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Utilizzare una versione modulabile di Crispr-Cas9 per eliminare la mutazione che provoca la malattia. La strategia è stata testata in laboratorio e ha mostrato buoni risultati

Tra le malattie neuromuscolari sono incluse la distrofia muscolare di Duchenne e la distrofia muscolare dei cingoli, contro le quali la terapia genica ha prodotto risultati estremamente incoraggianti. Nello stesso insieme di patologie rientra anche la distrofia miotonica, una rara miopatia ereditaria a lenta progressione che interessa prevalentemente la muscolatura del capo e del collo. Nel tentativo di trovare una cura per questa malattia, un gruppo di ricercatori italiani ha elaborato una raffinata strategia di editing del genoma in grado di intervenire in modo diretto proprio sul difetto genetico alla base della distrofia miotonica. I risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Molecular Therapy Nucleic Acids.

Lo studio - coordinato dalla prof.ssa Germana Falcone, dell’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBC) - mette in rilievo la possibilità di usare una speciale versione di Crispr-Cas9 per eliminare la mutazione che provoca la malattia. Infatti, la distrofia miotonica trova innesco in un’espansione anomala di triplette CTG in una specifica regione del gene DMPK (Dystrophia Myotonica Protein Kinase) localizzato sul cromosoma 19 che codifica per la miotonina. Tale meccanismo patogenetico ricorda da vicino quello della malattia di Huntington, un altro grave disordine neurodegenerativo contro cui sono allo studio diverse tipologie di terapie su RNA, approccio che è oggetto di ricerca anche per la distrofia miotonica. Purtroppo, tali strategie non cancellano il problema alla fonte e, soprattutto, sono rivolte solo contro alcuni aspetti della malattia che, invece, coinvolge diversi sistemi dell’organismo, da quello cardiovascolare a quello endocrino, suscitando alterazioni cardiologiche, ipogonadismo e cataratta. Tutto ciò rende necessaria una presa in carico multidisciplinare del paziente da parte di un team di esperti che possano intervenire in maniera rapida e puntuale a seconda delle problematiche del malato.

La strategia elaborata dagli scienziati del CNR-IBBC - in stretta collaborazione con i colleghi dell’Unità di Cardiologia Molecolare diretta dal prof. Fabio Martelli presso l’IRCCS Policlinico San Donato di San Donato Milanese, e con il finanziamento della Fondazione Telethon e della Gruppo San Donato Foundation - punta sull’utilizzo della più celebre tecnica di modifica del genoma, Crispr-Cas9, per correggere la mutazione associata alla distrofia miotonica di tipo 1 (DM1). Ciò che rende interessante lo studio è che gli scienziati hanno trovato un modo per conferire ancora più precisione al sistema CRISPR, riducendo al minimo la possibilità di generare i tanto temuti tagli in siti aspecifici (“off target”) della doppia elica e sviluppando un sistema modulabile. Essi si sono resi conto che era necessario escogitare un modo per ridurre nel tempo l’attività dell’enzima Cas9 che pratica il taglio e così hanno messo a punto una versione di Crispr-Cas9 controllata dall’azione di un antibiotico, la doxiciclina, che attiva in maniera efficiente e mirata il taglio della sequenza regolando l’attività degli RNA guida che portano Cas9 sul sito di taglio.

I ricercatori hanno testato questo sistema in un modello in vitro e anche in uno in vivo, ottenuto da cellule del muscolo scheletrico dei topi, osservando un’elevata precisione nel taglio e confermando la possibilità di controllare il sistema, senza che fossero prodotti tagli in regioni del genoma diverse da quelle desiderate. “Nel nostro laboratorio ci occupiamo da anni di studiare i meccanismi molecolari che sono alla base delle manifestazioni patologiche della DM1”, spiega Germana Falcone. “Questa tecnologia ci ha permesso di ottenere una efficiente correzione del difetto genetico e un conseguente recupero delle alterazioni molecolari tipicamente associate alla malattia, sia in cellule in coltura derivate da pazienti affetti da DM1 sia nel muscolo scheletrico di modelli murini, che contengono nel loro genoma un gene DMPK umano mutato”.

L’indubbio punto di forza della tecnica è un’estrema versatilità che potrebbe consentirne l’applicazione anche al trattamento di altre patologie genetiche. Va però sottolineato che la ricerca è in una fase ancora iniziale ed è fondamentale consolidare i risultati ottenuti prima di poter procedere ad una traslazione clinica.

Con il contributo incondizionato di

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