Grazie a strumenti di editing del genoma come Crispr-Cas9 gli scienziati sono in grado di progettare versioni di cellule CAR-T sempre più performanti da rivolgere contro i tumori solidi
Le terapie a base di cellule CAR-T sono piombate come un’onda di portata eccezionale sul settore dell’oncologia, dimostrando di poter contrastare patologie onco-ematologiche recidivanti o resistenti ai trattamenti, quali la leucemia linfoblastica e il linfoma diffuso a grandi cellule B. Un’ondata dal grande impatto, tanto da ottenere una rapida approvazione a livello globale e un pronto inserimento nell’elenco dei farmaci erogati in regime di rimborsabilità dal Servizio Sanitario di alcuni paesi d’Europa, tra cui l’Italia. Tuttavia, un’ondata che perde vigore contro il muro dei tumori solidi che sollevano una barriera fatta di criticità in grado di limitare l’efficacia dei linfociti T “potenziati”.
Per tale ragione la ricerca condotta dal team coordinato dalla prof.ssa Jennifer Doudna, all’interno dei prestigiosi laboratori dell’Università della California, ha attirato l’attenzione su un elemento che, per le sue vaste possibilità d’impiego, ben si coniuga con le potenzialità delle CAR-T: si tratta del sistema di editing genomico CRISPR per la cui scoperta la ricercatrice americana è stata insignita - insieme alla collega francese Emmanuelle Charpentier - del Premio Nobel per la Chimica 2020.
I LIMITI DELLE CAR-T
In un lavoro pubblicato ad inizio giugno sulla rivista Cell Reports, Doudna ed il suo team spiegano la loro strategia per eseguire una efficiente modifica genetica nelle cellule somatiche in vivo, anziché tramite la procedura ex vivo che, in certi casi rende difficoltosa la produzione delle terapie a base di CAR-T. Con la procedura in vivo, la manipolazione genetica viene effettuata direttamente nelle cellule all’interno dell’organismo, mentre con quella ex vivo avviene all’esterno dell’organismo del paziente: le cellule bersaglio vengono prelevate dal paziente, modificate geneticamente, e reintrodotte nel paziente stesso. Il delicato e costoso processo di produzione rappresenta uno degli ostacoli sulla via dell’implementazione di questi innovativi trattamenti nei tumori solidi.
Che un tumore solido sia un terreno di scontro assai più complesso rispetto ad una patologia onco-ematologica trova spiegazione non solamente nella maggior difficoltà di raggiungere i siti d’azione (le cellule leucemiche circolano nel sangue al contrario delle masse tumorali, a volte difficilmente asportabili con la chirurgia), ma anche nel maggior numero di antigeni bersaglio (ben maggiori rispetto all’ormai celebre CD19 presente sui linfociti B delle leucemie e dei linfomi) nei cui confronti bisogna programmare la terapia e, soprattutto, nel poliedrico ruolo esercitato dal microambiente tumorale. Inoltre, negli approcci impostati sulle cellule T potenziate serve una compatibilità con l’antigene leucocitario umano - ragion per cui il processo produttivo ha inizio dalle cellule autologhe, vale a dire da quelle del paziente stesso.
Per poter realizzare terapie a base di cellule CAR-T molto più performanti e dirette anche contro i tumori solidi è quindi necessario definire ed elaborare costrutti che prendano a bersaglio più di un antigene e servono processi produttivi da cui ricavare CAR-T allogeniche, universalmente valide per più pazienti.
UN MODO EFFICACE PER USARE CRISPR
È a questo punto che è entrato in gioco Crispr-Cas9, la tecnologia d’elezione per l’editing del genoma, che con la sua versatilità potrebbe giocare un ruolo decisivo nella modifica delle cellule T. Tuttavia, per funzionare al meglio, Crispr-Cas9 richiede la somministrazione degli “strumenti” per la modifica: i primi tentativi di introdurre i costrutti per l’espressione di Cas9 e gli RNA guida (gRNA) nelle cellule T da potenziare non si sono rivelati semplici, mettendo in luce la possibilità di provocare pericolosi effetti off-target.
Fino a qui nulla di nuovo, poiché il veicolo di elezione è sempre stato quello dei vettori virali, ma come ben descritto in una review pubblicata su Cancer Discovery, lo sviluppo di una procedura per la trasfezione delle cellule T primarie con complessi ribonucleoproteici (RNP) in cui fosse inglobata la proteina Cas9 ricombinante legata a un gRNA ha permesso di superare alcune pesanti difficoltà. Innanzitutto, tale procedura comincia dall’elettroporazione (una tecnica che consente l’apertura dei pori delle membrane cellulari per fa entrare molecole di vario tipo nelle cellule) di RNP Cas9, seguita da una fase di espansione cellulare. In questo modo è possibile rinunciare all’utilizzo dei vettori virali azzerando il potenziale immunogenico del costrutto, oltre a limitare il rischio di modifiche in siti non bersaglio.
Inoltre, gli esiti del procedimento di editing del genoma consentito da questa tecnica si evidenziano già nell’arco di 48 ore. Infine, è possibile veicolare nelle cellule diversi complessi RNP che mirano allo stesso gene oppure a geni diversi: una soluzione utile proprio nella sfida ai tumori solidi. Purtroppo però il processo produttivo descritto dal protocollo si articola in più fasi e richiede uno sforzo produttivo complesso e costoso, risultando difficile da traslare in fase clinica.
L’IDEA DI JENNIFER DOUDNA
Doudna e i suoi colleghi sono dunque ripartiti dal punto di forza della procedura - i complessi ribonucleoproteici (RNP) Cas9 - sviluppando un procedimento nel quale sono i vettori lentivirali ad introdurre in un colpo solo gli RNP Cas9 e il transgene per il recettore CAR, senza ricorrere all’elettroporazione che, invece, limita le modifiche da apportare alle cellule manipolabili ex vivo, ovvero fuori dal corpo.
Essi hanno preservato l’uso degli RNP Cas9 trovando il modo di ricorrere ai vettori virali e sforbiciando - è proprio il caso di dirlo - i passaggi della procedura. In tal modo, la loro idea combina la specificità di consegna dei vettori virali con l’attività di modifica del genoma degli RNP Cas9, rendendo il prodotto finale non solo più efficace ma anche più semplice da produrre secondo gli attuali standard qualitativi. In aggiunta a ciò, questo metodo diventa ancora più specifico, potendo essere applicato a precisi gruppi cellulari presenti all’interno di una popolazione mista: tale soluzione potrebbe costituire una freccia in più per puntare al difficile bersaglio dei tumori solidi.