieria ai microbi che è solito invadere e l’ha adattata alle proprie esigenze, per poi metterla nuovamente a disposizione dell’ospite affinché la usi contro altri potenziali invasori. Una volta sbaragliata la concorrenza, infatti, l’invasore armato di CRISPR può avere le strutture cellulari tutte per sé, replicandosi a tutto ritmo e portando avanti l’infezione.
Il bello è che alcune di queste varianti virali di CRISPR si sono già dimostrate in grado di funzionare come strumenti biotech, ovvero di editare DNA di altre specie, dai mammiferi alle piante. In particolare le forbici genetiche dell’enzima Casλ sono risultate efficienti in cellule renali umane oltre che nella pianta modello Arabidopsis thaliana, ed è degno di nota che questa proteina sia grande la metà della classica Cas9, su cui si basa la piattaforma standard di editing. Il fatto che i virus abbiano delle proteine Cas più piccole e compatte induce a sperare che possano fornirci strumenti di editing più maneggevoli per gli esperimenti di laboratorio. Uno dei limiti della Cas9, infatti, è di essere piuttosto ingombrante e quindi difficile da veicolare fin dentro alle cellule bersaglio, dove deve effettuare le correzioni genetiche desiderate per applicazioni come la terapia genica. Non è un caso che durante le loro Nobel lecture, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier si siano soffermate sul debito di riconoscenza che la genetica ha da sempre nei confronti della microbiologia. Si possono trovare casi di ispirazione microbica tra le tecniche per ricombinare, clonare, sequenziare, amplificare, colpire il DNA. A cominciare dai classici enzimi di restrizione, per finire con le piattaforme di editing pre-CRISPR (dita di zinco e Talen).
C’è qualcosa di grandiosamente darwiniano anche nella scoperta di una nuova classe di molecole, scovate nel microscopico universo del suolo, così enigmatiche da essere state chiamate con un nome ispirato alla saga di Star Trek. Si tratta di grossi e misteriosi segmenti lineari di DNA ospitati dentro agli Archaea, un ramo frondoso che sta alla base dell’albero della vita e comprende organismi unicellulari diversi dai batteri veri e propri. Li hanno chiamati Borg, come gli alieni della serie di fantascienza, perché inglobano pezzi dei microbi che infettano. Il fatto che queste strutture extracromosomiche contengano tratti ripetitivi, tra i geni e dentro di essi, ricorda le sequenze CRISPR e lascia sperare che possano trovare applicazioni altrettanto straordinarie. “Immaginate una bizzarra entità estranea, né viva né morta, che assimila e condivide geni… una cassetta di attrezzi galleggiante, probabilmente piena di progetti, un giorno potremmo sfruttarne qualcuno, come abbiamo fatto con CRISPR”, ha twittato Banfield l’anno scorso quando il lavoro era allo stadio di pre-print. Nel frattempo quel paper è stato pubblicato su Nature e i Borg ne hanno conquistato la copertina.