reni

Un gruppo di ricerca statunitense ha utilizzato il sistema di editing Crispr-Cas9 per bloccare l’azione di un microRNA. Una strategia che potrebbe ridurre la formazione delle cisti

Una delle prime lezioni che si possono imparare studiando la fisiologia del rene è che il nefrone rappresenta l’unità funzionale di questo importante organo. Formato da un tubulo renale e da un glomerulo - un ciuffo di capillari sanguigni ben aggrovigliati - il nefrone è una struttura complessa, presente in milioni di unità nel rene, dove avvengono le principali reazione che portano alla formazione dell’urina. Malattie come il rene policistico provocano la formazione di cisti a livello del nefrone, ostacolandone le funzioni e compromettendo seriamente la salute di chi ne sia affetto. Ancora non esiste uno specifico trattamento per il rene policistico ma un team di ricerca dell’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas sta studiando una strategia basata sul sistema di editing Crispr-Cas9: i risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

Il rene policistico è una malattia piuttosto diffusa che può presentare una forma di ereditarietà autosomica dominante (molto più frequente e tipica dell’età adulta) e una di tipo recessivo (più rara, con insorgenza soprattutto in età pediatrica). La forma dominante (definita con l’acronimo ADPKD, Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease) è caratterizzata dalla formazione di numerose cisti a livello del nefrone, con conseguente sviluppo di processi infiammatori che, nei casi più gravi, sfociano in una seria insufficienza renale. Da anni è nota l’origine genetica della malattia, risalente alle mutazioni a danno dei geni PKD1 e PKD2: vari studi di biologia molecolare condotti su modelli della malattia hanno mostrato come la policistina-1 - prodotta a partire dal gene PKD1 - svolga un ruolo centrale nella formazione dei tubuli renali, mentre la policistina-2 - prodotta da PKD2 - sembra essere implicata nella formazione dei canali ionici. Dalle ipotesi formulate la policistina-1 interagisce con la policistina-2 regolandone le funzioni ma se tali proteine risultano alterate si possono formare delle sacche piene di liquido capaci di interferire con il corretto funzionamento del rene. Non tutti i pazienti con ADPKD presentano le cisti ma le due principali proteine risultano localizzate anche su altri epiteli, fra cui quelli che formano i dotti epatici o pancreatici, perciò la malattia può essere associata a problematiche al fegato o ad altri sintomi - fra cui l’ipertensione - che rendono, di volta in volta, più grave il quadro.

Uno dei punti di debolezza - se così si può dire - della malattia è che le mutazioni spesso si verificano in una copia del gene associato alla malattia, ma non nell’altra. Pertanto, i ricercatori dell’University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas, guidati dal prof. Vishal Patel, hanno messo a punto un approccio che sfrutta proprio la copia sana: i risultati del loro studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Communications e suggeriscono una possibile strategia per arrestare la progressione o, addirittura, curare l’ADPKD.
Essi hanno notato come PKD1 sia dotata di un sito di legame (miR-17) specifico per un microRNA espresso ad elevati livelli in alcuni modelli della malattia e hanno voluto verificare se il blocco di questo sito di legame potesse prevenire la formazione delle cisti renali.

Per fare ciò hanno utilizzato un modello animale della ADPKD e, con l’aiuto di Crispr-Cas9, hanno eliminato miR-17 dall’mRNA di PKD. I ricercatori hanno osservato come questo fosse sufficiente ad accrescere la stabilità del trascritto di mRNA, aumentando i livelli di policistina-1 e diminuendo così la crescita delle cisti renali sia nelle colture cellulari che nei modelli murini della malattia. Infatti, la presenza di miR-17 si traduce in una sequenza alterata del trascritto proveniente dal gene PKD1 e, di conseguenza, in una riduzione di policistina-1 associata alla produzione delle cisti tipiche della malattia. Secondo le conoscenze attuali, la cistogenesi - ovvero la produzione delle cisti che caratterizzano l’ADPKD - si realizza quando il gene PKD1 smette di funzionare, ma l’inattivazione di PKD1 da sola non è sufficiente a produrre questo effetto: serve una seconda mutazione sull’allele sano per avviare il processo. I ricercatori texani hanno osservato che anche l’altro gene, PKD2, presenta lo stesso sito di legame, miR-17, che una volta oscurato risultava in un aumento di policistina-2 tale da ridurre la proliferazione delle cisti. Infine, essi hanno visto come il blocco del legame di miR-17 all’mRNA di PKD1 attraverso l’utilizzo di un farmaco anti-miR-17 (RGLS4326) dopo la formazione delle cisti ne riduca la crescita, indicando in questa interazione un possibile obiettivo promettente per il trattamento del rene policistico.

Lo studio guidato da Patel ha, dunque, il pregio di evidenziare un possibile bersaglio per una terapia innovativa che, per quello che riguarda le malattie del rene, presenta ancora alcune limitazioni dovute in misura maggiore alla scelta del bersaglio (nella forma dominante del rene policistico ad essere oggetto di interesse è l’epitelio tubulare). Tuttavia, le modalità di lavoro adottate dagli studiosi per ripristinare i livelli di policistina-1 hanno gettato una nuova luce sull’effetto di potenziali farmaci basati sui miRNA, dal momento che il sistema da essi ideato impedisce il legame al miR-17 senza interferire con altri siti sull’mRNA della proteina. Questo avvalora l’ipotesi di come, in determinate circostanze, l’efficacia di un miRNA possa essere derivata dalla semplice repressione di alcuni suoi bersagli e conferma la duttilità di un tale approccio per altre tipologie di malattia che presentino un quadro genetico sovrapponibile a quello dell’ADPKD.

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